A ciascuno il suo Berlinguer. Dieci anni fa, nel ventennale della morte dell’ultimo, vero segretario generale del Pci, secondo la definizione del compianto Edmondo Berselli, la retorica comunista fu un po’ meno ipocrita dello tsunami di questi giorni, complice il film veltroniano. Una pellicola che rilancia il mito del Berlinguer santino e dunque sfugge e svicola dal duro compito di fare i conti con l’eredità berlingueriana. Sì, soprattutto con la questione morale. In un video del fattoquotidiano.it la giovane vestale renziana Maria Elena Boschi è la perfetta rappresentazione di questa nuova doppiezza. Prima celebra la questione morale, poi di fronte alle domande sui quattro impresentabili del Pd al governo (Barracciu, Bubbico, Del Basso De Caro, De Filippo, senza dimenticare la richiesta d’arresto per Francantonio Genovese) scappa imbarazzata e silente. La questione morale è più che mai attuale (litania purtroppo che si alza ogni volta che si ricorda “Enrico”), anche a sinistra, e giova ricordare che fu proprio il Pci di Berlinguer a coniare l’espressione “mani pulite”. Era il 1975 e i manifesti per le amministrative avevano uno slogan fortissimo: “Noi abbiamo le mani pulite”.
video di Annalisa Ausilio
Quando Fassino lo faceva giocare con la morte
L’altra sera, a Roma, all’anteprima dell’opera di Walter Veltroni c’era tutta la classe dirigente postcomunista che dieci anni fa tentò di regolare i conti con il berlinguerismo. A partire dalla questione morale, ovviamente. Il colpo più duro lo portò Piero Fassino, oggi sindaco renziano di Torino (e autocandidatosi al Quirinale tra un anno), nella sua autobiografia Per passione: “Mi è capitato spesso di pensare a Berlinguer come a un campione di scacchi che sta giocando la partita più importante della sua vita… guardando la scacchiera il campione si accorge che, con la prossima mossa, l’avversario gli darà scacco matto. Ha un solo modo per evitarlo: morire un minuto prima che l’altro muova”. Parole tremende, che si inseriscono nel pieno della ridondante riscoperta a sinistra di una parola d’ordine: riformista. La metafora fassiniana è fin troppo chiara. La solitudine dello scacchista Berlinguer è colpa del “ripiegamento nella predicazione moralistica” (Il Riformista del 28 agosto 2003). E questo ripiegamento, cioè “la questione morale, il mito di una propria irriducibile diversità antropologica, la parola d’ordine dell’austerità, è lo specchio di questa crisi” (sempre Il Riformista).
Insomma, Berlinguer rinchiuse il Pci “in un ghetto”. Fassino all’epoca era con D’Alema e la condanna della questione morale divenne il tratto distintivo, che piaccia o no, della nuova sinistra riformista. Non solo per giustificare la normalità e il gestionismo di governo (con relativi scandali e inchieste), ma anche e soprattutto per dare un senso al dialogo con Silvio Berlusconi. Ieri Craxi, oggi Berlusconi. Fu addirittura Cesare Romiti a rinfacciarlo proprio a Fassino in un dibattito: “Enrico Berlinguer era un uomo di grande onestà morale. Evidentemente non voleva unirsi a un’altra forza politica perché per lui c’era un problema di moralità, c’era una questione che non poteva accettare”. Ieri il Psi, oggi Forza Italia.
I riformisti volevano dimenticarlo. Poi hanno preferito annetterlo
Tutto il filone riformista per la serie “Dimenticare Berlinguer”, dal titolo del libro di Miriam Mafai, trova la sua ragion d’essere nell’esponente del Pci più alto in grado che nell’estate del 1981 si oppose alla questione morale di Berlinguer, nella nota intervista a Eugenio Scalfari per La Repubblica: Giorgio Napolitano, capo dello Stato da otto anni e ospite d’onore l’altra sera all’anteprima del film. La prima reazione di Napolitano fu quella di telefonare a Gerardo Chiaromonte: “Eravamo entrambi sbigottiti perché in quella clamorosa esternazione di Berlinguer coglievamo un’esasperazione pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a fare politica visto che non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e negavamo che gli altri partiti, ridotti a ‘macchine di potere e di clientela’, esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo confrontarci”. Analoghe dichiarazioni, in quegli anni, le faranno D’Alema, Luciano Violante e, nei fatti, lo stesso Veltroni.
