I francesi se lo ricordano per anni a difendere con entusiasmo (e un briciolo di aggressività) il “diritto a informare e a essere informati in tutto il mondo”. Sì, protagonista di blitz sorprendenti. Nel 2008 Robert Ménard, uno dei fondatori di Reporters sans frontières (Rsf), salì di notte in cima a Notre-Dame, a Parigi, per poi sventolare una bandiera con la scritta “Freedom in China“, in occasione dei Giochi olimpici di Pechino e del passaggio della fiamma nelle strade della capitale francese. Oggi, ecco il nuovo Ménard: sindaco di Béziers, città del profondo Sud francese, una delle più degradate e povere del Paese. Appena eletto con i voti del Front National, che alle amministrative francesi ha conquistato 15 città. La metamorfosi di quest’uomo di sinistra (almeno all’apparenza) in uno di estrema destra in realtà è avvenuta progressivamente, ma risulta ancora sorprendente (se non incomprensibile) alla maggioranza dei francesi. Ripercorriamo tutto il suo cammino.
Classe 1953, Ménard è nato a Orano, in Algeria. È, quindi, un pied-noir, figlio di coloni dell’Algeria francese, che dovette abbandonare dopo la raggiunta indipendenza. Famiglia di origini modeste, il padre era un sindacalista comunista, che poi passò all’Oas, l’organizzazione paramilitare che voleva mantenere il dominio della Francia sull’Algeria. La madre, una fervente cattolica. Sono elementi non secondari, se si guarda alla vita che verrà del piccolo Robert. Lasciata in fretta Orano, andarono a vivere a Béziers, nel quartiere (ancora oggi) popolare della Devèze. Negli anni Settanta il giovane Robert aderì alla Lega comunista rivoluzionaria, per poi prendere la tessera del Partito socialista nel 1979, abbandonato, a dire il vero, poco dopo l’elezione di François Mitterrand.
Ma continuò negli anni Ottanta a evolvere in quel mondo lì, animando radio libere, per poi entrare a far parte, come giornalista, della redazione locale di Radio France, la radio pubblica. A Montpellier, ancora nel Sud, fondò nel 1985 con un gruppo di amici Reporters sans frontières, una ong che in seguito ha assunto un ruolo importante, anche a livello internazionale, nella difesa dei giornalisti perseguitati in tutto il mondo. Sebbene Rsf non sia legata direttamente ad alcun partito, ha sempre avuto in Francia un’immagine di sinistra. Ménard veniva invitato sempre più spesso in tv: diretto nell’eloquio, perfino un po’ irascibile. Ormai era diventato un personaggio pubblico. A sorpresa Ménard lasciò Rsf nel settembre 2008. Andò a dirigere a Doha, in Qatar, il Centro per la libertà dell’informazione, finanziato dall’emirato, che non si può proprio definire una democrazia perfetta.
Fuggì anche da lì, l’anno seguente, in mezzo alle polemiche, per rientrare in Francia e ricominciare la sua carriera di giornalista, con trasmissioni alla tv e in radio. È a quel momento che è emersa chiaramente la virata verso l’estrema destra, sebbene, anche in precedenza, le sue posizioni comportassero lati oscuri e ambigui. In particolare Ménard ha preso posizione a favore del Front National con un libro, “Vive Le Pen!“, uscito nel 2011. Ha sempre rifiutato di iscriversi al partito e anche a Béziers, la città della sua giovinezza, quando ha deciso di presentarsi alle comunali, ha costituito una lista indipendente, con personaggi che sono arrivati da vari orizzonti, non solo l’Fn. Ménard ha chiesto solo in seguito l’appoggio esterno del Front. In ogni caso, riguardo al discorso politico di Marine Le Pen, dice di “condividerne almeno l’80%, soprattutto sull’immigrazione“, mentre è un europeo convinto, assolutamente contrario all’uscita della Francia dall’euro. “Adesso dico apertamente – ha dichiarato – quello che penso e che prima non osavo dire o non ammettevo neanche a me stesso”. Si è quindi lanciato contro il “perbenismo della sinistra”, accusata di essere troppo politicamente corretta. Sul matrimonio gay, ad esempio, si è espresso in maniera critica, definendolo un “capriccio” e assicurando che, una volta eletto a Béziers, si sarebbe rifiutato di celebrarne al municipio della città.
Da sottolineare: Ménard ha scritto quasi tutti i suoi libri degli ultimi anni assieme a Emmanuelle Duverger, sua moglie, che ha conosciuto nel 2000 e dalla quale ha avuto una figlia. La donna proviene da una famiglia cattolica e di destra del Nord e ha ormai, a detta di tanti ex amici di Ménard, una grossa influenza su di lui. Partita in sordina nell’estate scorsa, la campagna elettorale di Ménard è diventata progressivamente un caso in Francia e soprattutto a Béziers, città di 76mila abitanti, il 32% dei quali vive sotto la soglia della povertà. Béziers, che ha vissuto un lento declino economico a partire dagli anni Ottanta, esce da 19 anni ininterrotti di dominio dell’Ump, il partito conservatore, accusato a più riprese sul posto di corruzione. Anche questo ha favorito la lista di Ménard, oltre al fatto che la sinistra è storicamente debole in città. L’ex agitatore di Rsf ha costituito una lista “con l’obiettivo di riunire elettori di sinistra e di destra”. Obiettivo decisamente centrato.
