“Sono i piccoli che frenano, non Forza Italia“: la responsabile per le Riforme del Pd Maria Elena Boschi aveva appena finito di dirlo che Silvio Berlusconi ha dato la sua risposta alle proposte di modifica del Pd all’Italicum. Sì, ha detto il Cavaliere, si può innalzare la soglia necessaria per il premio di maggioranza dal 35 al 38%, ma allora togliamo il ballottaggio. Nella sostanza: chi prende il 38% vince. Come già si era capito l’intesa è diventata l’ennesimo ricatto di Berlusconi. A Renzi, certo. Ma c’è anche chi lo legge come una “ripicca” nei confronti del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E’ evidente che in una situazione del genere si incrociano i bluff e le pretese e anche quello del leader di Forza Italia è un modo per alzare la posta, per far capire quanto pesa il suo contributo. “E’ evidente che anche Berlusconi oggi è a un bivio – dice però Matteo Renzi a Ballarò – La partita è complicata, noi abbiamo fatto un accordo molto serio che prevede alcuni paletti, ci sono un paio di ipotesi di emendamenti, io confido che si possa chiudere rapidamente”. E infatti – alla fine del tunnel di questi veti incrociati – l’intesa potrebbe essere questa: soglia per il premio al 37% con ballottaggio nel caso nessuno raggiungesse questa soglia. In cambio: la norma “Salva Lega”.
La trattativa, che a questo punto dovrebbe risolversi prima dell’arrivo della legge in Aula venerdì prossimo, verte sulle soglie. Matteo Renzi e Berlusconi non si sono visti, ma si sono sentiti al telefono più volte durante la giornata. Al contempo, però, si fanno sempre più insistenti le voci su un probabile, nuovo incontro da tenersi domani (mercoledì 29 gennaio) a Roma per chiudere definitivamente l’accordo sull’innalzamento della soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza. Al momento, però, l’appuntamento non è stato ancora fissato. Intanto Matteo Renzi ha sconvocato la segreteria del partito prevista per domani mattina alle 7.30. Forza Italia non accetterebbe di alzare la soglia per il premio al 38 per cento perché vede lo spettro del ballottaggio dove tradizionalmente il centrosinistra è più forte. Ma il rottamatore gli avrebbe fatto presente il rischio di un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale per un premio considerato da vari costituzionalisti sproporzionato. E anche il Quirinale, a quanto si apprende, avrebbe espresso a Gianni Letta i suoi dubbi su un premio così alto. Il punto di caduta potrebbe essere una soglia al 37 per cento con un premio di maggioranza del 15.
Nel frattempo due notizie. La prima: il dibattito in Aula slitterà dal 29 gennaio al 30 (votazioni previste a febbraio). La seconda: nelle trattative tra Pd, Forza Italia e il resto delle forze politiche si parla di tutto tranne che di quote rosa.
Renzi: “Siamo a un passo dall’intesa”
Secondo Renzi, comunque, “siamo veramente a un passo, è lì, siamo lì pronti a chiudere. Come si fa a buttar via questa occasione? Sarebbe anche un modo per tradire i tre milioni di italiani che sono andati a votare alle primarie”. Il segretario del Pd precisa: “Non è che io faccia una battaglia per me. Secondo me siamo a un punto in cui gli italiani hanno bisogno di risposte concrete, di gente che decide. Decidere sulla legge elettorale non è importante solo per la legge elettorale”, ma “dà il segno di una classe politica che finalmente si toglie dalle sabbie mobili”. E sul rinvio della discussione sulla riforma elettorale di un giorno il sindaco di Firenze non sembra preoccupato: “Non è che stia slittando. Per adessosembra lo slittamento di un giorno, finché è un giorno o due… La aspettiamo da 20 anni, un giorno si può aspettare. Però il punto vero è che ormai siamo a un bivio: o si prova a cambiare davvero, o è la palude. Abbiamo messo in mano ai parlamentari un accordo che è un accordo straordinario, chi non vuole mantenere l’accordo se n’è assumerà la responsabilità davanti al Paese. Più di così, sinceramente, non potevamo fare”. Poi una dichiarazione di distensione nei confronti della minoranza del partito: “I deputati del Pd hanno fatto una cosa molto chiara e molto bella perché c’erano state delle polemiche, io sono andato ieri sera, ho chiesto di ritirare gli emendamenti e i deputati del Pd lo hanno fatto. Quindi, da questo punto di vista, onore alla scelta”. La sinistra Pd, infatti, ha deciso di ritirare gli emendamenti per proseguire la trattativa parlamentare.
