Sono tutti in prima fila i parenti delle “vittime di Stato”. A reggere lo striscione “#vialadivisa” ci sono Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferulli e altre madri, sorelle, figlie di chi oggi non c’è più. Dietro di loro almeno tremila persone. Tutti a Ferrara a manifestare per chiedere che i quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi non indossino più la divisa della Polizia di Stato.
“Sono stati condannati e le divise vanno tolte – afferma Lucia Uva -. E questo lo chiedono anche tante altre vittime dello Stato”. “Questo è un segnale forte – aggiunge Ilaria Cucchi – un segnale chiaro e coraggioso. Federico con la sua morte assurda e terribile ha aperto la strada a tutti noi e Ferrara è stata un esempio di civiltà. Senza il coraggio della madre i nostri processi non ci sarebbero stati”. Poi le prime parole di patrizia Moretti, la madre del ragazzo, che attraverso un blog fece conoscere la sua storia a tutta l’Italia: “Non mi aspettavo che i quattro poliziotti tornassero al lavoro e non mi basta il fatto che non siano sulla strada, sulle volanti. Il reintegro significa che quello che hanno fatto è tutto sommato consentito”. E questo a maggior ragione dopo che il Viminale ha reso note le motivazioni delle sanzioni disciplinari per i quattro poliziotti: in estrema sintesi, le negligenze compiute quella notte in via Ippodromo e successivamente il comportamento tenuto prima, durante e dopo il processo non costituiscono un disonore alla divisa.
“Non pensavamo – commenta la Moretti – che tutto si concludesse in una bolla di sapone. Nel momento in cui le istituzioni sono state chiamate a fare una scelta, hanno deciso per l’ingiustizia. Hanno deciso per il reintegro delle persone che hanno ucciso mio figlio. Questo è un segnale pericoloso e avvilente per me e per le famiglie che sono qui oggi. Significa che il comportamento di chi ha ucciso Federico è ammesso. Significa che se ammazzi la gente poi torni in sevizio. Ecco, io questo non lo accetto”.
Intanto in via Ippodromo, davanti al cancello dove il cuore del diciottenne cessò di battere il 25 settembre del 2005, arrivano a centinaia. Una volta che il corteo si muove si aggiungono altre persone, altri cori, altri striscioni. I manifestanti percorrono il centro città, in direzione prefettura. Il primo discorso ufficiale è del padre Lino. “Il sangue e la vita di un figlio non hanno prezzo”. La commozione si mescola agli applausi del pubblico. E allora lui, figlio di un carabiniere e ispettore di Polizia municipale, va avanti: “Non credo sia una richiesta così incredibile volere che chi commette atti così aberranti non possa più indossare una divisa”. Il plurale indica la voce dei parenti di “Federico, Stefano, Giuseppe (Aldrovandi, Cucchi e Uva, ndr) e tutti i nostri cari che sono stati uccisi. Noi purtroppo possiamo solo sopravvivere. I nostri figli, fratelli, padri, tutte persone innocenti e inermi, erano nelle mani dello Stato e sono stati uccisi. Non vogliamo patiboli, gogne di piazza, ma pretendiamo giustizia e verità perché vorrebbe dire restituire dignità e speranza allo stesso Stato”.
La processione termina davanti alla sede della prefettura. Qui Patrizia Moretti consegna una lettera al rappresentante territoriale del ministero dell’Interno. “Abbiamo chiesto la prefetto di portare la nostra richiesta a Roma, una richiesta di giustizia per tutte le vittime delle forze dell’ordine. Ho detto che noi, le vittime dello Stato, non staremo zitte, non ci stancheremo di chiedere giustizia finché non l’avremo ottenuta”.