L’amministratore delegato uscente di Eni, Paolo Scaroni, fresco di condanna non ci sta ai criteri del Tesoro per le nomine dei vertici delle aziende pubbliche. Cioè i requisiti di onorabilità che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha chiesto caldamente a Eni, Enel e Finmeccanica di inserire nel proprio statuto per evitare, d’ora in poi, che nei loro cda siedano amministratori sotto processo o condannati con sentenza non definitiva. “Sono sorpreso: siamo quotati, competiamo nel mondo, perché dobbiamo avere norme che altri non hanno?”, ha reagito il manager parlando in audizione al Senato. Insomma, Scaroni, condannato a tre anni in primo grado per i danni ambientali causati dalla centrale di Porto Tolle per via del suo precedente ruolo al vertice di Enel, fa appello alle “consuetudini” internazionali, spiegando che la norma, che verrà probabilmente approvata dall’assemblea straordinaria di Eni convocata ad hoc, “non esiste in nessuna società al mondo”. E “quando ci si allontana da quello che fanno tutti spesso si fa male”. “Una norma di questo tipo è nello statuto di Total, Esso, Apple e Siemens?”, è la domanda retorica del super manager di Stato. Che si risponde da solo: “No”. Quindi, “perché noi dovremmo averla? Non dico se è buona o cattiva, ma quando introduciamo una norma che nessuno ha, normalmente penso che non ci porta molto bene. Detto questo, il Parlamento e il ministero possono fare quello che ritengono di fare”. In serata è emerso, poi, che Scaroni ha incontrato Matteo Renzi proprio per discutere delle nuove regole volute dal Tesoro. “L’ho visto oggi”, ha rivelato il premier intervistato a Otto e mezzo. Confermando che “quella norma non c’è negli altri Paesi”, “ma abbiamo ragione noi a volerla”.
All’invito del presidente della commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, che gli prospettava un possibile ruolo da presidente indipendente, Scaroni ha poi replicato: “Sul tema che riguarda me personalmente, francamente, non ho voglia di rispondere. Perchè devo rispondere di quello che voglio fare io?”. E ancora: “Faccio quello che credo, sono un libero cittadino, amministratore delegato o presidente, dipendente o indipendente sono fatti miei”.
L’ad di Eni, nel corso dell’audizione, ha anche promesso (a meno di sempre possibili “cambiamenti dello scenario”) “un dividendo crescente per i prossimi quattro anni”. Parlando dei programmi per il futuro ha citato tre punti principali: “continuare a far crescere le nostre produzioni, riportare in utile i nostri business in Europa nello scenario attuale, e poi la politica di dividendo. Abbiamo presentato un piano e ci sentiamo tutti confidenti che verranno realizzati”. Scaroni ha poi fatto un quadro della situazione internazionale, spaziando dalla Libia (“è in uno stato di grande confusione”, ha detto, ma “miracolosamente stiamo producendo l’80% del massimo di quello che potremmo produrre”, mentre molti altri player presenti nel Paese sono fermi al 20%) al Mozambico, dove Eni vorrebbe vendere una quota fino al 15% del giacimento Mamba ma potrebbe accontentarsi di cedere “il 5%, il 10% o il 7,5%, non abbiamo ancora un’idea ferma su questo”. Il 2 aprile Scaroni ha incontrato il presidente del Paese, Guebuza, che dovrà dare il via libera all’operazione.
Scaroni nello stesso giorno ne ha avute anche per la Ue, attaccata in un’intervista concessa alla Frankfurter Allgemeine Zeitung: l’Unione, ha detto, potrebbe smarcarsi dalla dipendenza energetica che la lega alla Russia di Putin, cosa quanto mai opportuna alla luce della situazione in Crimea, ma non riesce a farlo perché i Paesi membri non si coordinano tra loro e, in seno alla Commissione, le competenze in materia sono troppo frammentate. “Il vecchio continente si potrebbe liberare nel medio termine dalla sua dipendenza dal fornitore di gas russo Gazprom se gli Stati membri lavorassero insieme”, ha detto Scaroni alla testata tedesca, ma “per far questo sono necessari investimenti per creare una rete di gasdotti pan-Europea“. Investimenti che sarebbero “non eccessivi”, secondo Scaroni: nell’ordine di decine o centinaia di milioni di euro. Oggi, secondo l’ad di Eni, l’Europa ha due problemi legati alla politica energetica: il primo è che non è chiaro quali siano i temi di competenza tra l’Unione Europea e gli Stati Membri. Secondo, all’interno della Commissione Ue le responsabilità sull’energia sono frammentate tra almeno cinque commissari: Energia, Industria, Ambiente, Concorrenza e Politica Estera. E non esiste un coordinamento tra queste parti. “Se guardiamo agli Stati Uniti”, sottolinea Scaroni, “non esiste che i singoli stati perseguano una propria politica energetica. L’energia è talmente cruciale che questo principio deve valere anche in Europa”.