La legge elettorale marcia con in testa il labaro dal motto “Si cambia solo con il sì di tutti”, ripetuto come un Ave Maria, allo sfinimento, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dai suoi più fedeli, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini. La traduzione è che non ci si muove di un millimetro se non c’è il via libera di Palazzo Grazioli: basti vedere la faticaccia per dare il via libera all’emendamento D’Attorre (quello che rende valido l’Italicum solo alla Camera e lascia il Senato con un sistema proporzionale) che nelle intenzioni è un modo per blindare anche l’abolizione dell’assemblea elettiva di Palazzo Madama, ma nei fatti è una partita comunque rischiosa (anche dalle parti della Consulta). E ancora più notevole la questione della parità di genere, comunque la si pensi nel merito: le deputate di tutti i partiti chiedono di introdurle, i dirigenti di tutte le forze politiche sono d’accordo, ma i vertici di Forza Italia no. Risultato? Non se ne fa niente. In nome dell’intesa Renzusconi, la minoranza (l’oligarchia berlusconiana) stravince sulla maggioranza, cioè il resto del Parlamento.
Renzi: “La maggioranza ha tenuto nonostante voti difficili”
Oddio, “marcia” non è più il verbo corretto per questa legge elettorale, visto che a dicembre Renzi aveva detto che la legge elettorale poteva essere approvata nella prima settimana di febbraio e invece si arriverà almeno a lunedì, cioè alla seconda settimana di marzo. Il capo del governo è ottimista: “Alla Camera abbiamo avuto molti voti su questioni difficili, come le soglie – dice alla Stampa – E sono andati bene perché la maggioranza ha tenuto”. Il capo del governo ignora anche le questioni di presunta incostituzionalità per via del fatto che la legge elettorale sarà valida per Montecitorio ma non per il Senato: in questo senso si sono espressi costituzionalisti (anche vicini al Colle, come Michele Ainis) e in altri casi già si parla di ricorso alla Corte Costituzionale (lo ha detto Mario Mauro). La prudenza di Napolitano (“Prima di promulgare ci sarà un esame attento”) è significativa.
Finora ha tenuto, è vero, ma chiamarla maggioranza è riduttivo: è da ricordare infatti che in realtà sarebbe la “larga maggioranza” auspicata dal presidente Giorgio Napolitano e ricercata dallo stesso Renzi quando a inizio gennaio ha proposto l’intesa sulle riforme al Movimento Cinque Stelle (che ha rifiutato) e a Forza Italia (che ha accettato). Non ci sono solo i partiti che sostengono il governo, ma anche il cospicuo numero di seggi di Forza Italia. Mentre i numeri dei due giorni di voti sono scesi da una piattaforma teorica di 461 voti ai 292 voti su alcuni emendamenti sui quali i deputati si sono espressi a scrutinio segreto. Nella partita del Senato sono destinati a riemergere soprattutto le battaglie sulla definizione della soglia di sbarramento per entrare in Parlamento (4,5% per i coalizzati, 8% per i non coalizzati e anche qui bordate da Roberto D’Alimonte, ex “tecnico” di Renzi) e del premio di maggioranza alla coalizione vincente (attualmente al 37%).
Preferenze, battaglia (e rischi) passano al Senato
E soprattutto ci sono le preferenze. Silvio Berlusconi, anche in questo caso, è l’unico che non le vuole e per questo motivo non si introducono. La Camera ieri sera ha respinto, con momenti anche di tensione, l’emendamento che avrebbe eliminato le liste bloccate. Finché accade alla Camera il rischio è ridotto: il Pd – grazie al Porcellum – può contare su un margine significativo. Ma al Senato la storia è tutta diversa sulle pr. Secondo un calcolo di alcune settimane fa (cioè un’era fa: c’era ancora Letta premier) elaborato dall’agenzia politica Public Policy se per ipotesi votassero insieme i non berlusconiani e i non renziani (cioè coloro che non vogliono le preferenze e coloro che difendono i berlusconiani) si arriverebbe sulla carta a 170 voti. Sia la minoranza interna del Pd, ieri con Gianni Cuperlo, sia il Nuovo Centrodestra, hanno ribadito la volontà di sollevare il tema durante l’esame in Senato. “Purtroppo nè Forza Italia nè il Pd le vogliono – dice Maurizio Lupi – Ma noi riteniamo gusto che i cittadini siano liberi di scegliere. Per fortuna alle prossime Europee le preferenze potranno essere espresse”. Emendamenti sulle preferenze sono stati presentati anche da Udc, Popolari per l’Italia, Scelta Civica. A favore è Sel. A favore si è pronunciato più volte il Movimento Cinque Stelle. Detto più semplice: servirà tutto l’impegno dei dirigenti del Pd per far rispettare la cosiddetta “disciplina di partito”. Ieri a Montecitorio tra i più scatenati sul punto erano Rosi Bindi e il lettiano Marco Meloni. Non grillini, ma praticamente il cuore del Pd.
