“Una struttura illegale” all’interno di enti pubblici che opera su due piani ma al servizio esclusivo del direttore generale di “Infrastrutture Lombarde”. Antonio Giulio Rognoni in pole position fino a qualche settimana fa per diventare subcommissario per Expo2015 è arrestato nell’inchiesta che ha portato allo svelamento di una appalti truccati e strane concessioni di contratti di consulenze: 8 in totale gli arrestati (due in carcere e sei ai domiciliari) e una trentina di indagati. L’inchiesta ha di fatto decapitato la controllata della Regione Lombardia per la realizzazione di opere come ospedali, scuole ma anche il nuovo Pirellone, incaricata di conferire consulenze e assistenze legali stragiudiziali e assistenza tecnica-amministrativa per lavori legati a Expo. Ed è sull’esposizione universale, gli appalti e i lavori da assegnare – una torta da oltre 11 miliardi di euro – che emergono “manovre occulte” per pilotare gli appalti. Almeno due i casi individuati dalla Procura di Milano e riconosciuti dal giudice per le indagini preliminari tra i 70 capi di imputazione contestati a vario titolo: associazione a delinquere, truffa aggravata, falso e turbativa d’asta.
Tra gli indagati l’ex colonello De Donno e le figlie di Daccò. Tra gli indagati – secondo il gip di Milano Andrea Ghinetti – c’è una cerchia di professionisti (avvocati e ingegneri) totalmente impegnati ad “accaparrarsi il maggior numero di commesse pubbliche” generando di fatto un “organismo parallelo costituito da consulenti esterni”. Ma non solo; scorrendo i 70 capi di imputazioni spunta un nome noto alle cronache giudiziarie per altre vicende: quello di Giuseppe De Donno, l’ex colonnello del Ros imputato nel processo sulla Trattativa. Non più carabiniere l’ex militare è entrato nel settore della sicurezza privata per vigilare su eventuali infiltrazioni criminali, ma ora deve rispondere di falsità materiale, turbativa d’asta e truffa. Come amministratore delegato della società G-Risk avrebbe messo le mani su gare di Infrastrutture lombarde per la “rilevazione e gestione dei rischi ambientali”. Nel registro degli indagati sono finiti anche anche i nomi di Erika e Monica Daccò, figlie di quel Pierangelo Daccò, condannato per il crac San Raffaele e coimputato con Roberto Formigoni nell’inchiesta Maugeri. A loro, responsabili della società Poliedrika, sarebbe stato dato senza bando un incarico per “un’attività di promozione a marketing” della commercializzazione del 31° piano del Pirellone.
Rognoni e le “manovre occulte” sugli appalti Expo. Ma è Rognoni, secondo il gip “il capo indiscusso del sodalizio… La sua condotta denota una non comune pervicacia ed al contempo disinvoltura nel momento in cui pianifica e coordina la consumazione di numerosissime condotte di reato. Tale spregiudicata disinvoltura nella esecuzione dei reati e il ruolo, che egli esige, di colui che tutto deve sapere e di colui che prende le decisioni strategiche anche illecite, rivelano un carattere di particolare pericolosità in relazione a talune azioni collusive realizzate in procedimenti di evidenza pubblica di enorme rilevanza strategica oltre che economica, tenuto conto (anche) del mancato interesse collettivo alla realizzazione di opere di rilevantissima consistenza e valore”. Come alcuni degli appalti di Expo. Il gip osserva che, riguardo agli appalti individuati come truccati, i documenti informatici e dalle intercettazioni “hanno dimostrato come i soggetti assegnatari fossero stati individuati con largo anticipo…”. Sicuramente per gli inquirenti è stata “gravemente turbata” una gara del valore di 1,2 milioni di euro riguardante l’affidamento “a professionisti esterni dei servizi legali” nell’attività di Infrastrutture Lombarde di “supporto e assistenza ad Expo 2015 spa”, ma “ruolo e compiti di Rognoni in relazione all’assegnazione degli incarichi si evincono – scrive il gip nell’ordinanza – poi esplicitamente nella parte in cui vengono rappresentate le manovre occulte finalizzate a pilotare gli affidamenti tecnici presso al direzione lavori nell’ambito delle opere di realizzazione della cosiddetta ‘Piastra’ Expo…” appalto poi finito all’azienda Mantovani, finita nel mirino della Procura di Venezia per presunte tangenti e fatture false un anno fa.
Proprio su quell’appalto vinto il gip evidenzia che dopo che Roberto Formigoni si era lamentato pubblicamente della gara vinta con un ribasso del 43% dalla Mantovani il sottosegretario alla presidenza pro tempre aveva invitato Rognoni a evitare una brutta figura che si sarebbe tradotta in una “sconfitta politica evidente”. Formigoni infatti aveva diffuso un comunicato stampa per manifestare la sua preoccupazione per l’eccessivo ribasso. Così Rognoni aveva attivato i suoi collaboratori affinché ottenessero garanzie ulteriori all’azienda. Iniziative commentate così da due degli indagati: “Sono tutte turbative, sono tutti abusi…”, “… il problema è che vogliono ricattare Mantovani… se non mi fai le garanzie io non ti aggiudico… siamo al delirio mistico”.
Dagli atti emergono accordi su “future gare”. Sono due le gare relative all’Expo che, a leggere l’ordinanza di custodia cautelare, sarebbero state inquinate indette da Infrastrutture Lombarde per affidare a professionisti esterni la preparazione di “atti e documenti necessari per l’avvio e lo svolgimento delle procedure di affidamento afferenti alla realizzazione delle opere di costruzione per il Sito per l’Esposizione Universale, sino alla stipula dei relativi contratti di appalto”. Tra gli indagati c’è anche Cecilia Felicetti, il direttore generale di Arexpo (che in una nota sostengono che “le indagini attualmente in corso non riguardano la società“) tra le cui funzioni c’è l’acquisizione delle aree del sito Expo. Secondo il giudice “emerge dagli atti e dai testi delle telefonate riportate che con l’accordo della Felicetti gli indagati hanno già predeterminato l’assegnazione di future gare“.
Inoltre per il gip il sistema messo in piedi dall’ex dg creava un “clamoroso e spudorato conflitto di interessi“, situazione che si è verificata anche per quanto riguarda la costruzione di Palazzo Lombardia per la “collusione tra professionisti appaltatori dei servizi legali e partecipanti risultati vincitori alle gare, i quali erano contemporaneamente seguiti – per quelle stesse gare – dai rispettivi studi professionali, in clamoroso e spudorato conflitto di interessi”. Emblematico è proprio il caso della nuova sede della Regione voluta dall’ex governatore Formigoni.