Quest’ultimo, infatti, condusse la campagna elettorale del 2008 senza mai citare il suo avversario Berlusconi. Guai a demonizzarlo o a parlare dei suoi guai giudiziari o dei suoi conflitti d’interessi. Il paradosso è che tutto questo ha condotto l’odierna sinistra del Pd in un guado, senza i cosiddetti pensieri lunghi. I tatticismi che hanno consumato e dilapidato voti e credibilità da un lato hanno causato le accuse di Berlusconi sulla “sinistra giustizialista e comunista, dall’altro hanno fatto diventare Berlinguer un’icona di tutti quelli che non votano più la “ditta”, perché nauseati e sfiduciati. Ecco Antonio Di Pietro nel dicembre del 2003 contro i dalemiani: “Noi della questione morale facciamo una battaglia politica e questa battaglia viene vista con sofferenze”. L’unica eredità berlingueriana che i presenti dell’altra sera hanno custodito a lungo è quella del compromesso storico. Alias consociativismo e larghe intese. Ma si può mettere sullo stesso piano il dramma di Moro e Berlinguer con gli inciuci di D’Alema e Berlusconi, prima, e Renzi e Verdini, poi?
Il futuro è il bimbo fiorentino “che si è mangiato i comunisti”
Oggi a tirare fuori dal guado il Pd c’è Matteo Renzi, ex democristiano che è stato soprannominato “il bambino che si è mangiato i comunisti”. Allo stesso tempo la nostalgia per Berlinguer, seppure nell’eterna forma di santino, torna far piangere i postcomunisti. Prima o poi bisognerà ripartire da lì. Dalla questione morale. Dalle mani pulite.
Da Il Fatto Quotidiano del 22 marzo 2014
Politica
Il Partito democratico santifica Berlinguer ma non pensa a Genovese
La classe dirigente democratica, a pochi giorni dalla presentazione del film di Walter Veltroni, elogia la figura dell'ultimo leader del Pci, morto 30 anni fa che per primo parlò di "questione morale". Ma sembra che i suoi princìpi non siano ancora stati messi in pratica dagli eredi: vedi i casi Genovese, Barracciu e Bubbico
A ciascuno il suo Berlinguer. Dieci anni fa, nel ventennale della morte dell’ultimo, vero segretario generale del Pci, secondo la definizione del compianto Edmondo Berselli, la retorica comunista fu un po’ meno ipocrita dello tsunami di questi giorni, complice il film veltroniano. Una pellicola che rilancia il mito del Berlinguer santino e dunque sfugge e svicola dal duro compito di fare i conti con l’eredità berlingueriana. Sì, soprattutto con la questione morale. In un video del fattoquotidiano.it la giovane vestale renziana Maria Elena Boschi è la perfetta rappresentazione di questa nuova doppiezza. Prima celebra la questione morale, poi di fronte alle domande sui quattro impresentabili del Pd al governo (Barracciu, Bubbico, Del Basso De Caro, De Filippo, senza dimenticare la richiesta d’arresto per Francantonio Genovese) scappa imbarazzata e silente. La questione morale è più che mai attuale (litania purtroppo che si alza ogni volta che si ricorda “Enrico”), anche a sinistra, e giova ricordare che fu proprio il Pci di Berlinguer a coniare l’espressione “mani pulite”. Era il 1975 e i manifesti per le amministrative avevano uno slogan fortissimo: “Noi abbiamo le mani pulite”.
