I Graviano avevano Berlusconi. Parola di Totò Riina. Tra le tante conversazioni registrate nel carcere di Opera, quella della mattina del 25 ottobre 2013 è passata quasi inosservata. Eppure Totò Riina, mentre passeggia con il suo compagno di cella Alberto Lorusso, si lascia andare a considerazioni non proprio scontate. Il boss pugliese è molto curioso e chiede: “I Graviano stavano con i familiari a Milano?”. Il capo dei capi replica: “Sì forse saranno andati questi, stavano…, avevano Berlusconi… certe volte…”. Poi c’è una parola incomprensibile e Lorusso commenta: “L’hanno legato, quando doveva testimoniare”. Probabilmente Lorusso stuzzica il boss di Cosa nostra sulla mancata deposizione di Giuseppe Graviano al processo di appello a Marcello Dell’Utri. Dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulle confidenze ricevute dal suo capo al bar Doney di Roma nel gennaio 1994 su Marcello Dell’Utri e Berlusconi, il boss Graviano preferì tacere.
Riina, nonostante l’età, non si lascia andare con Lorusso e cambia discorso ma sembra critico verso i suoi ex fedelissimi. Irride la loro scelta di costituirsi parte civile contro il killer reo confesso dell’omicidio del padre, Michele Graviano, nel 1982, e soprattutto critica le stragi realizzate dai fratelli al nord nel 1993. E conclude “i Graviano per me non ha mai contato né contano… devi dirigere a me che me ne devo andare a Firenze? Io me ne vado nella piazza di Palermo, incomincio a cercare chi di dovere!”. I fratelli Graviano, Giuseppe 50 anni, e Filippo 52 anni, sono i boss trentenni che hanno condotto la strategia stragista del 1992-1993 da via D’Amelio alle stragi di Firenze e Milano. Sono loro anche le bombe contro le chiese a Roma tra maggio e luglio che lanciavano segnali alla politica e al Vaticano. Inoltre sono sempre loro, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che è stato creduto e riscontrato su tante altre vicende ma non su questo punto – che vantavano di avere intessuto i rapporti con Marcello Dell’Utri per ottenere in quel periodo garanzie sui benefici per i carcerati in caso di vittoria di Forza Italia alle elezioni del 1994 in cui scese in campo il Silvio Berlusconi.
È evidente che quella frase di Riina è guardata con attenzione dai pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa e che non hanno mai fatto mistero di indagare anche sui rapporti tra la mafia e la politica alle origini della seconda repubblica. Il rapporto tra i Graviano e Marcello Dell’Utri è stato affermato nella condanna di primo grado e considerato non provato invece in appello, con sentenza ormai definitiva. Il Fatto, indipendentemente dalla valutazione giudiziaria, ha provato a seguire le tracce dei rapporti tra la famiglia Dell’Utri e il mondo che gravita intorno ai Graviano in un’inchiesta autonoma che parte dal lavoro dei magistrati senza arrestarsi solo alle conclusioni, per loro natura limitate al versante giuridico, dei processi. La prima persona ad affermare l’esistenza di un rapporto d’affari della famiglia Dell’Utri con ‘i mafiosi’ legati ai Graviano è stata la mamma di Marcello Dell’Utri.
Nel novembre del 1986 la signora Dell’Utri racconta al figlio Marcello, che in quel momento è intercettato dai carabinieri, sul suo telefono milanese, che “Giuseppe sta vendendo la fonderia ai mafiosi”. Negli atti del processo Dell’Utri quella telefonata è confluita perché Marcello parla con la madre di quel Tanino Cinà che i pm considerano il garante con i boss della protezione in favore della Finivest. “La madre dice – scrivono i carabinieri – che gli manderà alcune cose tramite Cinà poi affronta il tema della vendita, da parte di Giuseppe Dell’Utri), altro fratello dell’odierno imputato, della Fonderia Oretea, a soggetti ‘mafiosi’. Si rappresenta, a tal fine, che agli atti risulta la vendita della detta Fonderia a soggetti vicini ai Graviano”. Nessuno ha mai sviluppato questo spunto. La Fonderia Oretea è la storica fonderia che apparteneva ai Florio e che ha fornito la copertura dei tetti del teatro Politeama e dei gioielli del liberty palermitano. Dopo varie vicissitudini, con i suoi terreni e capannoni ormai in disuso, finisce nella seconda metà del secolo scorso a due famiglie palermitane: i Panzera e i Capuano.
