La cittadella di Maidan assediata tra i fumi che si innalzano dalle barricate di pneumatici bruciati e colpi di fucile dei cecchini è il segnale visibile che la tensione tra regime e opposizione è ormai esplosa in guerra civile diffusa. La fortezza eretta da novembre dagli oppositori pro-europei al presidente filo-russo Yanukovich è il muro che divide l’Ucraina in due: l’ovest più vicino alla Ue e l’est (da dove viene il despota alleato di Putin) anche demograficamente più vicino alla Russia.
Cento e più morti, centinaia tra feriti e dispersi, storie di singoli individui che confluiscono nel mosaico dei social network che compongono l’immagine della battaglia di Kiev che ogni giorno moltiplica la sua ferocia.
Nel dicembre di 10 anni fa la “rivoluzione arancione” portò l’Ucraina alla ribalta del mondo, come uno dei paesi sotto la cappa comunista che risorgeva alla democrazia con il volto attraente incorniciato dalle trecce di Yulia Thimoshenko. Dieci anni dopo la rivolta di Maidan rivela quanto fragile e incompleta sia stata quella svolta apparsa così “trendy” all’Occidente.