Quando Fassino lo faceva giocare con la morte
L’altra sera, a Roma, all’anteprima dell’opera di Walter Veltroni c’era tutta la classe dirigente postcomunista che dieci anni fa tentò di regolare i conti con il berlinguerismo. A partire dalla questione morale, ovviamente. Il colpo più duro lo portò Piero Fassino, oggi sindaco renziano di Torino (e autocandidatosi al Quirinale tra un anno), nella sua autobiografia Per passione: “Mi è capitato spesso di pensare a Berlinguer come a un campione di scacchi che sta giocando la partita più importante della sua vita… guardando la scacchiera il campione si accorge che, con la prossima mossa, l’avversario gli darà scacco matto. Ha un solo modo per evitarlo: morire un minuto prima che l’altro muova”. Parole tremende, che si inseriscono nel pieno della ridondante riscoperta a sinistra di una parola d’ordine: riformista. La metafora fassiniana è fin troppo chiara. La solitudine dello scacchista Berlinguer è colpa del “ripiegamento nella predicazione moralistica” (Il Riformista del 28 agosto 2003). E questo ripiegamento, cioè “la questione morale, il mito di una propria irriducibile diversità antropologica, la parola d’ordine dell’austerità, è lo specchio di questa crisi” (sempre Il Riformista).
Insomma, Berlinguer rinchiuse il Pci “in un ghetto”. Fassino all’epoca era con D’Alema e la condanna della questione morale divenne il tratto distintivo, che piaccia o no, della nuova sinistra riformista. Non solo per giustificare la normalità e il gestionismo di governo (con relativi scandali e inchieste), ma anche e soprattutto per dare un senso al dialogo con Silvio Berlusconi. Ieri Craxi, oggi Berlusconi. Fu addirittura Cesare Romiti a rinfacciarlo proprio a Fassino in un dibattito: “Enrico Berlinguer era un uomo di grande onestà morale. Evidentemente non voleva unirsi a un’altra forza politica perché per lui c’era un problema di moralità, c’era una questione che non poteva accettare”. Ieri il Psi, oggi Forza Italia.
I riformisti volevano dimenticarlo. Poi hanno preferito annetterlo
Tutto il filone riformista per la serie “Dimenticare Berlinguer”, dal titolo del libro di Miriam Mafai, trova la sua ragion d’essere nell’esponente del Pci più alto in grado che nell’estate del 1981 si oppose alla questione morale di Berlinguer, nella nota intervista a Eugenio Scalfari per La Repubblica: Giorgio Napolitano, capo dello Stato da otto anni e ospite d’onore l’altra sera all’anteprima del film. La prima reazione di Napolitano fu quella di telefonare a Gerardo Chiaromonte: “Eravamo entrambi sbigottiti perché in quella clamorosa esternazione di Berlinguer coglievamo un’esasperazione pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a fare politica visto che non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e negavamo che gli altri partiti, ridotti a ‘macchine di potere e di clientela’, esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo confrontarci”. Analoghe dichiarazioni, in quegli anni, le faranno D’Alema, Luciano Violante e, nei fatti, lo stesso Veltroni.
Quest’ultimo, infatti, condusse la campagna elettorale del 2008 senza mai citare il suo avversario Berlusconi. Guai a demonizzarlo o a parlare dei suoi guai giudiziari o dei suoi conflitti d’interessi. Il paradosso è che tutto questo ha condotto l’odierna sinistra del Pd in un guado, senza i cosiddetti pensieri lunghi. I tatticismi che hanno consumato e dilapidato voti e credibilità da un lato hanno causato le accuse di Berlusconi sulla “sinistra giustizialista e comunista, dall’altro hanno fatto diventare Berlinguer un’icona di tutti quelli che non votano più la “ditta”, perché nauseati e sfiduciati. Ecco Antonio Di Pietro nel dicembre del 2003 contro i dalemiani: “Noi della questione morale facciamo una battaglia politica e questa battaglia viene vista con sofferenze”. L’unica eredità berlingueriana che i presenti dell’altra sera hanno custodito a lungo è quella del compromesso storico. Alias consociativismo e larghe intese. Ma si può mettere sullo stesso piano il dramma di Moro e Berlinguer con gli inciuci di D’Alema e Berlusconi, prima, e Renzi e Verdini, poi?