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Elezioni Francia, il fondatore di Reporters Sans Frontières eletto coi voti di Le Pen
Robert Ménard è stato eletto sindaco a Béziers, roccaforte dell'Ump e tra le zone più povere e degradate del Paese. Si era candidato con una lista indipendente. La sua "metamorfosi" da uomo di sinistra a esponente della destra
I francesi se lo ricordano per anni a difendere con entusiasmo (e un briciolo di aggressività) il “diritto a informare e a essere informati in tutto il mondo”. Sì, protagonista di blitz sorprendenti. Nel 2008 Robert Ménard, uno dei fondatori di Reporters sans frontières (Rsf), salì di notte in cima a Notre-Dame, a Parigi, per poi sventolare una bandiera con la scritta “Freedom in China“, in occasione dei Giochi olimpici di Pechino e del passaggio della fiamma nelle strade della capitale francese. Oggi, ecco il nuovo Ménard: sindaco di Béziers, città del profondo Sud francese, una delle più degradate e povere del Paese. Appena eletto con i voti del Front National, che alle amministrative francesi ha conquistato 15 città. La metamorfosi di quest’uomo di sinistra (almeno all’apparenza) in uno di estrema destra in realtà è avvenuta progressivamente, ma risulta ancora sorprendente (se non incomprensibile) alla maggioranza dei francesi. Ripercorriamo tutto il suo cammino.
Classe 1953, Ménard è nato a Orano, in Algeria. È, quindi, un pied-noir, figlio di coloni dell’Algeria francese, che dovette abbandonare dopo la raggiunta indipendenza. Famiglia di origini modeste, il padre era un sindacalista comunista, che poi passò all’Oas, l’organizzazione paramilitare che voleva mantenere il dominio della Francia sull’Algeria. La madre, una fervente cattolica. Sono elementi non secondari, se si guarda alla vita che verrà del piccolo Robert. Lasciata in fretta Orano, andarono a vivere a Béziers, nel quartiere (ancora oggi) popolare della Devèze. Negli anni Settanta il giovane Robert aderì alla Lega comunista rivoluzionaria, per poi prendere la tessera del Partito socialista nel 1979, abbandonato, a dire il vero, poco dopo l’elezione di François Mitterrand.
Ma continuò negli anni Ottanta a evolvere in quel mondo lì, animando radio libere, per poi entrare a far parte, come giornalista, della redazione locale di Radio France, la radio pubblica. A Montpellier, ancora nel Sud, fondò nel 1985 con un gruppo di amici Reporters sans frontières, una ong che in seguito ha assunto un ruolo importante, anche a livello internazionale, nella difesa dei giornalisti perseguitati in tutto il mondo. Sebbene Rsf non sia legata direttamente ad alcun partito, ha sempre avuto in Francia un’immagine di sinistra. Ménard veniva invitato sempre più spesso in tv: diretto nell’eloquio, perfino un po’ irascibile. Ormai era diventato un personaggio pubblico. A sorpresa Ménard lasciò Rsf nel settembre 2008. Andò a dirigere a Doha, in Qatar, il Centro per la libertà dell’informazione, finanziato dall’emirato, che non si può proprio definire una democrazia perfetta.
Fuggì anche da lì, l’anno seguente, in mezzo alle polemiche, per rientrare in Francia e ricominciare la sua carriera di giornalista, con trasmissioni alla tv e in radio. È a quel momento che è emersa chiaramente la virata verso l’estrema destra, sebbene, anche in precedenza, le sue posizioni comportassero lati oscuri e ambigui. In particolare Ménard ha preso posizione a favore del Front National con un libro, “Vive Le Pen!“, uscito nel 2011. Ha sempre rifiutato di iscriversi al partito e anche a Béziers, la città della sua giovinezza, quando ha deciso di presentarsi alle comunali, ha costituito una lista indipendente, con personaggi che sono arrivati da vari orizzonti, non solo l’Fn. Ménard ha chiesto solo in seguito l’appoggio esterno del Front. In ogni caso, riguardo al discorso politico di Marine Le Pen, dice di “condividerne almeno l’80%, soprattutto sull’immigrazione“, mentre è un europeo convinto, assolutamente contrario all’uscita della Francia dall’euro. “Adesso dico apertamente – ha dichiarato – quello che penso e che prima non osavo dire o non ammettevo neanche a me stesso”. Si è quindi lanciato contro il “perbenismo della sinistra”, accusata di essere troppo politicamente corretta. Sul matrimonio gay, ad esempio, si è espresso in maniera critica, definendolo un “capriccio” e assicurando che, una volta eletto a Béziers, si sarebbe rifiutato di celebrarne al municipio della città.
Da sottolineare: Ménard ha scritto quasi tutti i suoi libri degli ultimi anni assieme a Emmanuelle Duverger, sua moglie, che ha conosciuto nel 2000 e dalla quale ha avuto una figlia. La donna proviene da una famiglia cattolica e di destra del Nord e ha ormai, a detta di tanti ex amici di Ménard, una grossa influenza su di lui. Partita in sordina nell’estate scorsa, la campagna elettorale di Ménard è diventata progressivamente un caso in Francia e soprattutto a Béziers, città di 76mila abitanti, il 32% dei quali vive sotto la soglia della povertà. Béziers, che ha vissuto un lento declino economico a partire dagli anni Ottanta, esce da 19 anni ininterrotti di dominio dell’Ump, il partito conservatore, accusato a più riprese sul posto di corruzione. Anche questo ha favorito la lista di Ménard, oltre al fatto che la sinistra è storicamente debole in città. L’ex agitatore di Rsf ha costituito una lista “con l’obiettivo di riunire elettori di sinistra e di destra”. Obiettivo decisamente centrato.
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.