E’ corsa contro il tempo per dire definitivamente addio alle Province. La deadline è fine marzo, altrimenti scatterà l’indizione dei comizi elettorali per tutte quelle Province italiane – 52 a statuto ordinario più altre 21 già commissariate nel 2012/2013 – i cui organi elettivi sono in scadenza e pronti al rinnovo nell’election day del 25 maggio prossimo. L’intoppo formale l’aveva rilevato qualche giorno fa Virginio Merola, renziano, sindaco di Bologna, durante la presentazione di un percorso di democrazia partecipata già pronto per la futura Bologna “città metropolitana”, che dovrebbe sorgere dopo la cancellazione della Provincia: “Se non si approva il ddl Delrio entro fine marzo si andrà a votare per le Province – ha affermato – Senatori, togliete gli emendamenti, l’occasione di abolire le Province attesa da 20 anni e istituire le ‘città metropolitane’ è adesso”. L’unica certezza è che il disegno di legge Delrio approderà in Aula al Senato martedì prossimo, 25 marzo, se allora sarà terminato il lavoro in commissione. Ci sarà una discussione di 11 ore e le dichiarazioni di voto sono fissate per il giorno successivo alle 16,30 e il voto finale verso le 18. L’intenzione della maggioranza è di andare in Aula martedì anche senza il relatore ma, in quel caso, ci vuole una nuova capigruppo per consentirlo.
L’eliminazione definitiva delle Province è in previsione da quasi 3 anni. Nel dicembre 2011 il governo Monti impose il decreto Salva Italia dove si prevedeva la cancellazione della giunta provinciale e dell’elezione diretta di consiglio e presidente. Poi nel luglio 2013 il primo stop dalla Corte Costituzionale: la forma “decreto” si usa per fronteggiare le urgenze e non per riforme organiche di sistema. Da qui inizia il lavorio incessante dell’ex ministro del governo Letta per gli Affari Regionali, Graziano Delrio, ora braccio destro e sottosegretario alla presidenza del consiglio. Il disegno di legge Delrio arriva in commissione alla Camera nel dicembre 2013. Forza Italia, M5s e Lega Nord erigono barricate, ma il voto in aula dopo tre settimane di battaglia cancella ogni dubbio e nel gennaio 2014 il disegno di legge che mira a svuotare per via legislativa l’ente provincia arriva al Senato.
“E poi c’è lo stop dovuto alla crisi del governo Letta e al successivo arrivo di Renzi – spiega il senatore Giorgio Pagliari del Pd, membro della prima Commissione permanente sugli affari costituzionali del Senato – Il quadro è problematico perché a Palazzo Madama le perplessità sul ddl attraversano la nuova maggioranza di governo”. Sono 4mila gli emendamenti che in queste ore vengono presi in esame in commissione Affari Regionali del Senato. Emendamenti che arrivano prima di tutto dal Nuovo Centrodestra, Forza Italia, Scelta Civica, Movimento 5 Stelle e infine dalla Lega Nord che con il solo Roberto Calderoli ne propone diverse centinaia: “E’ stato fatto un gran lavoro fino ad ora sul tema, soprattutto dell’ex relatore il senatore Luciano Pizzetti, ma non siamo mai stati in dirittura d’arrivo. Avere la maggioranza al Senato e ancora più improbabile che averla in Commissione: siamo in 27, votano in 26 escluso il presidente, e a sostenere il disegno di legge ci siamo solo noi del Pd”.
“Sono ottimista di natura e non c’è nemmeno stato nessun rallentamento tra Camera e Senato”, spiega al fattoquotidiano.it il sottosegretario agli Affari regionali del governo Renzi, Gianclaudio Bressa. “E’ chiaro però che la maggioranza nelle due aule è diversa, anche se a mio avviso i tempi a disposizione per votare in aula ci sono – continua – Non vedo infine particolari urgenze per le Province in scadenza perché è già stata prolungata la copertura del commissariamento prevista già nel provvedimento Monti fino al 30 giugno 2014. Semmai bisogna intervenire sull’aumento dei consiglieri comunali nei piccoli comuni, che andranno al voto tra pochi mesi, come previsto dal ddl Delrio, numero invece ridotto da Monti”.
Di tutt’altro avviso il senatore Giovanni Endrizzi dei 5 Stelle: “Il disegno di legge ha criticità multiple e sta in piedi perché il promotore è il braccio destro di Renzi. Lo scetticismo è trasversale: è irrisorio il risparmio per le casse dello Stato, la semplificazione amministrativa non c’è e la fase di transizione è fumosa e complicata. Insomma, si corre per appianare un impianto di legge inadeguato”. Nelle ultime ore i rumors tra i corridoi di Palazzo Madama davano per probabile un accordo tra Forza Italia e Pd con una sorta di ‘spacchettamento’ del ddl in modo da arrivare velocemente al voto in Aula: “A noi questo accordo non risulta, anzi in Commissione si è sentita l’esigenza di discutere un disegno di legge costituzionale parallelo al ddl Delrio, dal respiro più ampio slegato dalla scadenza di fine marzo che possa abolire definitivamente le Province. Capisco la fretta mediatica del premier, ma possiamo intervenire sul sistema amministrativo locale in modo più radicale e dettagliato rispetto al Salva Italia e al ddl in esame. Cito solo un esempio: si parla di città metropolitane al posto delle province, ma ora come ora, il sindaco di queste nuove entità non verrà eletto direttamente dai cittadini, ma dai piccoli Comuni. Non possiamo barattare l’urgenza al posto della legittimazione popolare”.
Per giunta una fonte di governo fa notare come “Forza Italia e Lega continuino ad alzare l’asticella delle richieste”. L’ultima richiesta messa sul tavolo delle trattative è infatti l’elezione diretta del presidente della Città metropolitana, che secondo il testo attuale sarebbe di diritto il sindaco della Comune capoluogo con la possibilità di prevedere l’elezione diretta con un procedimento di revisione dello statuto. “Non possiamo accettare – spiega Pierantonio Zanettin (Forza Italia) – che con un colpo di mano il centrosinistra si prenda la presidenza delle Città metropolitane visto che, tendenzialmente, i sindaci delle grandi città sono quasi sempre di centrosinistra”.