“Tra un mese prenderemo in mano la riforma della pubblica amministrazione per scardinarla completamente. Lì vedremo il derby tra palude e corrente, tra conservazione e innovazione. Sarà durissima, la vera battaglia. Al confronto la ‘strana coppia’ Susanna Camusso – Giorgio Squinzi contro il governo sarà solo un leggero antipasto”. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi – in una intervista al Messaggero – risponde, nemmeno troppo velatamente, alle critiche mosse dal segretario della Cgil durante il Forum di Cernobbio (“Malissimo il decreto sul lavoro”) e dal leader di Confindustria dopo l’incontro tra il presidente del Consiglio e Angela Merkel (“La Cancelliera non ci ha mica accolto a baci e abbracci”). E in serata, intervistato dal Tg1, rincara la dose: “Mi interessa il consenso delle famiglie italiane non quello delle associazioni”. Del resto, spiega Renzi, sono “20 anni” che guardando la tv si vedono Confindustria e sindacati arrabbiarsi. Ce ne faremo una ragione…”. E una ragione se la faranno anche i manager pubblici che, come l’ad di Ferrovie Mauro Moretti, hanno minacciato di andarsene se i loro compensi verranno tagliati: “Resisteranno a parole – spiega Renzi al Tg1 – ma poi ovviamente è naturale che le cose cambino, non è possibile che l’amministratore delegato di una società guadagni 1000 volte in più dell’ultimo operaio, torniamo a un principio di giustizia sociale. Noi non molliamo”.
“Squinzi e Camusso si oppongono? Strada giusta”
Se i vertici di due pilastri delle parti sociali come Confindustria e la Cgil frenano l’ondata riformatrice del governo, è un buon segno, vuol dire che l’Esecutivo è sulla strada giusta per il cambiamento. Quella Squinzi-Camusso è “una strana coppia”, che fa pensare a un’asse ‘conservativo’. Al governo “interessa il consenso delle famiglie italiane non quello delle associazioni”. Nessuna ‘alleanza’ per la conservazione dello status quo, ma solo due voci critiche, oltretutto opposte. E’ un botta e risposta a distanza quello fra il premier Matteo Renzi e il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, nel quale si registra il silenzio del leader degli industriali Giorgio Squinzi. Ad accendere la miccia, in un’intervista a ‘Il Messaggero’, il presidente del Consiglio. “Rispetto molto sia Camusso sia Squinzi – ha detto il premier – Ma io non sono qui per loro, io sono qui per le famiglie, per il singolo imprenditore, per le persone che non si sentono rappresentate e che hanno bisogno di vedere finalmente una svolta. Poi, certo, culturalmente mi colpisce questa strana assonanza tra il capo dei sindacati e il capo degli industriali che insieme, davanti alla scommessa politica di togliere per la prima volta alla politica e restituire ai cittadini e alle imprese, si oppongono”.
Un’accusa, neanche velata, di conservatorismo, che se non ha provocato reazioni immediate in viale dell’Astronomia, ha spinto Camusso a una replica immediata. “L’unico asse è che sono voci critiche rispetto a quello che fa il governo. Ma sono critiche opposte”, ha sottolineato il segretario generale del sindacato di Corso d’Italia ai microfoni di RaiNews24. Che ha spiegato come, per esempio, proprio l’ultimo provvedimento del governo abbia visto Cgil e industriali su due sponde diverse. Il decreto sul lavoro – ha detto infatti Camusso – “è un modo del governo di rispondere positivamente a Confindustria, non ai lavoratori. Quindi questo asse non esiste”. Un po’ offesa” col premier poi la leader sindacale si è dichiarata sul tema della pubblicazione dei bilanci delle organizzazioni sindacali, con Landini della Fiom portato ad esempio virtuoso. “La Cgil pubblica i bilanci dal 1976 quando credo lui fosse appena nato- la risposta piccata – I bilanci vengono pubblicati sul cartaceo e da quando c’è sul sito. La trovo una polemica sterile ed è anche molto sbagliato che il capo del governo utilizzi questo argomento”.
“Ultima chance per le riforme, non falliremo”
Il presidente torna anche sulla accoglienza ricevuta in Europa, tra i sorrisi di Angela Merkel e i risolini di Barroso e Van Rompuy. “Se son contenti e sorridono mi fa piacere – dice Renzi – quello per cui lavoro io è perché sorridano di più le famiglie italiane: in quest’ultimo periodo quando pensano all’Europa non sorridono granché. Ma, insisto, non è colpa dell’Europa, bensì delle riforme mancate”. Quella delle riforme, aggiunge, per gli italiani “è l’ultima chance” e, promette, “non la falliremo”. Renzi ribadisce poi che “quello del 3% è un vincolo basato sul Trattato di Maastricht e quindi risalente a molti anni fa” ma questo non vuol dire che l’Italia non lo rispetterà. “Dopodiché l’Europa deve decidere che vuol fare del proprio futuro. Se vuole impostarlo su una maggiore attenzione alla crescita e all’occupazione. O se si limita a uno sguardo burocratico, tecnocratico sulla realtà”.