Nelle visure camerali a un certo punto, alla fine del 1986, compaiono per un breve periodo due amministratori liquidatori: Massimo Capuano e Giuseppe Dell’Utri. Capuano, nato nel 1954 a Palermo, oggi è amministratore delegato di Iw Bank Spa del gruppo Ubi. Fino al 2010 è stato amministratore di Borsa Italiana e poi di Centrobanca. Al Fatto racconta: “Abbiamo ereditato, io, mia madre e i miei fratelli, la quota del 50 per cento della Fonderia nel 1957 alla morte di mio padre. Non ci siamo mai occupati della gestione. A metà anni 80 abbiamo aderito alla proposta dei proprietari dell’altra metà della società di vendere. È stato Giuseppe Dell’Utri, marito della signora che aveva ereditato dal padre l’altra quota della Fonderia, a trovare i compratori. In quell’occasione il nostro intervento si è limitato agli atti dovuti per la vendita. Non ricordo i Gioé”. Capuano allora era un manager trentenne lanciato tra Ibm e Mc Kinsey a Milano. La sua presenza nella società Fonderia Oretea al fianco del fratello maggiore di Marcello Dell’Utri, noto a Palermo come l’animatore della squadra di calcio Bacigalupo, poi deceduto, dura un lampo. Le due famiglie vendono tutto ai fratelli Gaetano e Maurizio Gioé. Gaetano, secondo i pentiti Tullio Cannella e Giovanni Drago, era legato ai fratelli Graviano.
Nel 1998 la Fonderia Oretea sarà confiscata definitivamente ai Gioé per mafia, proprio perché, non solo la mamma di Dell’Utri, ma anche i giudici consideravano Gaetano Gioé vicino alla mafia e ai Graviano in particolare. Dopo l’arresto e la condanna in primo grado Gioé sarà assolto in Cassazione. Nel 2013 tocca a Maurizio subire un sequestro per un’altra società, anche lui per i presunti legami, mediante le vecchie società del fratello, con la famiglia di Brancaccio. La Fonderia Oretea resterà invece confiscata definitivamente per mafia anche in Cassazione. Sui terreni della Fonderia, con sede in via Buonriposo, a Brancaccio, i Gioè portarono a segno una speculazione edilizia, quando la società fu confiscata era poco più di una scatola vuota. Quando i Gioé, comprano sono passati appena 4 anni dall’uccisione del vecchio padre dei fratelli Graviano. Secondo il pentito Francesco Di Carlo in quegli anni Ignazio Pullarà chiede che fine hanno fatto i soldi di Michele Graviano investiti con il boss Stefano Bontate a Milano. Secondo Di Carlo, Pullarà lo chiede proprio all’amico di Dell’Utri: “Un giorno viene da me Ignazio Pullarà, quando avevano già ammazzato a Michele Graviano e mi dice: ‘Devo cercare a Tanino Cinà perché Michele Graviano ha messo i soldi con Bontate a Milano”. Tre anni dopo l’affare della Fonderia Oretea, i fratelli Graviano salgono a Milano.
da Il Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2014
Giustizia & Impunità
Totò Riina a Lorusso: “I fratelli Graviano avevano Berlusconi”
E' uno parte della conversazione registrata nel carcere di Opera, tra il boss di Cosa nostra e il suo compagno di cella. Parole che sembrano confermare i rapporti dei due esponenti protagonisti della strategia stragista del 1992-1993 e il leader di Forza Italia
I Graviano avevano Berlusconi. Parola di Totò Riina. Tra le tante conversazioni registrate nel carcere di Opera, quella della mattina del 25 ottobre 2013 è passata quasi inosservata. Eppure Totò Riina, mentre passeggia con il suo compagno di cella Alberto Lorusso, si lascia andare a considerazioni non proprio scontate. Il boss pugliese è molto curioso e chiede: “I Graviano stavano con i familiari a Milano?”. Il capo dei capi replica: “Sì forse saranno andati questi, stavano…, avevano Berlusconi… certe volte…”. Poi c’è una parola incomprensibile e Lorusso commenta: “L’hanno legato, quando doveva testimoniare”. Probabilmente Lorusso stuzzica il boss di Cosa nostra sulla mancata deposizione di Giuseppe Graviano al processo di appello a Marcello Dell’Utri. Dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza sulle confidenze ricevute dal suo capo al bar Doney di Roma nel gennaio 1994 su Marcello Dell’Utri e Berlusconi, il boss Graviano preferì tacere.
