Il capitano di fregata Gregorio De Falco usa Twitter pochissimo. L’ultima volta era il 13 gennaio 2014, il secondo anniversario del naufragio della Costa Concordia: “13 gennaio 2014… In silenzio”. Oggi il capo della sala operativa della Capitaneria di Livorno ha riaperto il suo account solo per scrivere un hashtag: #iosono141. E’ l’adesione, anticipata dall’Ansa, alla campagna per la costituzione di una commissione d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, il traghetto che il 10 aprile 1991 (23 anni fa esatti) si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno: ci furono 140 morti e inchieste e processi hanno fornito ricostruzioni che i familiari delle vittime non hanno mai trovato convincenti. “E io sono a fianco a loro finché non si arriverà alla verità” dice De Falco. Ci mette la faccia proprio il 10 aprile, nel giorno del 23esimo anniversario (“Stasera alle 22,25” annota). Una faccia – la sua – diventata nota, suo malgrado. Diventò il simbolo dell’Italia che funziona. Perché fece il suo mestiere, cercando di richiamare alle proprie responsabilità un comandante che invece aveva lasciato la nave che stava naufragando. In quel caso – la sciagura della Costa Concordia – la Capitaneria di porto di Livorno riuscì a limitare i contorni di una tragedia che sarebbe potuta essere ancora più grave (ci furono 32 morti). Per giunta – a contrasto con quanto accaduto per il Moby Prince – le ricostruzioni della guardia costiera di Livorno uscita nei 4-5 giorni successivi è stata poi confermata in gran parte in tutte le fasi dell’inchiesta e del processo, dall’incidente probatorio fino al dibattimento di questi mesi (l’imputato è il solo ex comandante Francesco Schettino).
Certo, la Capitaneria è cambiata molto, dice De Falco al fattoquotidiano.it. Ma sulla sciagura del Moby Prince il suo sostegno alle famiglie delle 140 vittime vale doppio perché tra le responsabilità eventuali sulla tragedia di quella sera possono essercene anche di chi rappresentava il corpo a cui appartiene. “Siamo cambiati molto in questi 23 anni. Ma io sono anche un cittadino. E anch’io voglio sapere la verità su quella sera”.
Comandante De Falco, perché ha deciso di aderire a #iosono141?
Questa campagna ha un obiettivo molto chiaro. Ieri ho assistito a una rappresentazione teatrale (la lettura del libro Verità privata del Moby Prince, ndr) e ho visto Loris Rispoli, presidente di un’associazione dei familiari, e Angelo Chessa, il figlio del comandante. Questo è un momento importante. Aldilà dei punti di vista su questa vicenda, io credo ci siano gli strumenti di conoscenza per arrivare a una ricostruzione della storia. L’Italia ce li ha quegli strumenti. E con questi si può arrivare alla verità con la stessa forza di un’inchiesta della magistratura. Ci sono state in questi anni tante verità e a volte c’è stata la tendenza a immaginare, a presentare cose strane. Magari in questo caso la vicenda è più banale, più semplice, ma ora è possibile arrivare alla verità.
Spesso le teorie alternative nascono quando ci sono vuoti e afasie nel lavoro di ricostruzione.
Esattamente questo intendevo dire. Stasera alle 22,25 saranno 23 anni da quella tragedia. Non c’è più un problema giudiziario, c’è solo la necessità di arrivare alla verità, per una giustizia anche morale seppure solo minimamente risarcitoria. Tutti i cittadini ne hanno diritto, anche noi. Anch’io ne ho diritto perché anch’io sono un cittadino.
Lei è consapevole che tra i dubbi sollevati dai familiari delle vittime ce ne sono anche sul lavoro dei suoi colleghi di allora, vero?
Ripeto: ora non c’è più un problema giudiziario. E ricostruire ora è ancora più semplice. Il bisogno di verità non è sopprimibile, non lo sarà finché non si arriverà a un punto certo. Io non sono solo un ufficiale della Capitaneria, sono anche un cittadino. Ma conosco l’ambiente della Capitaneria di porto e posso dire che da allora siamo cambiati molto.
Un incidente del genere potrebbe capitare oggi?
Non lo so. Ma posso dire che siamo cambiati molto rispetto a 23 anni fa. Ci addestriamo moltissimo, facciamo moltissime esercitazioni. Non posso rapportarmi ad allora. Ma quando mi sono ritrovato in una situazione d’emergenza ho lavorato al meglio che potevo in quelle circostanze per minimizzare l’entità dell’evento. Ma da allora le Capitanerie sono diventate tutt’altro, posso dire che sono più pronte di allora.
Cosa si sente di dire ai familiari delle vittime del Moby Prince?
Io sono a fianco a loro per quanto possibile e per quanto utile in questa richiesta di verità perché i cittadini – io compreso – sappiano finalmente la verità. Credo che la richiesta per una commissione bicamerale d’inchiesta debba essere presa in seria considerazione. Io per quanto posso sarò sempre accanto a loro.