Parlando dell’incontro di settimana scorsa con la Merkel, il premier risponde a Squinzi, che ha sottolineato nei giorni scorsi come “non è vero che la cancelliera ci ha accolto con baci e abbracci, ma ci ha detto che non possiamo derogare dalle regole”. L’incontro a livello di governo, secondo Renzi, “è andato bene. Poi si è svolta una cena in cui io e Merkel abbiamo partecipato facendo domande a imprenditori italiani e tedeschi, Squinzi era lì: se non ha gradito la cena, non so. Magari non ha apprezzato il menù”.
“Entro venerdì il testo di riforma del Senato”
Ma quello delle riforme non è l’unico fronte aperto. Da un lato il presidente del Consiglio vorrebbe presentare entro venerdì il testo di riforma del Senato. Messo in sicurezza l’Italicum, e dopo un fitto scambio di proposte e richieste di modifica, in particolare con i governatori di centrosinistra e con la minoranza Pd, palazzo Chigi ha preparato il testo definitivo da depositare in parlamento, impacchettato dal sottosegretario Graziano Delrio e da Maria Elena Boschi. Venerdì – spiega un retroscena di Repubblica – ci sarà il via libera, con l’obiettivo di pressare la maggioranza per ottenere il primo sì di palazzo Madama entro fine maggio.
Dall’altro Renzi si ritrova in un’altra palude, quella della spending review. Lo stesso Renzi, al Messaggero, preferisce parlare di “riorganizzazione dello Stato”. Di certo, ammette, “lo scopo finale è reperire fondi”. E qui la vicenda si complica e le resistenze aumentano. E se il premier garantisce che la “spending non può poggiare sul contributo dei pensionati per dare ai lavoratori”, un’altra categoria offre le sue rimostranze, quella delle forze dell’ordine.
Forze dell’ordine contro la spending review
“Rischioso ridurre gli organici, no alla fusione dei Corpi”. Questo in sintesi, il messaggio dei vertici delle forze dell’ordine a Palazzo Chigi, in merito al piano di spending review. Una relazione riservata di cui il Corriere della Sera ha anticipato alcuni passaggi, che arriva dai vertici di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza e consiste in cinquanta pagine, più allegati. “Le forze di polizia – recita il documento secondo quanto riferito dal Corsera – in quanto chiamate a garantire la sicurezza, bene indefettibile e precondizione di ogni diritto, sono a un bivio molto delicato e ulteriori azioni di ‘cost reduction’ che dovessero essere individuate non potranno ancora impattare sul personale o, attraverso ulteriori tagli lineari, sui capitoli di bilancio già sofferenti, se non con un preoccupante abbassamento degli standard operativi”.
E ancora: “Il generale obiettivo di riduzione della spesa nel bilancio dello Stato corrisponde a 32 miliardi di euro, pari al 4 per cento. Tale quota, riportata alla componente di pertinenza del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, pari a 7 miliardi e 800mila euro, potrebbe corrispondere per il 2014 a un’ipotesi di risparmio di 313 milioni di euro oppure, se calcolata sulla quota di 836 milioni di euro per i soli consumi intermedi, di 33 milioni di euro. La seconda ipotesi è sicuramente quella più realisticamente percorribile perché riguarda le risorse non destinate al personale rispetto al quale non è più possibile immaginare ulteriore compressione senza determinare impatti fortemente critici sulla funzionalità minima della struttura, già sensibilmente intaccata dai blocchi di turnover e contrattuali che cominciano a determinare difficoltà di gestione degli organici e della necessaria motivazione del personale”.
Il dossier esclude quindi la possibilità che si arrivi a una unificazione delle forze di polizia. E fissa i limiti della riduzione possibile: “Per la polizia la soppressione di 11 commissariati, 29 reparti della Stradale, 73 della Ferroviaria, 73 della Postale, 13 della polizia di frontiera e 50 squadre nautiche. Mentre per i carabinieri la chiusura di sei stazioni e due presidi presso scali ferroviari e aeroportuali, l’accorpamento di tre stazioni e la rimodulazioni di nove Compagnie”. Il documento sottolinea infine che “bisogna tener conto dell’accresciuta domanda di sicurezza dovuta sia alle ‘piazze calde’ sia all’aumento dei reati che sono arrivati a 2,8 milioni, vicino al picco di 2,9 milioni toccato dopo l’indulto del 2006”.