La sentenza della Consulta che ha bocciato – per la ventesima volta o giù di lì – la legge 40 sulla fecondazione assistita ha avuto l’effetto di una macchina del tempo. Sul rullo delle agenzie di stampa in cui scorrono ogni secondo notizie e dichiarazioni sembrava di essere tornati al 2003 o 2004, quando ogni vagito su embrioni e dintorni scatenava un flusso di “lanci” che nemmeno la guerra in Iraq. Anche i protagonisti sono gli stessi, solo un po’ invecchiati, polverosi come il teatrino che tentano di rianimare senza capire che il pubblico ha già lasciato la sala da un pezzo: eccoli i Sacconi, i Giovanardi, le Binetti, le Roccella e i loro amici delle associazioni cattoliche. Persino Girolamo Sirchia, che pare fosse ministro della Salute all’epoca della legge 40, viene riesumato dall’oblio. I termini sono quelli, indigeribili, di allora, gli schieramenti pure: il Pd è abbastanza diviso, Forza Italia uguale, ma l’impressione è che stavolta importi poco a tutti. “L’ultima follia italiana”, strilla Famiglia Cristiana sul suo sito; “sentenza choc”, “Far West”, “babele procreati-va”, elenca il più moderato Avvenire.
Gli emuli parlamentari non sono da meno. L’allora ministro Maurizio Sacconi (Ncd), ex socialista riscopertosi cristiano nella maturità: “Non è difficile immaginare che i costituenti si stiano rivoltando nelle loro tombe”. Colpa della Consulta che ormai ha perso “credibilità e autorevolezza” e pure dell’Avvocatura dello Stato, che ha sì difeso la legge 40 ma “relativizzandone i principi sulla base di un malinteso scientismo”. Pure Eugenia Roccella (Fi), già radicale, poi supercredente e sottosegretario con delega alla bioetica, torna sulla scena: “La legge 40 aveva dato buoni risultati, ora iniziano le pressioni per introdurre anche nel nostro Paese la compravendita dei gameti e l’utero in affitto”. Carlo Giovanardi (Ncd), che non ha bisogno di presentazioni, partecipa da par suo: “Ancora una volta le idee e gli orientamenti ideologici di 15 signori valgono più del Parlamento. A questo punto, oltre che il Senato, mi viene da dire: aboliamo anche la Camera, non è più chiaro cosa ci stia a fare”. Sobria, come suo solito, Paola Binetti (Udc), medico cattolico spedito dall’ex capo della Cei, Camillo Ruini, dietro le file nemiche della sinistra piddina: “È un attacco alla famiglia: la Corte ignora i diritti del concepito, pure citati nell’articolo 1 della legge”. Citazione a parte merita Fabio Rampelli (FdI), secondo cui “Ormai la Corte costituzionale rappresenta un vulnus per la democrazia”. Nota bene: non la sentenza, che già sarebbe abbastanza, ma proprio la Corte in sé. Non si fa mancare, il nostro, nemmeno la “giustizia a orologeria” e la possibilità che “questa sentenza apre orizzonti imprevedibili, finanche la possibilità delle coppie omosessuali di prestare il proprio seme per avere un figlio a tutti i costi”.
Aulico, e non sorprende, l’autonomista berlusconiano Vincenzo D’Anna , senatore di professione biologo: “Una vittoria della scienza più che della legge e del buon senso”, che “assoggetta il nascituro a una condizione di diversità biologica”. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin (Ncd), che bontà sua sarebbe una liberal, parla di “legge svuotata, che richiede un intervento parlamentare”, subito appoggiata da un bel pezzo di parlamentari Pd a partire da Anna Finocchiaro. Cosa bisognerà scrivere in questa nuova legge nessuno ancora lo dice, ma non è un caso: non solo, infatti, il patto di maggioranza si regge sull’esclusione di diritti civili e temi bioetici per evitare problemi con Angelino Alfano e i suoi accoliti, ma le priorità di opinione pubblica e media sono anni luce lontane. A mettere al passo la legislazione, per quanto si può, ci pensa la Corte costituzionale, la politica guarda. E parla. La domanda è: ma allora da domani si può andare in clinica e chiedere di avere un figlio con l’ovulo o il seme di un donatore? Risposta secca: no, non si può. Perché la decisione della Consulta fa decadere un divieto, ma non avvia automaticamente il recupero di tecniche rimaste nel cassetto per dieci anni. Anzi, è già partita la varietà interpretativa che ogni colpo alla legge 40 puntualmente genera, con l’aggiunta di una dichiarazione ministeriale mica male: “Servirà il Parlamento per questa materia così complessa” ha detto a caldo Beatrice Lorenzin.
Carlo Flamigni, ginecologo esperto della riproduzione assistita, si mette la mani nei capelli: “Per carità, se saranno i parlamentari a dover prendere una decisione torneremo subito indietro. Prima litigando nelle aule per mesi e mesi, poi finirà come al solito con cilicio&martello”. Ovvero: la politica tende a privilegiare i temi cari alla morale cattolica, difficile rendere obbligatorio per legge un iter che potrebbe invece sbocciare con un approccio normativo molto soft. “Se il Comitato Nazionale di Bioetica o l’Istituto Superiore di Sanità fossero incaricati dal ministero di individuare alcune semplici linee guida, si potrebbe partire con l’eterologa in poche settimane, qualche mese al massimo – è convinto Flamigni -. Certo bisogna decidere i parametri minimi: che età massima deve avere la donatrice? E il donatore? Rimarrà segreta l’identità del donante o potrà scegliere se essere rintracciabile? Deciso ciò, i centri privati e pubblici potranno offrire il servizio ai cittadini, evitando costosi e snervanti viaggi all’estero”.
Da Il Fatto Quotidiano del 10 aprile 2014