Pier Carlo Padoan non vuole più vedere chi è sotto processo ai vertici delle società pubbliche. Il ministero dell’Economia ha scritto nei giorni scorsi una lettera a EniEnel e Finmeccanica, chiedendo di convocare un’assemblea straordinaria per “introdurre nello statuto sociale un’apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità“. Il numero uno di via XX Settembre punta così a fare in modo che nei consigli di amministrazione delle tre partecipate non figurino amministratori sotto processo o condannati con sentenza non definitiva.

IL DOCUMENTO: LA LETTERA DI PADOAN

Parlando dei requisiti, stabiliti dalla direttiva del 24 giugno 2013, la lettera ricorda che costituisce causa di ineleggibilità dalle funzioni di amministratore, senza diritto al risarcimento danni, la sentenza di condanna, anche non definitiva, ma anche “l’emissione del decreto che disponga il giudizio”, cioè l’avvio di un processo, nel caso di delitti previsti dalle norme sull’attività bancaria, finanziaria, mobiliare e assicurativa. Ma nell’elenco rientrano anche i “delitti contro la pubblica amministrazione, il patrimonio, l’ordine pubblico, la fede pubblica, l’economia pubblica oppure in materia tributaria”. Nonché reati correlati alla criminalità organizzata di stampo mafioso o al traffico di sostanze stupefacenti.

La lettera di Padoan è quindi un chiaro invito all’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, indagato dalla procura di Milano per l’ipotesi di corruzione internazionale per la vicenda Saipem-Algeria. Mentre tra i reati citati da Padoan non rientra il disastro ambientale, per cui sono stati rinviati a giudizio Scaroni, in quanto ex ad di Enel, e l’attuale numero uno della compagnia elettrica, Fulvio Conti, per le vicende legate alla centrale di Porto Tolle.

Il ministero dell’Economia ha inserito però una postilla all’interno della missiva, prevedendo la possibilità che il consiglio di amministrazione dell’azienda, entro dieci giorni dalla conoscenza dell’emissione dei provvedimenti sopra citati, convochi un’assemblea da tenersi entro sessanta giorni, “al fine di sottoporre la proposta di permanenza in carica dell’amministratore medesimo, sulla base di un preminente interesse della società alla permanenza stessa”.

La lettera, che secondo alcuni editorialisti internazionali consegna il destino delle grandi aziende quotate all’intraprendenza di alcuni pm, chiarisce infine che “decade automaticamente per giusta causa” dalla carica di amministratore anche chi è sottoposto a una pena detentiva oppure a una misura cautelare o di arresti domiciliari.

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