C’è una tesi che in queste ore gira in molti circoli conservatori di Washington. Quella secondo cui Barack Obama sta pagando nella crisi ucraina gli errori compiuti in Siria. Allora, ragionano molti repubblicani e conservatori, Obama non intervenne militarmente contro Bashar al-Assad, lasciandosi convincere dalla Russia di Vladimir Putin a perseguire l’opzione diplomatica. Mancando dell’energia per rafforzare la “red line” contro i massacri di civili a Damasco, Obama non ha oggi l’autorità morale per chiedere alla Russia di fermarsi ai confini ucraini. Anzi, dopo aver giocato il ruolo di “grande mediatore” in Siria, Putin sentirebbe di aver mano completamente libera contro Kiev.
Di questa tesi si sono fatti portatori negli ultimi giorni politici repubblicani di primo piano come i senatori John McCain e Bob Corker. Se Obama ha messo in guardia la Russia dai rischi di “isolamento politico ed economico”, in caso di intervento in Ucraina, molti repubblicani sono andati ben più in là. Proprio John McCain, candidato presidenziale nel 2008 e con un consistente background di esperienze e conoscenze in politica estera maturate durante una vita al Senato, ha chiesto che Obama non si fermi a vaghe minacce, ma articoli immediatamente le sanzioni e le applichi.
“Ogni minuto di inazione – ha detto McCain – è un segnale mandato a Putin perché possa essere ancora più aggressivo”. Sulla stessa linea anche il collega Corker, che pretende sanzioni immediate e un altro senatore, Marco Rubio, che vuole che John Kerry e Chuck Hagel – rispettivamente segretario di Stato e segretario alla Difesa – volino a Kiev, oltre a chiedere di far entrare la Georgia nella Nato e di bandire tutti i funzionari russi dall’entrata negli States. Avranno effetto le richieste di “mano più dura” nei confronti di Mosca? Improbabile. Nessun politico americano ha infatti il sia pur vago desiderio di evocare la possibilità di un intervento militare a difesa delle forze di Kiev, in sintonia con un’opinione pubblica orientata negativamente verso le azioni militari all’estero.
Un sondaggio New York Times/CBS del 9 settembre scorso mostra che il 62% degli americani non ritiene che gli Stati Uniti debbano svolgere un ruolo di leadership nel mondo o cercare di risolvere i conflitti internazionali. Nel 2003, la maggioranza dell’opinione pubblica – 48 contro 43 – era a favore del ruolo-guida americano. Segno che i disastri delle guerre in Afghanistan e Iraq non sono passati invano; e che quindi, oltre a qualche possibile sanzione nei confronti della Russia, gli Stati Uniti non andranno molto più in là. Un dato interessante da rilevare è comunque questo. Gran parte dei gruppi e lobbies che negli ultimi mesi hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica americane sulla sorte dell’Ucraina hanno legami profondi con le organizzazioni della destra radicale e xenofoba ucraina. A organizzare le proteste anti-Ianukovich in molte città americane, soprattutto Chicago, è stato l’“Ukrainian Congress Committee of America” (UCCA), un gruppo che è diretta emanazione della vecchia e neo-fascista “Organization of Ukrainian Nationalists”.
L’UCCA, basato ovviamente negli Stati Uniti, mantiene legami molto stretti con il partito ultra-nazionalista ucraino Svoboda, all’avanguardia della rivolta contro Ianukovich e il cui leader, Oleh Tyahnybok, ha chiesto la liberazione del suo Paese dalla “mafia moscovita-giudaica”. Sempre Tyahnybok, nel 2010, ha definito il boia nazista John Demjanjuk “un eroe che si batte per la verità” e intrattiene rapporti molto stretti con i gruppi neo-nazi ucraini (tra questi, Right Sector, che ha sovrinteso all’organizzazione di molte delle proteste di piazza Maidan). Proprio Tyahnybok è stato visto accanto al senatore americano John McCain, quando questi lo scorso dicembre ha portato la sua solidarietà agli occupanti di piazza Maidan. Tyahnybok gode peraltro di un filo diretto con il Dipartimento di Stato Usa, attraverso Victoria Nuland, la principale assistente di Kerry.