Riina, nonostante l’età, non si lascia andare con Lorusso e cambia discorso ma sembra critico verso i suoi ex fedelissimi. Irride la loro scelta di costituirsi parte civile contro il killer reo confesso dell’omicidio del padre, Michele Graviano, nel 1982, e soprattutto critica le stragi realizzate dai fratelli al nord nel 1993. E conclude “i Graviano per me non ha mai contato né contano… devi dirigere a me che me ne devo andare a Firenze? Io me ne vado nella piazza di Palermo, incomincio a cercare chi di dovere!”. I fratelli Graviano, Giuseppe 50 anni, e Filippo 52 anni, sono i boss trentenni che hanno condotto la strategia stragista del 1992-1993 da via D’Amelio alle stragi di Firenze e Milano. Sono loro anche le bombe contro le chiese a Roma tra maggio e luglio che lanciavano segnali alla politica e al Vaticano. Inoltre sono sempre loro, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che è stato creduto e riscontrato su tante altre vicende ma non su questo punto – che vantavano di avere intessuto i rapporti con Marcello Dell’Utri per ottenere in quel periodo garanzie sui benefici per i carcerati in caso di vittoria di Forza Italia alle elezioni del 1994 in cui scese in campo il Silvio Berlusconi.
È evidente che quella frase di Riina è guardata con attenzione dai pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa e che non hanno mai fatto mistero di indagare anche sui rapporti tra la mafia e la politica alle origini della seconda repubblica. Il rapporto tra i Graviano e Marcello Dell’Utri è stato affermato nella condanna di primo grado e considerato non provato invece in appello, con sentenza ormai definitiva. Il Fatto, indipendentemente dalla valutazione giudiziaria, ha provato a seguire le tracce dei rapporti tra la famiglia Dell’Utri e il mondo che gravita intorno ai Graviano in un’inchiesta autonoma che parte dal lavoro dei magistrati senza arrestarsi solo alle conclusioni, per loro natura limitate al versante giuridico, dei processi. La prima persona ad affermare l’esistenza di un rapporto d’affari della famiglia Dell’Utri con ‘i mafiosi’ legati ai Graviano è stata la mamma di Marcello Dell’Utri.
Nel novembre del 1986 la signora Dell’Utri racconta al figlio Marcello, che in quel momento è intercettato dai carabinieri, sul suo telefono milanese, che “Giuseppe sta vendendo la fonderia ai mafiosi”. Negli atti del processo Dell’Utri quella telefonata è confluita perché Marcello parla con la madre di quel Tanino Cinà che i pm considerano il garante con i boss della protezione in favore della Finivest. “La madre dice – scrivono i carabinieri – che gli manderà alcune cose tramite Cinà poi affronta il tema della vendita, da parte di Giuseppe Dell’Utri), altro fratello dell’odierno imputato, della Fonderia Oretea, a soggetti ‘mafiosi’. Si rappresenta, a tal fine, che agli atti risulta la vendita della detta Fonderia a soggetti vicini ai Graviano”. Nessuno ha mai sviluppato questo spunto. La Fonderia Oretea è la storica fonderia che apparteneva ai Florio e che ha fornito la copertura dei tetti del teatro Politeama e dei gioielli del liberty palermitano. Dopo varie vicissitudini, con i suoi terreni e capannoni ormai in disuso, finisce nella seconda metà del secolo scorso a due famiglie palermitane: i Panzera e i Capuano.