Il futuro è il bimbo fiorentino “che si è mangiato i comunisti”
Oggi a tirare fuori dal guado il Pd c’è Matteo Renzi, ex democristiano che è stato soprannominato “il bambino che si è mangiato i comunisti”. Allo stesso tempo la nostalgia per Berlinguer, seppure nell’eterna forma di santino, torna far piangere i postcomunisti. Prima o poi bisognerà ripartire da lì. Dalla questione morale. Dalle mani pulite.
Da Il Fatto Quotidiano del 22 marzo 2014
Il gesto di Almirante e Berlinguer
di Antonio Padellaro 8€ AcquistaArticolo Precedente
La vignetta del giorno: La lavagna
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Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "Vogliamo essere gli architetti di una nuova democrazia. La grandissima preoccupazione, pensando al tema della geo cultura è che quando la politica si fa guidare dall’economia, diceva Adam Smith, diventa un problema democratico perché l’economia avrà sempre un interesse diverso dalla politica. Se la politica gestisce l’economia stiamo tutti bene. Ho paura del fatto che nelle mani di pochissime di persone c’è il potere economico, praticamente, di tutti, e che non si colga questo pericolo". Lo ha detto Walter Mauriello, presidente nazionale Meritocrazia Italia, oggi a Firenze, chiudendo il focus dedicato alla Geo cultura, in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
“Meritocrazia Italia - spiega Mauriello - fa passi in avanti molto improntati in termini di qualità e sostanza, ma il leader deve essere un passo indietro rispetto agli altri, non tanto per umiltà, ma per osservare, vedere le qualità e metterle a servizio del gruppo. La politica che stiamo costruendo è attrattiva, vuole dare la possibilità al debole di parlare e al forte di mettersi in discussione, nel rispetto delle regole che evita manganelli e sanzioni e dà la possibilità di una vita equilibrata e felice. Sull’ambiente, ad esempio la geo cultura è stata distrutta dalla necessità di energia. Certo, non si esclude il nucleare, ma è importante sfruttare tutte le risorse, mentre continuiamo ad andare a prendere" energia in Paesi con petrolio "dove l'egemonia è di pochi. Insieme si può realizzare una grande opera. Questo vale anche per la giustizia”.
“Nel nostro cammino abbiamo incontrato tante persone di qualità - conclude Mauriello - La grande certezza è questo gruppo, di cui pensiamo sempre il prossimo step. Abbiamo da tempo interlocuzione diretta con il presidente della Repubblica, con il presidente del Consiglio” e Oltreoceano. "Abbiamo l’ambizione di essere noi stessi, per essere un vero cambiamento".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - In collaborazione con TgPoste.it
Nel 2025 focus su pacchi, risparmio postale, assicurazioni e offerta luce e gas. Sono le priorità di Poste Italiane, messe in fila dall’amministratore delegato, Matteo del Fante, intervistato da Tg Poste all’alba dei conti del gruppo, che ha chiusto il 2024 con numeri record e obiettivi futuri in rialzo. Ora, “rimaniamo focalizzati sulla logistica, in particolare sui pacchi” ma “resteranno importanti i prodotti di risparmio: quest’anno ricorre il 150° anniversario del libretto postale e il centenario del buono fruttifero. Stiamo studiando con Cassa Depositi e Prestiti delle emissioni per celebrare le soluzioni di risparmio più apprezzate dagli italiani, per un valore di 340 miliardi”; per quanto riguarda la protezione “sarà un anno molto positivo” e per “la nostra offerta di luce e gas il 2025 sarà storico perché ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere il milione di contratti. Al momento Poste Energia conta 700mila clienti, abbiamo ancora lavoro da fare”, ha riferito l’Ad. (Video)
“Questa azienda non produce beni fisici ma offre servizi. Se i nostri colleghi operativi e l’azienda tutta non collaborassero non si raggiungerebbero questi numeri. Quando si ottiene più di quello che ci si aspettava, significa che tutti i colleghi ci hanno messo passione ed è la cosa per noi più importante. Un grazie sulla base di risultati concreti”, ha aggiunto poi Del Fante, riferendosi ai 120mila dipendenti di Poste.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Rispetto al sistema geopolitico non riteniamo che sia assolutamente ragionevole togliere dal patto di stabilità la spesa per le armi. Noi pensiamo a una geopolitica che rimetta al centro l'uomo, rimetta al centro il welfare, rimetta al centro la salute. Questi sono temi che dovrebbero essere tolti dal patto di stabilità”. Lo ha detto Andrea Quartini, deputato M5S, nel suo intervento oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
“L'Italia è l'incrocio di tantissime culture, di tantissime lingue, di tantissimi soggetti - argomenta Quartini - Questo rende l'Italia un paese assolutamente particolare. Noi siamo stati i migliori diplomatici del mondo, non a caso. Noi siamo un po' spagnoli, un po' greci, un po' africani, un po' arabi. Questa miscela è straordinaria. Ci può far comprendere quanto è importante il dialogo, quanto si può essere efficaci nella capacità di impostare dei negoziati di pace. Credo che questa forza che l'Italia può esprimere può anche riuscire a far ritornare molti giovani ad occuparsi di politica. E credo che questo sia un tema che ci riguarda nel senso anche di avvicinarsi alle strategie di Meritocrazia Italia. Credo che Movimento 5 Stelle e Meritocrazia Italia su questa linea abbiano molte cose da condividere”.
