A Parigi lo chiamano Le petit prince du cash flow, il piccolo principe dei flussi di cassa. Un appellativo che Vincent Bolloré si è guadagnato per via delle veloci incursioni nel capitale di società quotate dalle casse ricche allo scopo di far staccare grasse cedole. Ma il soprannome non descrive a tutto tondo il finanziere bretone, socio di Mediobanca fresco di autorizzazione a salire fino all’8% nel capitale di Piazzetta Cuccia di cui sta per diventare il secondo azionista dietro a Unicredit. C’è infatti anche un Bolloré industriale con 10 miliardi di fatturato e più di 55mila dipendenti. Undicesima ricchezza di Francia, secondo il settimanale Challanges, con interessi che vanno dalle piantagioni, alla logistica da e per l’Africa, ai terminali di lettura dei biglietti aerei fino alle pellicole per condensatori, alle batterie elettriche per auto pulite, alle telecomunicazioni e ai media.
E c’è poi l’uomo d’affari. Determinato come pochi e capace di tessere complesse trame politiche ed economiche. Amico della destra di Nicolas Sarkozy, ma pronto a svoltare a sinistra pur di sostenere a Parigi il suo progetto AutoLib, la vettura in libero servizio fiore all’occhiello della politica di mobilità del sindaco Ps Bernard Delanoe. Per lui l’Italia è una passione. E soprattutto il nostro Paese rappresenta un tassello fondamentale del suo nuovo polo media e telecom del quale fa parte il primo editore free-press con Direct Matin, il 36% del gigante della comunicazione Havas e il 5% del gruppo media Vivendi. Società quest’ultima che, secondo il quotidiano brasiliano O Estado de S. Paulo, sta trattando in via preliminare con Telecom Italia per una eventuale fusione delle controllate brasiliane, GVT e Tim Brasil. Una partita che esiste solo in teoria secondo l’ad di Telecom, Marco Patuano. Anche perché Bolloré è evidentemente in conflitto di interessi rispetto alle decisioni di Mediobanca sul futuro di Telecom e delle sue controllate.
Ma, del resto, le partite difficili non lo hanno mai spaventato. In Francia, Bolloré, che viene da una antica famiglia bretone di industriali della carta, è stato protagonista di operazioni delicate come la scalata alla compagnia di navigazione Delmas conquistata attraverso un complesso sistema fatto di passaggi per paradisi fiscali e società schermate con l’aiuto di Claude Bebear, ex numero uno di Axa. O ancora la conquista della banque Rivaud, istituto di credito al centro di una pagina oscura di riciclaggio e fondi neri della destra gaullista con sede fiscale nella Repubblica di Vanuatu, uno Stato di 83 isole situato nel Sud Ovest dell’Oceano Pacifico, bilancio nella moneta locale, il vatu, oltre a 127 holding esotiche e la proprietà della compagnia aerea Air Liberté.
L’operazione sulla banca del partito di destra Rassemblement pour la République (RPR, oggi Ump) è complessa, ma permette a Bolloré di entrare nel fruttuoso business delle piantagioni africane, retaggio della Francia coloniale. Storie vecchie come l’ingresso nel 2001 nel capitale di Mediobanca di Vincenzo Maranghi. Bollorè, vicino agli Agnelli, acquista un pacchetto di azioni di Piazzetta Cuccia con l’obiettivo di restituire la presidenza delle Generali al suo padrino, lo scomparso banchiere Antoine Bernheim. L’operazione riesce. E Bolloré si conquista un posto nel cda di Mediobanca accanto agli industriali francesi della difesa, Dassault, e ai banchieri spagnoli del Santander, i Botin.
“Dopo la fusione Intesa-Sanpaolo del 2006, Emilio Botin, azionista di San Paolo, voleva lasciare l’Italia – racconta Bolloré al quotidiano francese La Tribune il 22 febbraio 2007 – l’ho incontrato per convincerlo che valeva la pena di restare per lavorarci ed evidentemente sono riuscito a convincerlo”. Bollorè vede lungo. Gli affari in Italia per il Santander di Botin arrivano a stretto giro con la miliardaria cessione di Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena oggi sotto inchiesta. E poi con la vendita a Rcs della spagnola Recoletos di cui è presidente e azionista Jaime Castellanos, cognato di Botin, che intasca un guadagno netto di circa 350 milioni.
La girandola delle operazioni miliardarie si interrompe però con la crisi delle banche seguita al fallimento dell’americana Lehman Brothers: gli istituti di credito, stretti dai vincoli di nuove norme, non potranno più offrire denaro a piene mani a creditori in difficoltà. Nemmeno quando si chiamano Ligresti e hanno un portafoglio di partecipazioni “di sistema” che vanno da Mediobanca a Rcs, Pirelli e Telecom. Bolloré, che intanto in Italia ha conosciuto l’ex premier Silvio Berlusconi grazie all’amico franco-tunisino Tarak Ben Ammar, intravede nel collasso della holding del costruttore siciliano Premafin una partita strategica , nella quale sono però sono necessari i giusti appoggi. Così nel 2010 il finanziere sostiene la candidatura di Cesare Geronzi alla guida delle Generali. Per sé ottiene la vicepresidenza del Leone di Trieste. Intanto sostiene l’amico Jean Azema, a capo della compagnia francese Groupama, nel lancio di un’operazione di salvataggio di Premafin attorno alla quale ruota il giallo sulla proprietà di una quota del 9% custodita nei forzieri di Credit Agricole Suisse.
L’operazione però non va a buon fine. La blocca la Consob del neoeletto Giuseppe Vegas il 4 marzo 2011, imponendo ai francesi una costosa offerta pubblica di acquisto su tutte le società della galassa Ligresti. Intanto a Trieste, il 6 aprile di quell’anno, Geronzi viene “dimissionato” dopo uno grosso scontro in consiglio e Bolloré, che aveva minacciato di non votare il bilancio 2010, ritorna sui suoi passi sostenendo l’ex Mediobanca Gabriele Galateri di Genola alla presidenza delle Generali. Ma il comportamento di Bolloré non passa inosservato. Solo che gli effetti si vedono ben tre anni dopo, poche settimane prima del riassetto azionario e di governo societario di Mediobanca, nonché della storica decisione delle Generali sull’azione di responsabilità ai vecchi manager. E’ del 27 gennaio 2014, infatti, la multa da 3 milioni di euro inflitta a Bollorè dalla Consob per aver fornito “indicazioni false e fuorvianti sul prezzo delle azioni” nel pieno del riassetto della Premafin dei Ligresti avvenuto nel 2010. L’autorità sancisce inoltre l’interdizione per 18 mesi dalle cariche nelle società quotate in Italia.
Ce n’è abbastanza per mettere temporaneamente fuori gioco le petit prince di cash flow che non ha però alcuna intenzione di abbandonare la partita italiana. Per il momento lui si limita a commentare con un: “Va tutto bene”, dopo essere uscito dalla riunione dei grandi soci di Piazzetta Cuccia che ha abbassato al 25% la soglia minima di capitale di Mediobanca necessaria per la sussistenza del club ed essersi brevemente intrattenuto con Alberto Nagel, prima di allontanarsi dalla banca in auto in compagnia di Ben Ammar.