La Nuland ha incontrato a febbraio Tyahnybok e in una telefonata intercettata con l’ambasciatore Usa a Kiev ha espresso il suo desiderio che Tyahnybok si tenga per il momento “fuori dai giochi” ma che si consulti con il nuovo primo ministro ucraino sostenuto dagli Stati Uniti, Arseniy Yatsenyuk, “almeno quattro volte a settimana”. I legami delle amministrazioni americane con l’ultradestra ucraina, in funzione antirussa e antisovietica, erano da tempo noti. Ronald Reagan, per esempio, accolse personalmente alla Casa Bianca nel 1983 Yaroslav Stetsko, l’ucraino che sovrintese al massacro di 7.000 ebrei a Lvov, definendo “il suo sogno il nostro sogno”. E Lev Dobriansky, a capo dell’UCCA, divenne ambasciatore Usa alle Bahamas. Quei legami e quell’intreccio di interessi e solidarietà tra estrema destra ucraina e Stati Uniti, tipici degli anni della “guerra fredda”, sembrano tornare d’attualità oggi, in un periodo contraddistinto da un nuovo “raffreddamento” dei rapporti tra Mosca e Washington.
Mondo
Russia-Ucraina, conservatori Usa: “Dopo flop Siria Obama non ha forza su Putin”
John McCain: “Ogni minuto di inazione è un segnale mandato a Mosca perché possa essere ancora più aggressiva”
C’è una tesi che in queste ore gira in molti circoli conservatori di Washington. Quella secondo cui Barack Obama sta pagando nella crisi ucraina gli errori compiuti in Siria. Allora, ragionano molti repubblicani e conservatori, Obama non intervenne militarmente contro Bashar al-Assad, lasciandosi convincere dalla Russia di Vladimir Putin a perseguire l’opzione diplomatica. Mancando dell’energia per rafforzare la “red line” contro i massacri di civili a Damasco, Obama non ha oggi l’autorità morale per chiedere alla Russia di fermarsi ai confini ucraini. Anzi, dopo aver giocato il ruolo di “grande mediatore” in Siria, Putin sentirebbe di aver mano completamente libera contro Kiev.
Di questa tesi si sono fatti portatori negli ultimi giorni politici repubblicani di primo piano come i senatori John McCain e Bob Corker. Se Obama ha messo in guardia la Russia dai rischi di “isolamento politico ed economico”, in caso di intervento in Ucraina, molti repubblicani sono andati ben più in là. Proprio John McCain, candidato presidenziale nel 2008 e con un consistente background di esperienze e conoscenze in politica estera maturate durante una vita al Senato, ha chiesto che Obama non si fermi a vaghe minacce, ma articoli immediatamente le sanzioni e le applichi.
“Ogni minuto di inazione – ha detto McCain – è un segnale mandato a Putin perché possa essere ancora più aggressivo”. Sulla stessa linea anche il collega Corker, che pretende sanzioni immediate e un altro senatore, Marco Rubio, che vuole che John Kerry e Chuck Hagel – rispettivamente segretario di Stato e segretario alla Difesa – volino a Kiev, oltre a chiedere di far entrare la Georgia nella Nato e di bandire tutti i funzionari russi dall’entrata negli States. Avranno effetto le richieste di “mano più dura” nei confronti di Mosca? Improbabile. Nessun politico americano ha infatti il sia pur vago desiderio di evocare la possibilità di un intervento militare a difesa delle forze di Kiev, in sintonia con un’opinione pubblica orientata negativamente verso le azioni militari all’estero.