“Credo fermamente nell'idea di un'Europa che riesce a governare una transizione ecologica - aggiunge Quartini - Quindi, da questo punto di vista, credo ci siano degli aspetti che ci assimilano, che ci possono consentire un dialogo forte. Allo stesso tempo, credo che il tema della pace sia un tema assolutamente importante, rilevante. Sono tre anni che, diciamo, che dobbiamo arrivare a un momento di negoziazione e che probabilmente siamo davvero in ritardo e il prezzo pagato da tanti uomini in Ucraina sia un prezzo troppo alto e poteva essere evitato. Allo stesso tempo riteniamo che si debba farlo in un'ottica di credibilità”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "L'attualità internazionale impone una riflessione. Con determinazione dobbiamo rilanciare quello spirito europeo che l'Italia ha contribuito come Paese fondatore a creare. Dal 1957 i passi in avanti fatti sono stati straordinari, eccezionali, però ora è necessario uno scatto ulteriore. È centrale il tema della difesa, ma in questo ambito le posizioni sono ancora piuttosto articolate all'interno dell'Unione e non è un bene". Lo ha detto Alessandro Battilocchio, deputato Fi, partecipando oggi al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"L'Italia fu uno dei Paesi che prima ancora dei trattati di Roma nel 1954 con De Gasperi lanciò l'idea di una difesa comune - continua Battilocchio - Poi, proprio dalla Francia ci fu una grande frenata. Dopo il trattato di Lisbona sembrava che questo percorso si fosse riavviato con una serie di step previsti che dovranno portare ad una difesa comune, però anche in questo caso, pur in una contingenza difficile, legata alla pandemia, i passi in avanti sono stati assolutamente troppo flebili. Ora il tema è tornato prepotentemente d'attualità e io ritengo che sia importante che si sia aperto un dibattito. Le parole che arrivano da Oltreoceano rappresentano, in questo contesto, una spinta ad accelerare questa discussione".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Credo che, sotto il profilo geo culturale un'enfasi forte sul consesso europeo sia strettamente necessario perché ritengo che si stia perdendo culturalmente un ruolo che il nostro contesto geografico politico ha sempre avuto. Con il linguaggio dei numeri, il valore delle nostre imprese in relazione al totale delle imprese del mondo non è sceso, è crollato in modo ingiustificato. Se confrontate il 2005 con il 2024, vi accorgete che il prodotto interno lordo dell'Europa è passato dal 35% del totale del mondo al 20%. Siamo scesi come peso e come significatività. Se poi andiamo a vedere il peso delle società quotate, nel 2005 e oggi, troviamo che è passato dal 35% del totale a meno del 15%”. Così Maurizio Dallocchio, professore ordinario università Bocconi, intervenendo oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni e i cittadini.
