Le manifestazioni di sabato in Venezuela, con da una parte i sostenitori e dall’altra gli oppositori del presidente Nicolas Maduro, sono state l’immagine della spaccatura politica del Paese. Decine di migliaia di venezuelani hanno manifestato a Caracas e in altre città. Maduro deve fronteggiare la più grave protesta dall’elezione, contestata dall’opposizione, a capo di Stato lo scorso aprile. I morti nelle violenze e negli scontri sono già almeno dieci. La situazione “rischia di erodere ulteriormente la stabilità e la tutela dei diritti umani in una nazione già polarizzata alle prese con un grave crisi economica e con uno dei tassi di omicidio più alti al mondo”, si legge in un’analisi dell’International Crisis Group.
Il centro studi con sede a Bruxelles esorta l’esecutivo e l’opposizione a cercare di instaurare almeno un minimo di dialogo politico per porre freno alla criminalità e capire in che direzione debba andare l’economia, stretta tra la carenza di beni primari e l’inflazione che secondo i dati della Banca Mondiale supera il 21 per cento (aggiornato al 2012). Ieri il capo di Stato ha aperto al dialogo con il presidente statunitense Barack Obama per tentare di risolvere la crisi. Gli Usa sono accusati di finanziare e sostenere quello che il governo di Caracas considera un “golpe fascista”. La crisi parallela con Washington è stata segnata una settimana fa dall’espulsione di diplomatici statunitensi, accusati di aver incontrato gruppi di violenti legati all’opposizione e dalla revoca venerdì degli accrediti per i giornalisti della Cnn che seguivano le manifestazioni.
“Siamo una democrazia forte, ma non abbiamo un’opposizione democratica”, ha detto ieri Maduro. Dall’altra parte, a guidare le manifestazioni anti-governative, c’era Henrique Capriles, uscito sconfitto dalle urne la scorsa primavera. L’ex candidato alle presidenziali ha cercato di allontanare l’immagine di un’opposizione divisa. Ad animare le proteste sono stati infatti inizialmente gruppi di studenti e una parte della Mesa de Unidad Democratica, guidata da Leopoldo López, 42 enne ex sindaco del distretto di Chacao. “Una figura divisiva”, si legge in cablogramma dell’ambasciata Usa a Caracas datato 2009 e pubblicato da WikiLeaks, già tra i sostenitori del colpo di Stato militare-confindustriale che nel 2002 spodestò per 48 ore Hugo Chavez dalla presidenza. Anche per questo profilo lo stesso Capriles aveva tenuto una posizione di distanza, in linea con le sua figura più moderata. López è ora agli arresti con l’accusa di essere il responsabile di disordini dello scorso 12 febbraio – in cui ci sono stati tre morti- scoppiati durante una manifestazione per chiedere la liberazione di alcuni dimostranti.
Mentre la piazza anti-governativa chiede la scarcerazione del suo capofila, contro l’esecutivo piovono le accuse di torture contro i fermati e di uso eccessivo della forza. Non si parla soltanto di gas lacrimogeni e cannoni d’acqua. Filmati mostrano forze paramilitari sparare contro i dimostranti. Il caos nelle strade ha distolto l’attenzione dai problemi economici, scrive ancora il Crisis Group, ma l’uno continua a influenzare gli altri. L’analisi punta inoltre il dito contro l’incapacità di Maduro di porre un freno ai gruppi armati e individuare i funzionari, gli ufficiali e gli agenti responsabili di violenze. In questo contesto fazioni all’interno del governo potrebbero ritenere che soffiare sul fuoco possa giocare a loro favore, dividendo l’opposizione, spaventando i manifestanti, distogliendo l’attenzione dall’economia e, in ultimo, sostenendo la necessità di ricorrere a misure autoritarie.
Allo stesso tempo, aggiunge lo studio, le frange più oltranziste dell’opposizione potrebbero considerare la violenza la via per far cadere il governo. La soluzione individuata dal Crisis Group parte da una considerazione: nel Paese i meccanismi per facilitare il compromesso politico non sono maturi. Pertanto un primo passo per allentare le tensioni dovrebbe essere la scarcerazione di López e di quanti sono considerati prigionieri politici, nel caso non ci dovessero essere solide prove contro di loro. Inoltre devono essere disarmati i collettivi pro-governativi. L’opposizione dovrà invece rinunciare a ogni azioni anti-costituzionale. L’alternativa a questo difficile compromesso, aggiunge, è il rischio del precipitare della situazione sia sul versante politico sia economico, con conseguenze su tutta la regione.
di Andrea Pira