Un governo con Berlusconi? No grazie. Matteo Renzi esclude di poter mai partecipare ad un nuovo governo di larghe intese che veda coinvolto, stavolta, non solo Alfano, ma direttamente anche il Cavaliere nel nome del patto sulle riforme. Da ieri, però, nel Pd, sembra sia ripreso alla grande quel gioco che contraddistingue, da sempre, il ventre molle del partito: affossare il segretario. I dalemiani, i cuperliani, i bersaniani, insomma, la sinistra sconfitta del Nazareno ha sperato che a quell’ammissione di Enrico Letta di non voler “galleggiare”, seguisse l’impegno del segretario a farsi carico anche della svolta nel governo attraverso l’inserimento di una nutrita falange renziana dentro l’ipotetico Letta-bis. Renzi, non potendo rispondere che non ci pensava neppure, ha semplicemente spedito la palla in tribuna rinviando al 20, cioè tra tredici giorni, la verifica interna sul tema del governo.
Ma la risposta, par di capire fin da oggi, sarà la stessa: se Letta vuole cambiare la sua squadra lo faccia pure, io non ci metto bocca. E men che mai penso di sostituirmi a lui a palazzo Chigi. Il “Renzi 1”, insomma, vive solo nella mente di chi, velenosamente, vorrebbe far fare a Renzi la fine di D’Alema, che andò a palazzo Chigi senza passare per le urne, ma mal gliene incolse. Di più: un “Renzi 1”, in questa fase, non potrebbe prescindere da un forte appoggio da parte del Cavaliere che ieri, non a caso, ha subito fatto ventilare l’idea, dicendosi persino pronto a dare la sua benedizione. «A quel punto non si voterebbe – ha detto ai suoi – ma io otterrei la legittimazione come ‘padre della patria“».
Il suo ragionamento, già accennato nei giorni scorsi, ieri non ha colto nessuno di sorpresa. «Se davvero Renzi dovesse subentrare a Palazzo Chigi, noi in quel governo dovremmo entrarci», hanno sostenuto, quasi a completare il ragionamento, Renato Brunetta e il commissario europeo Antonio Tajani. Ecco, in questo quadro, quale mai potrebbe essere la convenienza di Renzi di avallare i desideri di Berlusconi e di quella parte del suo partito che lo vuole bruciare in qualunque modo? Ovviamente nessuna. La strategia del sindaco di Firenze è del tutto diversa. Vuole che sia approvata la legge elettorale, che siano incardinate le altre due riforme costituzionali (Titolo V e abolizione del Senato), quindi mira a fare il pieno alle elezioni europee per poi dirigersi, in scioltezza ma già con in tasca un primo risultato elettorale favorevole, verso le urne di novembre 2014.
Già, perché quello è più o meno il periodo che ha in testa il segretario del Pd per il cambio della guardia. Ieri, durante la sua relazione, si è lasciato sfuggire un termine temporale sul governo Letta (“Avevamo detto 18 mesi, ne mancano 8”) che ha fatto chiaramente intendere la prospettiva in cui intende muoversi per conquistare l’obiettivo attraverso una congrua legittimazione delle urne. Un percorso, però, non privo di insidie, la prima rappresentata proprio dalla fragilità politica e operativa del governo Letta. Quanto può mai durare un esecutivo come l’attuale senza qualche innesto politico forte e, soprattutto, qualche sostituzione necessaria? Poco, anzi, pochissimo. Sicuramente non 8 mesi. Dunque, in qualche modo, Renzi dovrà fare i conti con un suo coinvolgimento nel rimpasto dell’Esecutivo, probabilmente inserendo alcuni renziani non di primo piano e casomai in caselle di seconda fila, per non compromettere la sua figura di segretario anti larghe intese.
Oppure, potrebbe lasciare Letta padrone unico del suo destino attraverso un rimpasto ma solo con persone a lui vicine (si parla, per dire, di Paola De Micheli come prossimo ministro dell’Agricoltura e non del renziano Farinetti , il patron di Eataly, al posto della De Girolamo). La prima ipotesi, è bene dirlo in partenza, è quella gradita al Quirinale. Napolitano non ama Renzi (ricambiato) e l’idea di vederlo bruciare attraverso un coinvolgimento nel moribondo governo Letta lo rende particolarmente felice, ma di sicuro non avvallerà mai una staffetta a palazzo Chigi tra Letta e Renzi: per il Colle esiste solo Letta o le urne. Che non sono alle viste, almeno nello schema Renzi. Che difficilmente il Pd sarà in grado di capovolgere “cambiando schema”, come ha invitato a votare il segretario ieri in direzione. “Se avete i numeri e volete cambiare schema, allora ditelo”. Ma i “numeri” della direzione sono in mano a Renzi e chi si aspetta, per il 20, una rivoluzione interna, rischia di rimanere deluso.