L’amore è un tema talmente inflazionato nel cinema, da ricadere spesso in facili cliché. Quando si tratta di sentimenti oramai i film tendono a ripetersi, come se si fosse esaurito un filone di cui si è abusato per troppo tempo, come se non ci fosse più nulla da raccontare. E poi accade che Spike Jonze, uno tra i più visionari registi contemporanei (autore di Essere John Malkovich e Nel paese delle creature selvagge), decide di prendere in mano l’argomento parlandone dal suo personalissimo punto di vista.
In pochi hanno rappresentato un sentimento così complesso e universale arrivando a indagarlo nel profondo, ma il regista americano, che da sempre ci ha abituati a una sensibilità fuori dal comune, con Her è riuscito dove molti suoi colleghi hanno fallito prima di lui.
Presentato in anteprima mondiale al New York Film Festival e successivamente, in concorso, all’ottava edizione del Festival di Roma, Lei (questo il titolo italiano), è ambientato in un ipotetico futuro non troppo lontano dal nostro, in una Los Angeles stilizzata in cui gli uomini vivono in stretta simbiosi con computer e telefonini, immersi in una tecnologia che oramai è in grado di provare emozioni, di avere una coscienza propria. Theodore Twombly, il protagonista a cui presta il volto con immensa bravura Joaquin Phoenix, è un uomo tanto sofisticato quanto introverso che si guadagna da vivere scrivendo lettere d’amore per altre persone, un mestiere che aiuterebbe anche i più anaffettivi a esprimere i propri sentimenti. Proprio lui, che con le storie d’amore lavora tutti i giorni, si è lasciato sfuggire di mano il matrimonio, ritrovandosi costretto a divorziare da Catherine interpretata da Rooney Mara, sua compagna sin dall’infanzia.
Solo, tormentato dai sensi di colpa e privo di ispirazione, Theodore si lascerà convincere da una pubblicità ad acquistare OS1, un avveniristico Sistema Operativo presentato come una vera e propria intelligenza artificiale. Ed è così che entra in scena Samantha, la voce femminile interpretata in originale da Scarlett Johansson e nella versione italiana da Micaela Ramazzotti, che lo accompagnerà in un viaggio attraverso sé stesso, fino al più nobile dei sentimenti.
Jonze ha impiegato diversi anni per arrivare alla stesura definitiva del film, grazie al quale si è aggiudicato l’Oscar 2014 alla miglior sceneggiatura originale, ed è solo guardando la sua opera che si capisce il perché di una “gestazione” così lunga. Partendo da una storia apparentemente semplice, il regista è andato a toccare le corde più intime della natura umana, servendosi dell’alienazione tecnologica non fine a sé stessa ma come strumento per parlare di qualcosa di ben più complesso. Dalla solitudine all’incomprensione, dall’amicizia alla sessualità, persino la relazione tra un uomo e un computer appare come la cosa più naturale del mondo, perché nata da sentimenti genuini.
Jonze è stato abile nel disegnare i tratti dell’esistenza umana, nel raccontare le fragilità di coppia che richiamano alla mente sporadici esempi come il Gondry di Se mi lasci ti cancello o 500 giorni insieme di Marc Webb. Un film di recitazione, fatto di dialoghi intensi, che andrebbe visto in lingua originale, discostandosi per una volta dal doppiaggio italiano, per poter apprezzare appieno le interpretazioni magistrali, su tutte quella della Johansson che con il solo uso della voce si è portata a casa il Marc’Aurelio d’Oro per la migliore interpretazione femminile, riuscendo a rendere vero e reale un personaggio che non compare neanche per un secondo sul grande schermo. Accostando i toni del dramma e quelli della commedia, Jonze ha messo in piedi un film poetico, che arriva dritto al cuore raccontando una storia senza confini, talmente universale al punto da sentirla propria fin dall’inizio.
Il trailer