Per il Ministero dell’Interno è giusta la sanzione della sospensione di sei mesi dal servizio. A due giorni dalla manifestazione nazionale indetta a Ferrara per chiedere al Viminale di “togliere la divisa” ai quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi, dalle istituzioni arriva già una implicita risposta. E nella risposta, rende noto i luoghi del reinserimento dei quattro. Un’informazione a lungo richiesta anche da Patrizia Moretti, madre del ragazzo ucciso. “Quello che mi interessa”, ha commentato la donna, “è che quei quattro non svolgano più il lavoro che facevano prima, che non possano più nuocere. Questa notizia che comunque non va a inficiare il senso della manifestazione di sabato, quando chiederemo che lo Stato gli tolga la divisa”. Il Viminale poi, nella risposta scritta, ricorda che “tre degli agenti sono stati trasferiti, per motivi di opportunità e di incompatibilità ambientale, a seguito della pronuncia di condanna di primo grado emessa dal tribunale di Ferrara nel 2009, mentre l’assistente capo Monica Segatto era già stata trasferita a domanda prima di quel verdetto.
“Come Movimento 5 Stelle”, è il commento di Bernini, “ci possiamo ritenere parzialmente soddisfatti, in quanto gli agenti svolgono tutti compiti di carattere amministrativo, ma di certo avremmo auspicato che per gli stessi fosse ritenuta congrua la sanzione della destituzione in quanto a nostro avviso, la loro condotta dovrebbe essere considerata “disonore alla divisa”secondo quanto previsto dal D.P.R. 25 Ottobre 1981 n.737”. Da coetanei di Federico Aldrovandi, riteniamo comunque inaccettabile che questi agenti continuino ad indossare la divisa (alcuni non si sono nemmeno pentiti) e quindi parteciperemo alla manifestazione che si terrà questo sabato 15 febbraio dalle ore 14 a Ferrara con partenza da via Ippodromo, e invitiamo tutti i cittadini a partecipare”.
Nel corso di un question time a risposta immediata chiesto da Paolo Bernini, deputato Cinque Stelle, l’ufficio affari legislativi affida a poche righe le sue motivazioni. “All’esito della pronuncia definitiva di condanna – ricorda il ministero -, sono stati avviati i conseguenti procedimenti disciplinari, conclusi il 3 gennaio 2013, con provvedimento del Capo della Polizia che ha irrogato agli agenti la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, in adesione a quanto proposto dai rispettivi consigli provinciali di disciplina”.
Quei consigli, composti di funzionari delle questure di appartenenza e di rappresentanti sindacali della Polizia “proprio in considerazione della natura non dolosa della condotta”, hanno ritenuto “congrua la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio (applicata peraltro nella misura del massimo edittale), rispetto a quella più grave della destituzione”.
Per il ministero quelli che il procuratore generale in Cassazione ha definito “schegge impazzite” e che hanno “bastonato di brutto per mezz’ora” un diciottenne incensurato, disarmato e che non stava commettendo reati, hanno compiuto violazioni “riconducibili alla disciplina normativa – contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981 – relativa ai casi di negligenza in servizio di particolare gravità e di comportamento non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza”.
Eppure proprio su quel dpr si basava la richiesta di accesso agli atti di Bernini. L’articolo 7 infatti contempla la destituzione per “l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio”. Nei casi previsti rientrano atti che rivelino mancanza del senso dell’ono.re o del senso morale, atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, grave abuso di autorità o di fiducia.
Sul punto però la legge 121 del 1981, quella istitutiva del Corpo della Polizia di Stato, è piuttosto stringente: la destituzione (la sanzione disciplinare massima) non è prevista per reati colposi. Nelle maglie dell’articolo 70 però (punto 7, comma 2) si ammette la destituzione in “per mancanze la cui gravità, desunta dalla specie o dalla reiterazione dei comportamenti in contrasto con i doveri e le esigenze del servizio di Polizia, renda incompatibile la permanenza del responsabile nell’Amministrazione della pubblica sicurezza”.
E in proposito il parlamentare ricorda come gli agenti “non abbiano mai espresso né mostrato pentimento per le azioni commesse ai danni di Federico Aldrovandi”. Anzi, “Forlani ha insultato via Facebook, Patrizia Moretti” (la madre del diciottenne), scrivendo il 25 giugno 2012 sul profilo di “Prima Difesa Due”: “Che faccia da c… aveva sul tg, una falsa e ipocrita, spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (i due milioni di euro risarciti dal ministero, ndr) possa non goderseli come vorrebbe, adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie”. “La valutazione su “l’incompatibilità” e la “reiterazione del comportamento” citati nell’art. 70 – riprende Bernini -, sono fattispecie che avrebbero potuto portare alla destituzione dei quattro agenti (a anche solo uno di essi), nel caso fossero state riconosciute dalle commissioni disciplinari interne alla Polizia”.