Scontro Finocchiaro-Sisto: “Cambieremo la legge”, “Sconcertante”
La riprova arriva dal duello ad Agorà, su Rai3, tra i presidenti delle commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) e Anna Finocchiaro (Pd). La Finocchiaro avverte che sulla norma per la parità di genere, Palazzo Madama interverrà, così come sulla soglia di sbarramento dei partiti che vanno da soli. Ma Sisto protesta: “Ha per caso parlato con Renzi per dire che al Senato la legge elettorale verrà cambiata?”. “Lavoreremo in Commissione per una norma sulla parità di genere – avverte Finocchiaro – La soglia dell’8% per i partiti che vanno da soli, poi, è molto, molto alta. Per quanto riguarda il premio di maggioranza, invece, una soglia ragionevole è il 40%“. “Con Renzi è iniziata un’era? Dovrà dimostrarlo lui con i fatti – risponde la senatrice Pd – la svolta giovane e rosa del governo va benissimo. Gli attacchi alle ministre sono attacchi sessisti contro donne giovani, belle e con posizioni importanti. Si tratta semplicemente di invidia. Vedremo dopo se è un bene, ma io sono sicura che lasceranno il segno”. “C’è un patto con Matteo Renzi e la presidente Finocchiaro si permette di dire che al Senato sarà cambiato? Io trovo assolutamente sconcertante che il presidente della prima Commissione del Senato si permetta di ipotizzare dei mutamenti sulle soglie e dei mutamenti sulla soglia massima per il premio di maggioranza come se fosse la cosa più naturale del mondo”, ribatte Sisto. “Io trovo sconcertante che di fronte a un patto che è stato raggiunto fra Renzi e Berlusconi, si possa pensare già con riserva mentale al Senato di mutare questo patto – conclude l’esponente di Fi – Io le dichiarazioni della collega Finocchiaro le trovo sconcertanti sul piano del rispetto e mi auguro che siano un’iniziativa personale del presidente Finocchiaro, in nessun modo sponsorizzate dal presidente del Consiglio e segretario del partito. Se non fosse così, sarebbero molto gravi”. Parole definite “confortanti” dal lettiano Marco Meloni, tra i più agguerriti alla Camera e firmatario di un emendamento sulle primarie obbligatorie. Dario Ginefra (Pd, cuperliano) non vede l’ora di partecipare alla zuffa: “Sisto si ricordi di essere il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera e non il Mosè del Parlamento italiano e si dia pace: l’accordo tra le forze politiche che sostengono il cosiddetto ‘Italicum’ è un buon punto di partenza, ma non può essere considerato inemendabile”.
Civati: “Non possiamo migliorare la legge per l’accordo Renzi-B”
“In base all’accordo Renzi-Berlusconi – dice Pippo Civati – i parlamentari del Pd devono votare contro tutte le modifiche migliorative della legge Italicum e a favore praticamente solo del suo dimezzamento (di un Italicum valido solo per la Camera). Ogni emendamento va bocciato: così è capitato per le soglie di sbarramento, che rimangono, sulla base dell’accordo Renzi-Berlusconi altissime, fino all’8% (come solo in Turchia) per le forze non coalizzate. Così capiterà per le quote rosa, nonostante la ribellione di donne e uomini all’interno del gruppo Pd. Così sta capitando sul conflitto di interessi, sempre per l’accordo Renzi-Berlusconi”. Il deputato brianzolo dice di aver presentato un testo che potrebbe essere votato a larga maggioranza: Sarebbe una maggioranza diversa rispetto a quella della legge elettorale. Berlusconi non gradirà e probabilmente dirà che se c’è una proposta del genere lui farà saltare l’accordo lo stesso. Magari tra un pochino, quando farà più male. Ma la domanda non più rinviabile è: il Pd vuole salvare se stesso, la dignità della politica e il paese, oppure ha altre priorità?”. E quindi sulla riforma elettorale “bruttissima” non si capisce “perché non la si voti senza Berlusconi (i voti ci sarebbero, sono quelli della maggioranza di governo, che è comunque bipartisan, anzi tripartisan, perché unisce parti di destra, centro e sinistra, almeno elettoralmente parlando) e perché non si facciano meglio le cose”. Per Civati “a volte far saltare gli accordi (con il diavolo) può essere un’ottima idea. Soprattutto se, come in questo caso, al diavolo stai vendendo l’anima. Dei tuoi elettori”.
Forza Italia salva la legge dai franchi tiratori
D’altra parte si capisce anche perché Renzi, Delrio e Guerini continuano a dire “si cambia solo con il sì di tutti”, cioè di Forza Italia. I berlusconiani stanno portando i voti, quelli che in certi casi sono mancati al Pd. E infatti da quelle parti si esulta: “Legge elettorale, Camera respinge emendamenti per abbassare le soglie. Forza Italia decisiva, senza di noi mancano i numeri!” scrive Mariastella Gelmini. “Sulla legge elettorale decisivi i voti di Forza Italia – ribadisce Renata Polverini – La maggioranza di Renzi traballa al primo voto in Aula alla Camera”. Sembrano rivendicazioni, ma sono avvertimenti recapitati a Palazzo Chigi. Senza i voti di Forza Italia la riforma elettorale non va da nessuna parte. Con il senno di poi, ma anche con il senno di prima, si capisce perché Renzi è dovuto andare a cercare intese in giro: sapeva già che con la maggioranza traballante intorno al Pd le riforme non sarebbero andate da nessuna parte. Una clausola di sicurezza, per non fallire. Resta da capire se basterà.