Una patrimoniale straordinaria del 50% sui partiti per restituire il maltolto agli italiani e smetterla di vessarli con nuove tasse. Chi accetta la sfida? Dopo il balletto sull’abolizione del finanziamento pubblico, convertito in extremis alla Camera tra molti dubbi, il tema torna alla ribalta con una proposta di legge che lancia il guanto di sfida all’intero arco parlamentare: ora restituite i soldi. La sfida è rivolta prima di tutto a Renzi e al Movimento Cinque Stelle che sul taglio ai costi della politica hanno costruito il loro consenso e incrociato le spade. Grillo l’aveva anche buttata in un post, al motto “sequestriamo i beni ai partiti” rivolto principalmente al Pd, Renzi aveva subordinando la restituzione (dell’ultima tranche) dei rimborsi del Pd a un impegno dei grillini sulla riforma della legge elettorale. Tanto rumore per nulla: sul recupero del “pregresso” non sono stati depositati emendamenti o proposte di legge né dagli uni né dagli altri. Nulla, appunto.
Ci prova allora Giuseppe Valditara, ex senatore di centro destra, ordinario di diritto pubblico romano che ha raccolto intorno a sé “Crescita e Libertà”, un gruppo di difesa legale di interessi pubblici che annovera esperti di varia provenienza tra i quali il costituzionalista Aldo Loiodice, il giurista Manuel Sarno, l’ex preside di Giurisprudenza di Bari Sebastiano Tafaro. Un gruppo che ha già fatto altre iniziative a difesa dei cittadini come l’istanza di accesso sugli ingiustificati aumenti delle tariffe autostradali e la denuncia dei costi dello locazioni passive della PA. Insomma, a proporre la “confisca dei patrimoni dei partiti” (qui il testo, qui la relazione tecnica) non sono militanti anticasta allo sbaraglio ma fior di giuristi. E questo rende la cosa più interessante: allora, chi ci sta?
Il punto di partenza è che la recente abolizione sul finanziamento pubblico dei partiti non ha intaccato il tesoro che hanno accumulato dal 1993, quando il referendum lo ha abolito e il parlamento l’ha surrettiziamente reintrodotto – legislatura dopo legislatura – in forma di rimborso. Negli anni quel fiume di denaro è finito nelle casseforti di Fondazioni nate ad hoc, associazioni, società e sindacati e secondo stime prudenti ammonterebbe oggi a 5 miliardi di euro tra beni immobili, titoli e depositi. Nelle casse della disciolta Dc ci sarebbe ancora un patrimonio residuo di 800 milioni di euro, in quelle della Fondazione ex Msi-An 70 milioni tra denaro e titoli, altri 300-400 in patrimonio immobiliare. Solo il Partito Democratico ha in pancia immobili per un miliardo di euro disperso in 57 fondazioni. E così via. Solo una parte di questo impero finanziario deriva dalle donazioni e dalle contribuzioni volontarie mentre il grosso, circa 3 miliardi di euro, arriva proprio dai rimborsi ingoiati dal 1994 a oggi (a fronte di soli 579 milioni di spese dichiarate). Rimborsi che il 29 novembre sono contestati dalla Corte dei Conti. Il procuratore De Dominicis, nell’ambito dell’istruttoria sul caso Lusi, li ha bollati come illegittimi e incostituzionali, frutto di “artifici semantici e legislativi” che fanno passare per “rimborso” dell’attività politica uscite non sostenute da giustificativi di spesa. Perché lasciare che il rapinatore amministri la refurtiva e arricchendosi ancora?
Da qui parte la proposta di legge di “Crescita e Libertà” che conta pochi articoli chiarissimi. L’art. 1 istituisce un’imposta straordinaria una tantum sui patrimoni di partiti, fondazioni e movimenti politici esistenti e disciolti. L’imposta è pari al 50% del valore di mercato del patrimonio, al netto dei debiti che risultino da bilanci certificati da una società di revisione iscritta all’albo speciale presso la Consob. L’art. 2 dà tempo sei mesi al Mef per passare a raggi X i bilanci di partiti e fondazioni e censire patrimoni e relativo valore. Nel cespite patrimoniale non sono computate le donazioni che possano essere ricondotte a un’effettiva volontà di sostegno da parte dei privati. L’ultimo articolo cancella la cassa integrazione per i dipendenti dei partiti che è stata introdotta con l’art. 16 dalla legge che abolisce il finanziamento pubblico.
Chi prenderà la palla al balzo e quanti la lasceranno cadere per amor di bottega? Tutti, a parole. Sul fronte Pd non si sa bene chi chiamare dopo gli stravolgimenti dell’era Renzi. L’ex relatore della legge sull’abolizione del finanziamento, Luciano Pizzetti, lascia la porta aperta ma si sfila. “Non vedo perché no. Ma mi sono dimesso da relatore, non ho accettato che l’abolizione diventasse merce di scambio con altri provvedimenti come l’abolizione delle Province”, racconta. Tocca chiamare la senatrice Isabella De Monte che gli subentrò nell’incarico e siede nella Commissione Affari Costituzionali. “Dovrei studiare la proposta ma in linea di principio non sono contraria a tassare la ricchezza dei partiti frutto di finanziamento pubblico. Anche perché spesso è custodita da Fondazioni che non fanno più attività politica”. Ma qui si parla di una patrimoniale anche sulla cassaforte del PD, la porterebbe al tavolo di Renzi? “Me la mandi, vedremo”.
E il Movimento? Nella sua crociata contro i partiti tradizionali e la Casta sembra essersi fermato all’ultimo miglio, quando c’era da recuperare il “malloppo”. Non una proposta di legge, non un emendamento. Roberta Lombardi è stata la prima firmataria della proposta a cinque stelle per l’abolizione del finanziamento ai partiti. E oggi ammette, sorpresa: “In effetti di questo aspetto del recupero della ricchezza pregressa ci siamo dimenticati, ci è sfuggito”. E la cosa brucia anche un po’ visto che Grillo proponeva di requisire tutti i patrimoni illecitamente accumulati dai partiti grazie a rimborsi. E dunque? “Così, su due piedi, condivido il principio e mi prendo l’impegno di trasmetterla al nostro ufficio legislativo per esaminarla tecnicamente. In caso di depositarla alla Commissione Affari Costituzionali come proposta di legge del Movimento, senza rubarne la paternità e sperando di centrare il risultato: riuscire a recuperare il tesoretto che per 30 anni i partiti hanno illecitamente sottratto alla collettività”. Testo e relazione sono ora sul tavolo di Pd e Cinque Stelle. La sfida alla Casta e tra gli anticasta è partita. Senza più alibi.