Cronaca
Moby Prince, De Falco sta con i familiari: “Sapere la verità è un diritto. Anche mio”
Il capo della sala operativa della guardia costiera di Livorno al fatto.it: "Sì alla commissione d'inchiesta. Questo è un momento importante. Io per quanto posso sarò sempre accanto ai parenti delle vittime. Se una tragedia del genere potrebbe accadere di nuovo? Non lo so, ma la Capitaneria in questi 23 anni è cambiata molto"
Il capitano di fregata Gregorio De Falco usa Twitter pochissimo. L’ultima volta era il 13 gennaio 2014, il secondo anniversario del naufragio della Costa Concordia: “13 gennaio 2014… In silenzio”. Oggi il capo della sala operativa della Capitaneria di Livorno ha riaperto il suo account solo per scrivere un hashtag: #iosono141. E’ l’adesione, anticipata dall’Ansa, alla campagna per la costituzione di una commissione d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, il traghetto che il 10 aprile 1991 (23 anni fa esatti) si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno: ci furono 140 morti e inchieste e processi hanno fornito ricostruzioni che i familiari delle vittime non hanno mai trovato convincenti. “E io sono a fianco a loro finché non si arriverà alla verità” dice De Falco. Ci mette la faccia proprio il 10 aprile, nel giorno del 23esimo anniversario (“Stasera alle 22,25” annota). Una faccia – la sua – diventata nota, suo malgrado. Diventò il simbolo dell’Italia che funziona. Perché fece il suo mestiere, cercando di richiamare alle proprie responsabilità un comandante che invece aveva lasciato la nave che stava naufragando. In quel caso – la sciagura della Costa Concordia – la Capitaneria di porto di Livorno riuscì a limitare i contorni di una tragedia che sarebbe potuta essere ancora più grave (ci furono 32 morti). Per giunta – a contrasto con quanto accaduto per il Moby Prince – le ricostruzioni della guardia costiera di Livorno uscita nei 4-5 giorni successivi è stata poi confermata in gran parte in tutte le fasi dell’inchiesta e del processo, dall’incidente probatorio fino al dibattimento di questi mesi (l’imputato è il solo ex comandante Francesco Schettino).
Certo, la Capitaneria è cambiata molto, dice De Falco al fattoquotidiano.it. Ma sulla sciagura del Moby Prince il suo sostegno alle famiglie delle 140 vittime vale doppio perché tra le responsabilità eventuali sulla tragedia di quella sera possono essercene anche di chi rappresentava il corpo a cui appartiene. “Siamo cambiati molto in questi 23 anni. Ma io sono anche un cittadino. E anch’io voglio sapere la verità su quella sera”.
Comandante De Falco, perché ha deciso di aderire a #iosono141?
Questa campagna ha un obiettivo molto chiaro. Ieri ho assistito a una rappresentazione teatrale (la lettura del libro Verità privata del Moby Prince, ndr) e ho visto Loris Rispoli, presidente di un’associazione dei familiari, e Angelo Chessa, il figlio del comandante. Questo è un momento importante. Aldilà dei punti di vista su questa vicenda, io credo ci siano gli strumenti di conoscenza per arrivare a una ricostruzione della storia. L’Italia ce li ha quegli strumenti. E con questi si può arrivare alla verità con la stessa forza di un’inchiesta della magistratura. Ci sono state in questi anni tante verità e a volte c’è stata la tendenza a immaginare, a presentare cose strane. Magari in questo caso la vicenda è più banale, più semplice, ma ora è possibile arrivare alla verità.
Spesso le teorie alternative nascono quando ci sono vuoti e afasie nel lavoro di ricostruzione.
Esattamente questo intendevo dire. Stasera alle 22,25 saranno 23 anni da quella tragedia. Non c’è più un problema giudiziario, c’è solo la necessità di arrivare alla verità, per una giustizia anche morale seppure solo minimamente risarcitoria. Tutti i cittadini ne hanno diritto, anche noi. Anch’io ne ho diritto perché anch’io sono un cittadino.
Lei è consapevole che tra i dubbi sollevati dai familiari delle vittime ce ne sono anche sul lavoro dei suoi colleghi di allora, vero?
Ripeto: ora non c’è più un problema giudiziario. E ricostruire ora è ancora più semplice. Il bisogno di verità non è sopprimibile, non lo sarà finché non si arriverà a un punto certo. Io non sono solo un ufficiale della Capitaneria, sono anche un cittadino. Ma conosco l’ambiente della Capitaneria di porto e posso dire che da allora siamo cambiati molto.
Un incidente del genere potrebbe capitare oggi?
Non lo so. Ma posso dire che siamo cambiati molto rispetto a 23 anni fa. Ci addestriamo moltissimo, facciamo moltissime esercitazioni. Non posso rapportarmi ad allora. Ma quando mi sono ritrovato in una situazione d’emergenza ho lavorato al meglio che potevo in quelle circostanze per minimizzare l’entità dell’evento. Ma da allora le Capitanerie sono diventate tutt’altro, posso dire che sono più pronte di allora.
Cosa si sente di dire ai familiari delle vittime del Moby Prince?
Io sono a fianco a loro per quanto possibile e per quanto utile in questa richiesta di verità perché i cittadini – io compreso – sappiano finalmente la verità. Credo che la richiesta per una commissione bicamerale d’inchiesta debba essere presa in seria considerazione. Io per quanto posso sarò sempre accanto a loro.
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Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.