“Sanzioni mirate” contro i responsabili delle violazioni alla sovranità dell’Ucraina. “Mosca è isolata nel mondo” e “ulteriori provocazioni la isoleranno ancor di più”. Così Barack Obama commenta la crisi nei rapporti con la Russia e annuncia un pacchetto di sanzioni economiche volte a punire il Cremlino e i suoi alleati dopo il referendum in Crimea. Le sanzioni, decise per decreto, includono il congelamento dei beni e il bando ai visti di immigrazione negli Usa per sette cittadini russi e quattro ucraini, tra cui l’ex-presidente Viktor Yanukovich. Tra i russi ci sono l’uomo d’affari e “ideologo” del Cremlino, Vladislav Surkov, e il parlamentare della Duma Leonid Slutsky. Il primo nome della lista è quello di Sergei Aksyonov. Fra i tredici russi, tre militari ed il vicepresidente della Duma, Sergei Zheleznyak. “Compagno Obama, cosa dovrebbero fare coloro che non hanno conti né proprietà all’estero? Non ci avete pensato? – scrive il vice premier russo Dmitry Rogozin su Twitter – Penso che il decreto del presidente degli Stati Uniti sia stato scritto da qualche burlone”.
Con le nuove misure, spiega la Casa Bianca, gli Stati Uniti puntano a colpire l’economia di Mosca. In particolare, ci si aspetterebbe un vantaggio del 3% nel cambio tra il dollaro e il rublo. Obama spiega che si tratta delle sanzioni più severe dalla fine della Guerra Fredda, ma non chiude completamente la porta ai negoziati. “C’è ancora un percorso diplomatico per risolvere la crisi”, spiega. Oltre i provvedimenti appena annunciati, l’amministrazione e la politica americane in queste ore riflettono però sul futuro. Cosa fare di fronte a un atto – l’annessione in Crimea – che pare ormai inevitabile? Come comportarsi nei confronti della Russia di Putin? E, più in generale, quali strumenti adottare per ripensare la politica estera americana sul lungo periodo?
I repubblicani sinora hanno duramente contestato la linea sin qui seguita da Obama, giudicandola troppo morbida e arrendevole. John McCain, senatore dell’Arizona, ha chiesto che gli Stati Uniti forniscano immediata cooperazione militare all’Ucraina e che ripensino allo sviluppo di un sistema di difesa missilistica nell’Europa orientale. Dick Cheney, l’ex- vice-presidente, ha spiegato che gli Stati Uniti, di fronte alla possibilità dell’annessione della Crimea, avrebbero dovuto lanciare immediate esercitazioni militari con la Polonia. La risposta della Casa Bianca è arrivata attraverso il senior adviser Dan Pfeiffer. “Aspettate e vedrete – ha detto Pfeiffer a Nbc – a breve arriveranno le sanzioni e la cooperazione promessa all’Ucraina”.
Implicito nei discorsi di molti a Washington – favorevoli o meno a quest’amministrazione – è comunque soprattutto un tema. La crisi ucraina porta a compimento una fase della politica estera americana e apre una serie di interrogativi cui al momento pare difficile dare risposta. Obama e i suoi più stretti consiglieri in politica estera sono infatti convinti che, sul lungo periodo, l’occupazione della Crimea e la politica espansionistica russa avrà conseguenze devastanti sul potere di Mosca. “La Russia è destinata a diventare un regime corrotto e autoritario fondato sullo sfruttamento del gas e del petrolio”, ha spiegato una fonte anonima dell’amministrazione a “The American Interest”. Un regime di questo tipo, sempre a giudizio di Obama e dei suoi, sarà un attore internazionale debole e naturalmente marginalizzato.
Se la strategia può valere sul lungo periodo, resta però da capire cosa fare nel medio periodo. Le accuse dei repubblicani sono sicuramente strumentali – “Non essere intervenuti in Siria ha dato a Putin semaforo verde in Crimea”, ha detto McCain; ma l’invasione dell’Iraq non impedì a Putin di andare in guerra contro la Georgia. La strumentalità delle accuse non cancella però il dato essenziale. E cioè che Putin ha messo le mani sulla Crimea, probabilmente in modo definitivo, e non c’è nulla che l’amministrazione possa fare per modificare questa realtà. Le continue condanne e le sanzioni rischiano anzi di evidenziare un fatto: la debolezza americana, la capacità da parte delle altre potenze di sfidare apertamente la volontà di Washington. “Abbiamo cominciato col levare di mezzo in qualsiasi crisi l’opzione militare. E il risultato è che non siamo più credibili”, ha spiegato proprio Dick Cheney, uno dei sostenitori più decisi dell’espansionismo militare e politico Usa.
La scelta di Obama è stata invece, sin dall’inizio, un’altra. Di fronte al fallimento delle “guerre stupide” – l’Afghanistan, l’Iraq – il presidente ha sempre invocato l’approccio dell’“impronta leggera”: un intreccio di concertazione internazionale, consultazione con gli alleati, interventi militari considerati come l’ultima spiaggia e comunque portati avanti in collaborazione con la comunità internazionale. In questa strategia il principale “braccio armato” dell’amministrazione non è stato tanto il Pentagono, quanto piuttosto il Tesoro Usa, strumentale all’imposizione di sanzioni più o meno dure ai governi che sfidano il volere di Washington. Quando ci si è rivolti all’uso della forza, lo strumento non è stato quello più tradizionale – occupazione militare, raid aerei, bombardamenti – ma i raid dei droni, i cyber-attacchi e le azioni delle unità delle Special Operations, capaci di agire in silenzio e di dimostrare la superiorità tecnologica americana.
La mano del “soft power” di Obama, contrapposto all’“hard power” degli anni di George W. Bush e dei neocons, non ha però sortito gli effetti voluti e ora tutta la strategia obamiama viene messa in discussione, più o meno apertamente. Oltre alla sfida aperta che al potere di Washington sta lanciando la Russia di Putin, ci sono stati i scarsi risultati nella crisi siriana – dove i modesti aiuti militari ai ribelli e l’applicazione di sanzioni non sono riusciti a mettere fine alla carneficina – e le difficoltà che l’amministrazione Usa continua ad affrontare nei negoziati con l’Iran e la Corea del Nord. Il caso dell’Ucraina è però, in qualche modo, ancora più grave per l’amministrazione perché, come ha spiegato l’ex consigliere alla sicurezza nazionale Thomas Donilon, “mette in discussione l’ordine post-Guerra Fredda in Europa, che gli Stati Uniti hanno contribuito a creare”. In privato sembra che Obama respinga molte di queste critiche spiegando che la sua amministrazione sta sovrintendendo a una fase irreversibile di ritiro della potenza americana nel mondo. Ma è una verità che ha scarse possibilità di essere articolata in pubblico, e che lascia aperti tutti i dubbi e gli interrogativi di queste ore su “cosa fare?” in Crimea.
“I ministri degli Esteri europei si sono messi d’accordo sulle sanzioni e il divieto di visti. Non è che noi volessimo sanzioni, ma dopo il cosiddetto referendum in Crimea serviva un passo” dice la cancelliera Angela Merkel dopo l’incontro con il premier Matteo Renzi. Che aggiunge: ” Sull’Ucraina “Italia e Germania e gli altri paesi Ue hanno lavorato e lavorano per tenere aperto un forte canale di dialogo. Diciamo che il referendum di Crimea è illegittimo”.
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