“Non mi farò ingabbiare nelle stanche liturgie della politica tradizionale – aveva detto Renzi su Facebook – Le carte sono in tavola, nessuno può bluffare. Se qualcuno vuole far saltare tutto, lo faccia a viso aperto e lo spieghi al Paese. E ancora: “La legge elettorale non è la cosa più importante. Ma è l’inizio di un percorso che può cambiare il Paese: taglio dei costi della politica, semplificazione, superamento di Senato e Province, lotta contro le rimborsopoli regionali. Se passa questa legge poi è più semplice tutto, dal piano per il lavoro all’attrazione degli investimenti stranieri, come hanno notato autorevoli osservatori internazionali in queste ore”.
Depositati 250 emendamenti
Quello che si può registrare è certo la grande fretta di Pd e Forza Italia. Tanto che il relatore e presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) a un certo punto ha detto che il disegno di legge di riforma elettorale andrà “comunque in Aula entro gennaio anche se non si dovesse arrivare al voto in commissione”. In questo clima quasi febbrile si sono susseguite le due o tre telefonate tra Renzi e Berlusconi. Il Pd ha ritirato gli emendamenti, ma Forza Italia ha mantenuto i suoi. Il Pd ha deciso di mantenere in piedi solo tre proposte di modifica che prevedono la delega al governo per ridisegnare i collegi, le primarie facoltative e l’innalzamento, dal 35% al 38%, della soglia di sbarramento per accedere al premio di maggioranza. Ma se non si fosse capito “è stato stipulato un patto e noi siamo leali a questo patto – dice Sisto – l’accordo è stato stipulato tra Renzi e Berlusconi e solo loro lo possono rimodulare, fino ad allora noi rimaniamo fermi sui nostri paletti”.
I “piccoli” uniti scrivono alla Boldrini: “Più tempo per discutere”
Più tempo per discutere della legge elettorale. Questa la richiesta contenuta in una lettera inviata dai partiti più piccoli alla presidente della Camera, Laura Boldrini. Nella lettera, sottoscritta da Pino Pisicchio di Centro democratico, Lorenzo Dellai di Popolari per l’Italia, Giancarlo Giorgetti della Lega, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Gennaro Migliore di Sel viene chiesto di “poter disporre di un tempo ragionevole per poter dignitosamente e responsabilmente di quella che è la legge fondamentale dell’ordinamento politica italiana”. “Un tempo – aggiungono i capigruppo di Centro democratico, Popolari per l’Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Sel – che non può essere condizionato dal ‘totem’ della calendarizzazione entro il mese di gennaio solo per consentire il contingentimento dei tempi di discussione nel mese di febbraio”. “La diversità politica dei sottoscrittori di questa lettera – concludono – crediamo possa dichiararLe, onorevole Presidente, la fiducia che si ripone in Lei come garante del pluralismo democratico nella Camera dei deputati”.
Resta fuori la questione quote rosa
In una situazione in continua evoluzione (ed ebollizione, si potrebbe dire) l’unica certezza è che la parità di genere resta fuori dal tavolo della trattativa. A apprende l’agenzia politica Public Policy da fonti Pd la presenza di donne nelle liste non è un argomento su cui il segretario Renzi vuole spingere per l’accordo con Forza Italia. “Al momento, la parità di genere nelle liste non è un tema sul tavolo della trattativa del Pd” spiega una fonte di partito. Delle richieste avanzate dalla minoranza Pd al segretario è entrato tutto, preferenze, soglia di sbarramento e collegi, tranne l’alternanza di un uomo e una donna nelle liste e almeno il 50% di capilista donne, fattori che garantirebbero l’effettiva presenza di una cospicua rappresentanza femminile nel prossimo Parlamento.
I collegi da ridisegnare, fine delle battaglie di Forza Italia
Un po’ di distensione, invece, sulla partita del “ridisegno” dei collegi. Forza Italia – che sul punto ha fatto una battaglia senza macchia e senza paura – potrebbe seppellire l’ascia di guerra perché c’è forte odore di rimpasto e quindi al ministero dell’Interno della questione non si occuperebbe più Angelino Alfano, ma qualcun altro. E in prima posizione per il Viminale c’è un super-renziano, Graziano Delrio.