Un sondaggio New York Times/CBS del 9 settembre scorso mostra che il 62% degli americani non ritiene che gli Stati Uniti debbano svolgere un ruolo di leadership nel mondo o cercare di risolvere i conflitti internazionali. Nel 2003, la maggioranza dell’opinione pubblica – 48 contro 43 – era a favore del ruolo-guida americano. Segno che i disastri delle guerre in Afghanistan e Iraq non sono passati invano; e che quindi, oltre a qualche possibile sanzione nei confronti della Russia, gli Stati Uniti non andranno molto più in là. Un dato interessante da rilevare è comunque questo. Gran parte dei gruppi e lobbies che negli ultimi mesi hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica americane sulla sorte dell’Ucraina hanno legami profondi con le organizzazioni della destra radicale e xenofoba ucraina. A organizzare le proteste anti-Ianukovich in molte città americane, soprattutto Chicago, è stato l’“Ukrainian Congress Committee of America” (UCCA), un gruppo che è diretta emanazione della vecchia e neo-fascista “Organization of Ukrainian Nationalists”.
L’UCCA, basato ovviamente negli Stati Uniti, mantiene legami molto stretti con il partito ultra-nazionalista ucraino Svoboda, all’avanguardia della rivolta contro Ianukovich e il cui leader, Oleh Tyahnybok, ha chiesto la liberazione del suo Paese dalla “mafia moscovita-giudaica”. Sempre Tyahnybok, nel 2010, ha definito il boia nazista John Demjanjuk “un eroe che si batte per la verità” e intrattiene rapporti molto stretti con i gruppi neo-nazi ucraini (tra questi, Right Sector, che ha sovrinteso all’organizzazione di molte delle proteste di piazza Maidan). Proprio Tyahnybok è stato visto accanto al senatore americano John McCain, quando questi lo scorso dicembre ha portato la sua solidarietà agli occupanti di piazza Maidan. Tyahnybok gode peraltro di un filo diretto con il Dipartimento di Stato Usa, attraverso Victoria Nuland, la principale assistente di Kerry.
La Nuland ha incontrato a febbraio Tyahnybok e in una telefonata intercettata con l’ambasciatore Usa a Kiev ha espresso il suo desiderio che Tyahnybok si tenga per il momento “fuori dai giochi” ma che si consulti con il nuovo primo ministro ucraino sostenuto dagli Stati Uniti, Arseniy Yatsenyuk, “almeno quattro volte a settimana”. I legami delle amministrazioni americane con l’ultradestra ucraina, in funzione antirussa e antisovietica, erano da tempo noti. Ronald Reagan, per esempio, accolse personalmente alla Casa Bianca nel 1983 Yaroslav Stetsko, l’ucraino che sovrintese al massacro di 7.000 ebrei a Lvov, definendo “il suo sogno il nostro sogno”. E Lev Dobriansky, a capo dell’UCCA, divenne ambasciatore Usa alle Bahamas. Quei legami e quell’intreccio di interessi e solidarietà tra estrema destra ucraina e Stati Uniti, tipici degli anni della “guerra fredda”, sembrano tornare d’attualità oggi, in un periodo contraddistinto da un nuovo “raffreddamento” dei rapporti tra Mosca e Washington.
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Politica
La Camera respinge la sfiducia a Santanchè: “Sulle dimissioni rifletterò”. Conte: “Siete responsabili di un disastro morale”. Schlein: “Meloni ancora in fuga”
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A Milano indagine per evasione fiscale su Twitter-X. Mancati pagamenti Iva per 12,5 milioni
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Francesco, condizioni critiche ma stazionarie: “Nuova tac di controllo”. Ha visto il cardinale Parolin. Buenos Aires in ansia per il ‘suo’ Papa
Tel Aviv, 25 feb. (Adnkronos) - Ofri Bibas, sorella dell'ostaggio liberato Yarden Bibas, ha criticato duramente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nonché i notiziari, gli utenti dei social media e i diplomatici pubblici, per aver descritto in dettaglio, contro la volontà della famiglia, gli omicidi avvenuti durante la prigionia della moglie di Yarden, Shiri, e dei suoi figli piccoli Ariel e Kfir. Pubblicare tali informazioni nonostante le ripetute richieste della famiglia è stato "un abuso fine a se stesso nei confronti di una famiglia che ha attraversato 16 mesi di inferno e che deve ancora affrontare il peggio", ha sritto Ofri Bibas su Facebook.