Nel mondo, “le banche europee, sono irrilevanti - aggiunge Dallocchio - La prima banca europea per dimensione di capitalizzazione è dopo il numero 20. Nelle prime 10 ce ne sono 4 americane, 4 cinesi, una della Gran Bretagna e una giapponese. Non ce n'è una europea. Le banche europee, per finanziare le imprese europee, sono fortissime, sono importantissime - evidenzia il professore - Se consideriamo 100 il debito delle imprese europee, 75 è debito bancario e solo 25% è legato ai mercati e all'emissione di titoli obbligazionari. Credo che se partiamo da questi numeri ci rendiamo contro che stiamo diventando, in qualche modo, preda, sotto il profilo economico. Ma - avverte il professore - l'economia influisce sulla politica e sulla società ed evidentemente dà un impulso numerico alla cultura prevalente”.
C’è una concentrazione geopolitica delle maggiori imprese del mondo. “Tra le prime otto per capitalizzazione di borsa, sette sono statunitensi, l'altra è saudita e fa petrolio - illustra l’esperto - Quella che capitalizza di più in borsa, che vale 3.600 miliardi di dollari, molto di più del debito pubblico italiano per intenderci, quasi il doppio del Pil italiano, è una società che appartiene al settore tecnologico. Le sette americane sono tutte imprese tecnologiche. Per cui il secondo elemento di concentrazione, il settoriale, è potentissimo. Le prime otto società per capitalizzazione di borsa, nel 2005, l'anno di riferimento che ho preso insieme al 2024, erano presenti in sei settori diversi: il farmaceutico, diversificato, la grande distribuzione, il bancario, l'oil and gas e le tecnologie. Oggi i settori presenti sono, praticamente, uno”.
Inoltre, “la capitalizzazione di borsa delle prime cinque società al mondo per capitalizzazione - rimarca il professore - valgono il 30% del mercato di tutto il mondo. La sola, Nvidia, che è legata al mondo dell'intelligenza artificiale, da sola pesa una 1,6 tutta la borsa tedesca: una concentrazione dimensionale incredibile, mai esistita in passato. Altamente preoccupante è che si tratta di realtà proprietarie. Nel 2005, delle grandi imprese che connotavano il mondo, la concentrazione della proprietà era altamente diffusa. Nessuno possedeva più del 7 - 8 - 9%. Oggi, le prime otto società per capitalizzazione, si rifanno al nome di un padrone. Sotto il profilo evidentemente economico, finanziario, ma anche sociale e culturale, ha un impatto sul mondo che è straordinario”.
Come Europa, “se vogliamo tornare ad avere il ruolo sotto il profilo culturale in primo luogo sotto il profilo economico e sociale - suggerisce Dallocchio - è necessario accettare che ci sia un debito comune, è necessario provvedere a una difesa comune, al rilancio dei mercati e della finanza, intesa nel senso buono, dei soldi che finiscono alle aziende proveniendo dalle famiglie. È necessaria una fiscalità omogenea ed è necessario prendere consapevolezza del fatto che se vuoi essere competitivo devi investire in tecnologie e in intelligenza, che poi naturale o artificiale, con una visione di lungo periodo che porti a credibilità, a sostenibilità, a visibilità, a credito, che si trasformi anche in credito culturale della nostra Europa”. In questo contesto, l’Italia “è un Paese che paga una valanga di tasse. Partiamo da un livello di tassazione che, rispetto ad altri Paesi è mostruosamente superiore”. Va bene la rottamazione delle cartelle esattoriali? “Si, ma cum grano salis”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - Le elezioni federali del 23 febbraio 2025 sono un momento cruciale non solo per la Germania ma per l’intero panorama politico europeo e internazionale. Per approfondire l'impatto di questo appuntamento elettorale, Adnkronos organizza una diretta speciale targata Eurofocus, direttamente dalla residenza di Hans-Dieter Lucas, l’ambasciatore tedesco a Roma.
Condotto dal direttore Davide Desario e dai vicedirettori Fabio Insenga e Giorgio Rutelli, con la partecipazione dei giornalisti Adnkronos Mara Montanari e Otto Lanzavecchia, lo speciale di domenica comincerà alle 17 e vedrà la partecipazione di molti ospiti italiani e tedeschi, con continui collegamenti anche da Berlino, Francoforte e Bruxelles.
