I sondaggi politico-elettorali sono limitati e fallibili, e lo sono in termini e modi che i professionisti seri ben conoscono e sempre esplicitano. Pur limitati e fallibili, i sondaggi possono dare indicazioni utili ai leader e alle forze politiche, tanto che negli ultimi anni i partiti ne hanno abusato e non a caso si parla di “sondaggismo” e “sondocrazia” per indicare la tendenza a commissionare sondaggi prima, durante e dopo (quasi) qualunque cosa, non solo per le elezioni. Ma un conto sono i sondaggi in sé e l’uso che ne fanno i partiti nelle segrete stanze, un altro è il modo in cui i media li presentano e commentano ogni giorno: la semplificazione e spettacolarizzazione tipiche dei media impediscono di accompagnarli con troppi dettagli su metodologia, limiti, approssimazioni, per cui i numeri finiscono per apparire sempre molto più certi e netti di quanto in realtà non siano. E hai voglia di ripetere che i sondaggi sono provvisori, relativi, fallibili: le tabelle colorate che rimbalzano da una tv all’altra ti imprimono nella mente vincitori e vinti, eccome se te li imprimono. Specie se le percentuali sono simili da un sondaggio all’altro.

Ma anche quando sono diverse, poco cambia: parte il tormentone “i sondaggi sono tutti pilotati” e ognuno finisce per credere alle percentuali che preferisce. In tutti i casi, insomma, i sondaggi mediatizzati sono più uno strumento di comunicazione e persuasione che uno specchio della realtà: un po’ lo sappiamo (vorrebbero svolgere il ruolo di profezie che si autoavverano), un po’ facciamo finta di non saperlo perché è bello pensare che, almeno per via di sondaggio, qualcuno riesca a prevedere il futuro.

Tutto questo però ha stracciato l’immagine delle scienze statistiche, e mi dispiace per i professionisti e i colleghi accademici del settore, molti dei quali non se lo meritano proprio. Come non bastasse, alla divaricazione fra le scienze statistiche e la loro spettacolarizzazione bisogna aggiungere la forte aleatorietà della politica italiana e del suo elettorato negli ultimi anni, per cui le elezioni ormai si decidono anche da noi (come in molti paesi del mondo) nelle ultime due settimane, no peggio, nell’ultima. Un’aleatorietà che nel febbraio 2013 ha portato i sondaggi (almeno quelli mediatizzati) a una delle più clamorose smentite che si ricordi, con il Pd dato per vincente fino al giorno prima delle elezioni e il Movimento 5 Stelle del tutto sottovalutato.

È servita ai media la lezione del 2013? Non mi pare: i sondaggi sono tuttora presentati al pubblico quasi ogni giorno, con ostinazione, perentorietà e, soprattutto, con grande anticipo rispetto a qualunque scadenza elettorale. È servita la lezione ai partiti? Forse, dipende da come fanno (e valutano) i sondaggi nelle segrete stanze. Aggiungo che l’aleatorietà politica dell’anno scorso non sta diminuendo, anzi: anche le prossime elezioni si decideranno nell’ultima settimana (o poco più).

Che senso ha, dunque, ascoltare oggi un sondaggio su elezioni che ci saranno fra più di un mese (le europee) o chissà quando (le politiche)? Lo stesso senso che ha ascoltare oggi previsioni meteo che pretendano di dirci se l’estate 2014 sarà afosa o piovosa: sappiamo tutti che le previsioni meteo sono davvero attendibili solo per le prossime 24 ore, massimo 48, e che fra due mesi tutto sarà cambiato. Lo stesso vale per i sondaggi, facciamocene una ragione. E interroghiamoci piuttosto, di volta in volta, sull’effetto comunicativo e persuasivo che questo o quel sondaggio può avere su di noi.

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