Netanyahu ha descritto l'omicidio dei ragazzi in modo molto dettagliato in un discorso tenuto davanti all'America Israel Public Action Committee e, mentre teneva in mano una foto delle vittime, durante una cerimonia militare tenutasi ieri, in seguito alla quale, la famiglia Bibas ha inviato una lettera di diffida a Netanyahu e ad altri uffici governativi, chiedendo loro di smettere di pubblicare dettagli non approvati sugli omicidi, riporta il sito di notizie Ynet.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - "Questa decisione lacera l'indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti". Lo ha detto il presidente della White House Correspondents' Association Eugene Daniels, criticando l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per aver affermato che d'ora in poi sarà lei stessa a decidere quali giornalisti potranno seguire gli eventi della Casa Bianca. "In un paese libero, i leader non devono scegliere le testate" da accreditare, ha aggiunto.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato durante il briefing di oggi che l'amministrazione determinerà quali organi di stampa faranno parte del pool stampa della Casa Bianca. Attualmente la White House Correspondents Association aiuta a coordinare la copertura del pool.
La Leavitt ha affermato che alle "testate tradizionali" sarà comunque consentito di unirsi al pool, ma ha osservato che l'amministrazione consentirà l'adesione anche ad altri siti. "Sono orgogliosa di annunciare che restituiremo il potere alle persone che leggono i vostri giornali, che guardano i vostri programmi televisivi e che ascoltano le vostre stazioni radio", ha aggiunto.
(Adnkronos) - L'indagine su Twitter International Uk vede due indagati - si tratta di due ex amministratori (un irlandese e un indiano) - che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del social poi rilevato da Elon Musk a fine 2022. L'indagine nasce da un controllo fiscale della Gdf, concluso ad aprile 2024, proprio sulla piattaforma americana, che oggi si chiama 'X', sulla scia delle stesse verifiche fatte su Meta. Il fascicolo è affidato dal pm Giovanni Polizzi, già protagonista di altre indagini sui colossi del web.
Il punto centrale del fascicolo affidato a Polizzi, lo stesso che si è occupato dell'inchiesta su Meta, è l'idea che debbano essere tassate come transazioni commerciali le iscrizioni gratuite alle piattaforme online in cambio della cessione dei propri dati personali, che hanno un valore economico, visto che consentono la profilazione degli utenti.
Solo lo scorso dicembre la procura di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali della società di diritto irlandese Meta, titolare dei social Facebook e Instagram. L'inchiesta - ancora aperta - ipotizza per il colosso l'omessa dichiarazione e mancato pagamento - tra il 2015 e il 2021 - dell'Iva per un totale di oltre 877 milioni di euro.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La Casa Bianca attribuisce il grosso livido sulla mano destra di Donald Trump, che era visibile durante l'incontro di ieri con il presidente francese Emmanuel Macron, alle strette di mano del presidente americano.
"Il presidente Trump è un uomo del popolo", ha affermato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, aggiungendo: "Il suo impegno è incrollabile e lo dimostra ogni singolo giorno. Il presidente Trump ha lividi sulla mano perché lavora costantemente e stringe mani tutto il giorno, tutti i giorni".
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Sono due i momenti della replica di Daniela Santanchè sottolineati dalle opposizioni, che oggi hanno votato compatte la mozione di sfiducia alla ministra del Turismo. Il primo quello sull''intemerata' del tacco 12 e il glamour, della sinistra che odia la ricchezza. Un tentativo di 'buttarla in caciara' e uscire dal merito, grave, della vicenda, dicono le opposizioni. L'altro passaggio è meno di colore e più inquietante, sostengono, ed è quando la ministra ha detto che alla prossima udienza valuterà le dimissioni "ma lo farò da sola - ha scandito- con me stessa, senza nessuna costrizione e forzatura". Una sottolineatura che, secondo le opposizioni, è un chiaro messaggio a Giorgia Meloni. E fa crescere l'interrogativo: perché la premier Meloni si fa trattare in questo modo? E' la domanda dei parlamentari di minoranza in Transatlantico.