Alle 18, con la chiusura dei seggi e la diffusione degli exit poll, è prevista l’analisi dei primi risultati. Alle 19 un panel di esperti si confronterà sugli scenari del post-voto: quali le coalizioni possibili, e quali i rapporti di forza tra i partiti. Tra le 20 e le 21, infine, il commento della Elefantenrunde, la “tavola rotonda degli elefanti”, confronto tra i leader politici in onda sulle tv tedesche. Un'occasione unica per leggere i risultati, le prospettive e le possibili conseguenze di queste elezioni sul futuro dell'Unione Europea, delle relazioni transatlantiche e degli equilibri globali.
Lo speciale sarà trasmesso sulla homepage e sul canale Youtube di Adnkronos, con 400 siti collegati tra testate nazionali e network locali online. Le notizie sulle elezioni saranno lanciate in tempo reale dall’agenzia, analisi e interviste pubblicate sulportale Eurofocus.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "La politica deve essere capace di guidare la narrazione, le trasformazioni, non deve essere esecutrice di decisioni raggiunte in altri ambiti. Meritocrazia Italia chiede un rinascimento della politica, per questo siamo a Firenze. La politica non è solo nei palazzi, parte dal basso e abbiamo ambizioni grandi, anche oltre confine". Lo ha detto Zenaide Crispino, ministro MI Turismo, Cultura, Impresa e Territorio, nel suo intervento al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"La geopolitica e la geo cultura si muovono in un gioco di specchi - spiega Crispino - perché si condizionano reciprocamente e il momento storico che viviamo ci pone di fronte a degli scontri asimmetrici. C'è un occidente che si dibatte per mantenere la geocultura, anche al cospetto di un sistema che manifesta delle crepe e delle fragilità. Ci sono Paesi come quelli del Golfo, l'India, la Cina che vogliono riscrivere le regole proprio della geopolitica, si muovono tra capitalismo e autoritarismo, tra egemonia e soft power. Le guerre vogliono riscrivere le frontiere del diritto internazionale. Poi c'è l'Europa, che sembra un po' dispersa tra questi giganti”. A livello internazionale, “sicuramente l'elezione di Trump vede degli Stati Uniti che accelerano sull'indipendenza energetica - illustra - ma che, nello stesso tempo, si svincolano da trattati internazionali che sono stati stilati proprio per una visione coesa internazionale contro il cambiamento climatico. C'è la Cina che, pur essendo uno dei paesi più inquinanti al mondo, ha il monopolio nella produzione delle tecnologie green. C'è l'Europa che insegue, una transizione ecologica giusta, ma tante volte anche ideologica. Ci siamo persi, a volte, perché scollati dalle esigenze delle economie reali".
Ma "l'ambiente non è solo un problema climatico, è anche un problema di sicurezza - sottolinea Crispino - perché dove ci sono delle crisi climatiche si evidenziano anche spesso delle crisi umanitarie e migratorie. Anche in questo caso la politica e la cultura non possono discostarsi l'una dall'altro. Tante volte meritocrazia ha chiesto l'integrazione reale che si basa sull'incontro di quelle culture che vengono in contatto, che restituiscano la tolleranza a chi deve ospitare e la dignità a chi viene ospitato. Questo, a dispetto di un'accoglienza indiscriminata, che invece crea quelle bolle di subcultura che genere illegalità e quindi intolleranza. Anche la giustizia è un elemento essenziale nell'immaginario collettivo. La giustizia deve essere percepita come equa, certa, svincolata dalla burocrazia, deve restituire sicurezza, certezza del diritto, ma anche della pena". Rimarcando l’importanza della politica, Crispino conclude mettendo in guarda sull’affacciarsi di "protagonisti, che sono soggetti privati, che perché dispongono di un potere finanziario tale, hanno la possibilità di gestire asset strategici, la comunicazione, la sicurezza, l'intelligenza artificiale, le energie rinnovabili, fino alla conquista dello spazio. Il mio riferimento non è velato, sto parlando Musk, ovviamente".