Cade oggi l’ultima data utile per pagare (senza sanzioni e more) i 113,50 euro del cosiddetto “abbonamento Rai”, che in realtà un abbonamento proprio non è: si tratta un’imposta di origine fascista sulla “detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano” (che una simile definizione, basata su quanto disposto dal Regio decreto 246 del 1938, non abbia uno straccio di senso logico al tempo degli streaming online, dei podcast, dei tablet e degli smartphone, allo Stato italiano poco interessa: se c’è da incassare tutto fa brodo), il cui gettito viene interamente trasferito all’azienda in questione.
Ma il “canone”, nelle ultime settimane, è stato al centro dell’attenzione anche per motivi diversi dalla scadenza. La prima notizia a riguardo, relativa alla presunta dichiarazione di illegittimità del balzello da parte di una fantomatica sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si è rivelata (purtroppo) soltanto una bufala. La seconda notizia, che sembrerebbe una bufala da quanto è grottesca, è invece assolutamente reale: dato che quest’anno si è verificata la rarissima circostanza di un mancato aumento del “canone” su base annuale, Luisa Todini (eletta nel Cda Rai nel 2012 in quota Lega/PdL) ha pensato bene di ricorrere addirittura al Tar contro Saccomanni, per costringerlo all’aumento. Non sono mancati, infine, ulteriori strascichi di un annoso scandalo che contrappone da tempo la televisione di stato all’emittente Sky (con quest’ultima dalla parte della ragione), che hanno preso in questo caso la forma di un vero e proprio ricatto al fine di bypassare la privacy degli abbonati!
Per fortuna, assieme a questa ondata di notizie poco edificanti a proposito del network televisivo più amato dai partiti politici (in quanto controllato interamente da loro e finanziato interamente da noi), stanno girando anche alcune informazioni effettivamente utili. Per esempio, quelle relative alle strategie perfettamente legali per evitare di finanziare con i propri sudati guadagni gli stipendi milionari dell’intrattenitore o dell’intellettuale di turno: la più celebre è la richiesta di “suggellamento” del proprio televisore (dietro raccomandata, un funzionario dovrebbe teoricamente presentarsi su appuntamento a casa vostra, infilare un sacco di iuta attorno al vostro televisore e imporre su di esso un sigillo di cera, non è dato sapere se con stemma sabaudo o meno), seguita a ruota dalla dimostrazione di averne ceduto il possesso (per qualche strano motivo non spetta all’esattore dimostrare che voi avete un televisore, ma spetta a voi provare di averlo avuto e di non averlo più… una follia del tutto in linea con l’inversione dell’onere della prova che pervade l’intero diritto tributario italiano). Le istruzioni più autorevoli, a riguardo, si trovano qui.
Eppure la Rai, se lo Stato italiano seguisse le sue stesse leggi, dovrebbe già essere privatizzata: un referendum legittimo e ufficiale ha infatti così stabilito. Anche più di recente, il primo partito politico italiano ha proposto la privatizzazione di tutti i canali tranne uno. Viene da chiedersi come mai Enrico Letta, che proprio in questi giorni è in vena di mirabolanti e coraggiose privatizzazioni, non abbia colto prontamente l’occasione per inserire nel “pacchetto” anche la Rai! Forse il motivo è che l’azienda televisiva di stato è una proprietà “strategica”, nel senso che è troppo preziosa per i partiti politici che se la spartiscono, a spese degli italiani che non sono liberi, come “consumatori”, di scegliere se usufruire o meno di quel servizio, e non sono padroni, come “proprietari”, di vendere quote, dichiarare fallimento a fronte dei troppi debiti, definire il palinsesto o licenziare personale. Che la Rai sia ben lungi dall’essere un “servizio pubblico” è del resto reso evidente da mille esempi, come il fatto che per trasmettere un programma così intitolato a qualcuno sia stato necessario uscirne, trasferendosi su una rete privata in concorrenza sul mercato.
Ps: Piccola ma doverosa postilla: la scorsa settimana il movimento di cui sono portavoce è stato coinvolto in un episodio molto particolare, proprio sul quotidiano cartaceo della testata che ospita queste stesse righe. Affronterò sicuramente la questione in modo articolato nel prossimo post, tuttavia oggi la particolare scadenza fiscale ci imponeva di concentrare la nostra attenzione altrove.