Giuseppe Conte intervenendo in aula nelle dichiarazioni di voto ha dato una sua versione: "Ci sono solo due plausibili spiegazioni. La prima è che lei, Santanchè, ricatta Meloni. Può darsi che all'opposizione abbiate condiviso segreti che oggi mettono in imbarazzo la presidente del Consiglio e allora comprenderemmo perché ogni giorno Meloni dice che non è ricattabile... La seconda è che Fdi dopo aver avuto come motto 'legge e ordine', oggi che siete al potere si sentite casta intoccabile. Il caso Delmastro è l'esempio di questa vostra convinzione di essere al di sopra della legge".
Anche Elly Schlein si rivolge alla premier Meloni: "Cosa le impedisce di far dimettere Santanchè? Come è possibile accettare in silenzio, dopo che Santanchè ha detto che del pressing di Fdi se ne frega, che lei e solo lei decide se dimettersi come se non esistesse una presidente del Consiglio?". E insiste: "Meloni è stata campionessa mondiale di richieste di dimissioni e oggi ha disertato quest'aula, come fa non vergognarsi della sua incoerenza, come fa a non rendersi conto di quanto sia vigliacco il suo atteggiamento di continua fuga da quest'aula e dalla realtà? Dove si è nascosta la premier? Forse sta registrando un altro video, un contributo da inviare a una convention fra motoseghe e saluti nazisti?".
Conte ribatte anche al passaggio 'tacco 12' della ministra: "Lei ha detto che odiamo la ricchezza, ma non dica baggianate, siete voi che avete fatto la guerra ai poveri, che odiate i poveri. Noi odiamo o meglio ancora contrastiamo, la disonestà". Una questione, quella dei tacchi e delle borsette, che fa sbottare Schlein: "Lei viene qui a difendere le borsette, chi difende gli italiani dalla bollette? Noi non siamo qui per fare un processo ma per porre una gigantesca questione di opportunità politica: davanti ad accuse così gravi, per non ledere le istituzioni, avrebbe dovuto dimettersi".
La segretaria del Pd si rivolge quindi alla maggioranza: "Speriamo in un sussulto della maggioranza e dei singoli parlamentari. Se oggi salvate Santanchè dimostrate che a voi interessa difendere i vostri più che difendere l'onore delle istituzioni. Questa non è difesa nazionale, è difesa tribale". Per Elisabetta Piccolotti che interviene a nome di Avs, "il problema non è la ricchezza della ministra, il problema è che quando si è ricchi e non si pagano" gli stipendi ai lavoratori e si umiliano "le persone più povere".
Anche Iv, Più Europa e Azione che non avevano sottoscritto la mozione di sfiducia, hanno comunque dichiarato il voto a favore in aula. "Noi sappiamo che la mozione di sfiducia non sarà approvata, ma chiunque si è accorto che la ministra Santanchè non è sfiduciata da coloro che hanno presentato questa mozione ma dalla sua stessa maggioranza, dalla premier Meloni", dice Davide Faraone di Iv. Per Azione Antonio D'Alessio spiega: "Le mozioni di sfiducia non ci piacciono" e "la ministra non è colpevole fino a prova contraria" ma "è il quadro complessivo che finisce con il restituirci una politica rispetto alla quale scivolano via situazioni che non consentono una azione della ministra libera di condizionamenti". Linea simile a Riccardo Magi di Più Europa: "Per noi Santanché dovrebbe dimettersi" non per le questioni giudiziarie, ma "perché ha inanellato una serie di fallimenti da ministro". Intanto in serata l'aula ha respinto la sfiducia con 206 voti.
Londra, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato che ospiterà colloqui sull'Ucraina con gli alleati nel fine settimana, dopo essere tornato dall'incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca. "Ospiterò diversi paesi questo fine settimana per continuare a discutere di come procedere insieme come alleati alla luce della situazione che ci troviamo ad affrontare", ha detto ai giornalisti.