Nelle visure camerali a un certo punto, alla fine del 1986, compaiono per un breve periodo due amministratori liquidatori: Massimo Capuano e Giuseppe Dell’Utri. Capuano, nato nel 1954 a Palermo, oggi è amministratore delegato di Iw Bank Spa del gruppo Ubi. Fino al 2010 è stato amministratore di Borsa Italiana e poi di Centrobanca. Al Fatto racconta: “Abbiamo ereditato, io, mia madre e i miei fratelli, la quota del 50 per cento della Fonderia nel 1957 alla morte di mio padre. Non ci siamo mai occupati della gestione. A metà anni 80 abbiamo aderito alla proposta dei proprietari dell’altra metà della società di vendere. È stato Giuseppe Dell’Utri, marito della signora che aveva ereditato dal padre l’altra quota della Fonderia, a trovare i compratori. In quell’occasione il nostro intervento si è limitato agli atti dovuti per la vendita. Non ricordo i Gioé”. Capuano allora era un manager trentenne lanciato tra Ibm e Mc Kinsey a Milano. La sua presenza nella società Fonderia Oretea al fianco del fratello maggiore di Marcello Dell’Utri, noto a Palermo come l’animatore della squadra di calcio Bacigalupo, poi deceduto, dura un lampo. Le due famiglie vendono tutto ai fratelli Gaetano e Maurizio Gioé. Gaetano, secondo i pentiti Tullio Cannella e Giovanni Drago, era legato ai fratelli Graviano.
Nel 1998 la Fonderia Oretea sarà confiscata definitivamente ai Gioé per mafia, proprio perché, non solo la mamma di Dell’Utri, ma anche i giudici consideravano Gaetano Gioé vicino alla mafia e ai Graviano in particolare. Dopo l’arresto e la condanna in primo grado Gioé sarà assolto in Cassazione. Nel 2013 tocca a Maurizio subire un sequestro per un’altra società, anche lui per i presunti legami, mediante le vecchie società del fratello, con la famiglia di Brancaccio. La Fonderia Oretea resterà invece confiscata definitivamente per mafia anche in Cassazione. Sui terreni della Fonderia, con sede in via Buonriposo, a Brancaccio, i Gioè portarono a segno una speculazione edilizia, quando la società fu confiscata era poco più di una scatola vuota. Quando i Gioé, comprano sono passati appena 4 anni dall’uccisione del vecchio padre dei fratelli Graviano. Secondo il pentito Francesco Di Carlo in quegli anni Ignazio Pullarà chiede che fine hanno fatto i soldi di Michele Graviano investiti con il boss Stefano Bontate a Milano. Secondo Di Carlo, Pullarà lo chiede proprio all’amico di Dell’Utri: “Un giorno viene da me Ignazio Pullarà, quando avevano già ammazzato a Michele Graviano e mi dice: ‘Devo cercare a Tanino Cinà perché Michele Graviano ha messo i soldi con Bontate a Milano”. Tre anni dopo l’affare della Fonderia Oretea, i fratelli Graviano salgono a Milano.
da Il Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2014
Il potere dei segreti
di Marco Lillo 12€ AcquistaArticolo Precedente
Palermo, nessuna solidarietà per i pm minacciati. La “riconoscenza” è per il Colle
Articolo Successivo
Anno giudiziario, nove milioni di processi pendenti: di chi è la colpa?
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Da telefonata Trump-Putin primo passo per la pace: stop attacchi a linee energetiche. “Tregua? Basta armi a Kiev”. Scholz-Macron: “Noi continueremo a inviarle”
Politica
Meloni sminuisce il piano di riarmo Ue: ‘Un annuncio roboante rispetto a realtà’. E attacca: ‘Chi parla di tagli al welfare inganna i cittadini’
Zonaeuro
Von der Leyen spinge l’Ue verso lo scontro con la Russia: “Se vuole evitarlo, si prepari alla guerra”
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Proprio perché sono una patriota metterò questa nazione in sicurezza, perché come dice la nostra Costituzione difendere la Patria è un sacro dovere del cittadino". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella replica al Senato sulle comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo.