“Abbiamo sbagliato tutto, sospendiamo il voto e calmiamoci”. La senatrice M5s Elena Fattori esce dalla riunione dei suoi a Palazzo Madama con un appello. Sono le quattro del pomeriggio, tra i suoi colleghi c’è chi piange e chi alza la voce. Mancano poche ore all’annuncio dell’espulsione dei dissidenti e ancora sembra che la rottura del gruppo si possa evitare. “C’è stato un errore di gestione della situazione”, dice a ilfattoquotidiano.it, “siamo umani, anche noi sbagliamo”. La votazione per la cacciata dei 4 parlamentari (Campanella, Bocchino, Battista e Orellana) sul blog di Beppe Grillo è nel pieno della sua discussione e il gruppo rischia di non reggere l’ennesimo colpo interno. “Innanzitutto non ci si può esprimere direttamente su tutti e quattro. Noi abbiamo votato per l’espulsione dei singoli, valutando caso per caso. E lo stesso avremmo dovuto chiedere alla rete. Non possiamo affrontare temi così delicati velocemente, in preda alle emozioni. E’ una tortura“. Soffrono, qualcuno è uscito dalla riunione piangendo, altri parlano solo di delusione. “Stiamo cercando di convincere i dieci che vogliono andarsene. Non possono lasciarci così. Siamo un gruppo che nel bene e nel male è sempre riuscito ad essere compatto. Cerchiamo di non perdere la calma”. Un appello che per ore non ha ricevuto ascolto. Poco dopo le 19 il risultato: la rete ha ratificato l’espulsione e non c’è più possibilità di appello. Il gruppo è più forte: le battaglie si fanno tutti insieme e chi ha troppi dubbi è come uno sparo alle gambe. Basterà come giustificazione agli altri? Il primo ad andarsene ufficialmente è il fiorentino Maurizio Romani: “Oggi non mi sento più in coscienza di seguire certe scelte che considero sbagliate e soprattutto inefficaci”, ha scritto su Facebook, “Se lo facessi tradirei quegli stessi valori e tradirei il mandato ricevuto da chi mi ha eletto e ha fiducia in me”. Ma non solo: pronti a lasciare Palazzo Madama dicono di essere anche Alessandra Bencini, Maria Mussini, Monica Casaletto e Laura Bignami. A questi seguirebbe anche il passo indietro dei quattro dissidenti. Una decisione che, se poi approvata, lascerebbe il posto ai candidati non eletti alle scorse elezioni.
Ma non è così facile. E’ l’Aula, a voto segreto, a dover approvare le dimissioni dei parlamentari. Un’operazione che al primo colpo viene sempre respinta. E ora, sul fronte di sinistra, nascono nuove ipotesi di maggioranza. La prima opportunità è quella sulle riforme. Se restano i 9 dimissionari dal gruppo M5s e a quelli aggiungiamo De Pin e Gambaro (espulse dei mesi scorsi), i numeri cominciano a farsi interessanti. E alla prima curva, Renzi potrebbe decidere di lasciare a casa Angelino Alfano. Ipotesi ancora lontane (il Nuovo centrodestra conta su 30 senatori), ma se il malumore crescesse nel gruppo, le ipotesi diventerebbero sempre più concrete.
La riunione che doveva ricucire gli animi è servita a poco. Nel pomeriggio, i senatori hanno chiesto chiarimenti al capogruppo Santangelo: “Perché una decisione così improvvisa? Perché l’assemblea congiunta non ha rispettato le regole del non statuto?”. Ma non ci sono state risposte. Anzi, secondo i racconti, qualcuno dello staff si è rivolto a una senatrice dandole della “cagna”, al punto che lei, riferiscono, si è allontanata dalla riunione singhiozzando. E la rottura ormai per molti è inevitabile. “Ora c’è solo voglia di vendicarsi”, dice una delle senatrici che lascia l’assemblea al seguito di Battista, “questi sono peggio dei fascisti”.
Parlano di sofferenza, di decisioni prese sull’onda della stanchezza e dopo sedute fiume a Camera e Senato per la fiducia. E si appellano al logoramento di mesi in cui hanno dovuto sopportare “le prese di posizione” dei dissidenti. “Per noi è difficile”, commenta a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Brescia, futuro capogruppo a Montecitorio, “non riusciamo a prendere alla leggera quello che sta succedendo. Però devono anche mettersi nei nostri panni: hanno boicottato tutti i nostri interventi e le nostre azioni. Se è così allora significa che non vogliono più far parte del nostro gruppo. Si sono dissociati dalla richiesta di impeachment a Napolitano e dalla protesta contro la ghigliottina a Montecitorio. Questo basta a far capire che non condividono le nostre campagne”. Tra le accuse dei fedelissimi, anche quella di aver assunto un responsabile ufficio stampa che scriveva comunicati non approvati dall’ufficio comunicazione.
La decisione di far valutare alla rete l’espulsione dei quattro è arrivata dopo quattro ore di riunione congiunta martedì sera. Una procedura contestata da molti: “Prima la scelta avrebbe dovuto passare per una riunione al Senato”, contestano i critici, “e solo successivamente ci sarebbe dovuta essere l’assemblea con i capi d’accusa. E inoltre non esiste nessuna violazione seria del codice di comportamento”. Nella lista di regole che gli eletti devono rispettare, non c’è riferimento alle critiche verso il Movimento 5 stelle. Altro punto fortemente contestato, è quello che riguarda le sfiducie da parte dei Meetup locali. Il capogruppo al Senato Vincenzo Santangelo ha parlato di lamentele e prese di posizioni a livello locale, anche se queste sono state smentite nelle ultime ore. Prima la sfiducia a Pavia, rinnegata con un comunicato congiunto della base; poi l’attacco dal gruppo “Grillo di Palermo” pubblicato anche sul blog del leader, ma che gli attivisti siciliani rinnegano di aver mai votato. L’attacco a Battista invece è arrivato dal consigliere comunale di Trieste Paolo Menis. “Accuse che non reggono”, hanno commentato i quattro indiziati, “e che soprattutto non sono rappresentative”.
L’odissea dei dissidenti a 5 Stelle comincia da lontano. Le prime critiche erano partite già dopo l’espulsione di Adele Gambaro a giugno scorso, e poi erano continuate nel corso dei mesi. Malumori e mal di pancia che erano cresciuti nel tempo. Mancanza di democrazia diretta, toni troppo forti e un duo Grillo e Casaleggio che, secondo i critici, “manca di dialogo e trasparenza”. Queste le lamentele che hanno espresso nelle scorse settimane. Prima Lorenzo Battista, poi Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana, infine anche Fabrizio Bocchino hanno rilasciato interviste e scritto articoli o post su Facebook contro la linea ufficiale del gruppo in Parlamento. Uno scontro ormai difficile da sopportare all’interno del gruppo. Tante le accuse nei loro confronti: disertare le riunioni, voler comparire sempre su giornali e televisioni e soprattutto non restituire abbastanza di indennità e diaria da senatori. E quest’ultimo punto è sempre stato al centro delle discussioni: Campanella e Battista dagli scontrini più costosi, anche se in generale tutti hanno sempre restituito la parte richiesta dalle regole del Movimento. Al siciliano Campanella si contesta l’intenzione di creare un nuovo partito, dopo la pubblicazione di una chat interna dove lamentava la situazione generale e la necessità di metterci la faccia. Compare anche un simbolo, pronto per le stampe, ma il senatore ha sempre rinnegato ogni volontà. Polemiche piccole o grandi che si trascinano da mesi e che prima o poi erano destinate a un esplosione. La rottura finale è arrivata con l’incontro tra Renzi e Grillo durante le consultazioni per il nuovo esecutivo. I quattro hanno firmato un comunicato congiunto, lamentando che “si era persa un’occasione”. E’ stata la parola di troppo che ha portato a scomuniche dal basso e liti nelle aule del Parlamento. Fino al voto di oggi che ha messo la parole fine a una storia. “Qui dentro è una guerra”, dicono i fedelissimi, “o remiamo tutti nella stessa direzione, oppure perdiamo”. E’ il taglio netto che in molti chiedevano da tanto. Casaleggio e Grillo l’hanno voluto veloce, anche se doloroso. Il tempo dirà chi ha avuto ragione.