La scadenza di maggio si avvicina e il ministro della Giustizia Andrea Orlando prova a correre ai ripari per evitare di pagare le multe comminate dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo l’8 gennaio 2013 quando l’Italia fu condannata per il caso di sette carcerati a Busto Arsizio e Piacenza messi in celle con meno di tre metri quadri a testa. Così, davanti al segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland che ha definito l’incontro “positivo”, l’ex titolare dell’Ambiente chiede di valutare non solo la quantità, ma anche la qualità degli spazi detentivi: “Stiamo predisponendo una banca dati per una mappatura qualitativa delle carceri, che tenga conto anche degli spazi complessivi che i detenuti hanno a disposizione e dell’attività che possono svolgere fuori dalle celle”, ha spiegato il Guardasigilli.
Entro maggio infatti scadrà l’ultimatum della Corte di Strasburgo che chiede all’Italia di garantire a ogni persona rinchiusa in cella uno spazio minimo di 4 metri quadrati, sufficientemente illuminato e pulito e l’assicurare tramite le attività sociali all’interno del carcere, che il detenuto passi un buon numero di ore fuori dalla cella. Rispetto all’ottica quantitativa, Orlando spiega: “La forbice tra numero detenuti e posti disponibili si è dimezzata passando da 20mila a 10″ per effetto della diminuzione delle presenze in carcere e “con le misure all’esame del Parlamento il gap si può ulteriormente ridurre. La cifra si riferisce al divario tra la capienza regolamentare delle carceri e la popolazione carceraria: quando la Corte dei diritti dell’Uomo condannò l’Italia per il sovraffollamento delle carceri i detenuti erano 65.700, oggi – in base ai dati disponibili sul sito del ministero della Giustizia – sono 60.800 circa, rispetto a capienza regolamentare di circa 50mila posti. “Se non succede nulla, e noi invece vogliamo che succeda qualcosa da qui a maggio”, quando scadrà il termine fissato dalla Corte di Strasburgo, “la forbice è di 10mila posti. Ma con i provvedimenti all’esame del Parlamento, il divario si può ridurre“.
I provvedimenti allo studio del ministero della Giustizia agiscono su tre fronti principali: sul piano normativo, dove ci sono leggi che iniziano a produrre già alcuni effetti di cui forniremo i dati, e leggi in itinere che possono ulteriormente migliorare queste cifre; sul piano amministrativo, dove in queste settimane abbiamo prodotto una forte accelerazione nella ripresa dei rapporti con altri Paesi per il rimpatrio di detenuti provenienti dall’estero, e in proposito a inizio di aprile sigleremo un accordo con il Marocco, uno dei paesi che ha una significativa popolazione carceraria in Italia; e poi provvedimenti per un rafforzare gli accordi con gli enti locali sulle pene alternative e forme di detenzione in comunità dei detenuti tossicodipendenti.
“Non c’è nessuna volontà del governo italiano di risolvere un problema complesso come quello del sovraffollamento carcerario con risarcimenti pecuniari – ha spiegato ancora Orlando – Non intendiamo proporre baratti tra condizioni disumane di detenzione e denaro. Non c’è per questo nessun bisogno che si auspichi che la Corte europea dei diritti umani respinga questa strategia poiché questa strategia non c’è”.
“Mi sento quindi di smentire ricostruzioni secondo le quali il cuore della nostra proposta sarebbe costituito da risarcimenti pecuniari ai detenuti per due diverse ragioni: perché intendiamo privilegiare rimedi strutturali e perché una decisione in proposito sarà assunta a valle delle informazioni che riceveremo e delle valutazioni che ci saranno espresse in ordine alla qualità e alla quantità del contenzioso presente alla Corte di Strasburgo: a tale proposito proporremmo a breve un ulteriore passaggio per affrontare specificamente questo tema”.
“Non sto rimuovendo il problema dei risarcimenti – ha detto Orlando – ma vogliamo che si apprezzi e si dia una valutazione sugli interventi strutturali che stiamo facendo e vogliamo che si enuclei l’aspetto dei risarcimenti e lo si affronti a valle di quello degli interventi strutturali. Siamo consapevoli del fatto che non affrontare questo tema significa esporsi sicuramente a forme di condanna di risarcimento da parte della Corte, ma contemporaneamente credo si debbano approfondire anche le modalità con le quali deve avvenire questo risarcimento, che non necessariamente deve essere in forma pecuniaria”.