La sua parabola personale da promessa dell’alta finanza a paria pluri inquisito, ma anche il rapporto di forza tra il sistema bancario e quello politico. E i meccanismi interni delle banche che alimentano la speculazione con i derivati, con tanto di previsione della prossima bolla che affliggerà i mercati. Poi l’apprezzamento per il Pontefice, “unico ‘dirigente’ al mondo che è passato dalle parole ai fatti” e il distacco verso i suoi ex responsabili che l’hanno scaricato (“ognuno ha la sua coscienza”). E’ ricca di parole dure pronunciate con toni pacati, la versione di Jerome Kerviel, il trader francese che nel 2008 è stato protagonista di uno dei più importanti scandali finanziari globali, quello che ha visto Société Générale incassare una perdita di 4,9 miliardi di euro per le sue operazioni sui derivati e lui condannato a tre anni di reclusione per falso e uso di falso, introduzione fraudolenta di dati e abuso di fiducia.
LO SANNO TUTTI: NULLA E’ CAMBIATO – “Non cerco certo di immolarmi, ma è molto più facile condannare un solo uomo che rimettere in discussione il sistema. Questo ha impedito di porsi le giuste domande. Se ho avuto una colpa è una colpa etica, ma non penale che giustifichi questa sentenza”, rivendica senza perdere la calma che dice di aver ritrovato grazie a un incontro con il Papa. E al cammino da Roma a Parigi che sta percorrendo in queste settimane lungo le antiche strade dei pellegrini medievali che corona un percorso sulla cui sincerità è ancora presto per esprimersi. Del resto, sostiene, glielo riconoscono anche gli ex colleghi. Quando gli è capitato di incontrarne alcuni a Parigi, racconta, lo hanno avvicinato per comunicargli stima e sostegno con frasi come “non crediamo alla storia che la banca non sapeva quello tu facevi” o “facevamo la stessa cosa e ancora oggi continuiamo a fare la stessa cosa”. Quindi il grande scandalo degli investimenti folli sui derivati non ha cambiato niente? “Si sono calmati per qualche tempo e poi è ripartito tutto come prima. È nei geni di quelli che fanno questo mestiere, c’era anche nei miei ed è ancora in quelli delle persone che oggi stanno trattando i prodotti finanziari sui mercati”. Una delle prove? “I bonus sono ripartiti come prima e stanno crescendo anche in Europa. Nel vecchio continente hanno detto che è stato messo un tetto. In realtà quello che accade, ad esempio in Francia, è che vengono pagati all’estero”.
LA FINANZA ETICA E QUELLA SPECULATIVA – “La finanza non è necessariamente cattiva”, dice poi ricordando che può essere “a supporto dell’economia per progetti industriali e commerciali” o delle famiglie con l’erogazione dei mutui. D’altro canto, “la speculazione fine a se stessa è inutile, avvantaggia solo una piccola minoranza, mentre può produrre disastri per la maggioranza della popolazione”. Per chi fa parte del sistema, però, c’è un solo diktat: “Correre dietro agli obiettivi semplicemente con lo scopo di restare nel sistema”. Perché altrimenti ti licenziano. E gli obiettivi si raggiungono con la speculazione: “Nel 2008 Société Générale aveva realizzato 15 miliardi di risultati su prodotti speculativi”, ricorda citando recenti dichiarazioni dell’esponente politico e magistrato francese Eva Joly.
Ma come come nasce uno “speculatore”? “Sono entrato in SocGen a 23 anni e ho fatto lì tutta la mia carriera. Speculavo ad oltranza tutti i giorni. Contro l’euro, contro la Grecia, sul petrolio, sugli uragani e quindi sulla gente che moriva o restava senza casa, secondo un meccanismo non molto diverso da quanto successo da voi quando c’è stato il terremoto a L’Aquila”, riconosce. “Ero incoraggiato a farlo. La prima posizione importante che ho preso è stata sugli attentati di Londra: ho fatto guadagnare alla banca 500mila euro lordi. Ero short: avevo venduto degli indici di Borsa, dopo gli attentati il mercato è andato a picco. E ho ricomprato più a buon mercato rispetto ai prezzi ai quali avevo venduto. Et voilà: ecco fatto il denaro sul malessere degli altri. La banca ci ha guadagnato e si è congratulata”. Ha ricevuto dei bonus per questo? “All’epoca ero trader junior, non erano previsti dei guadagni extra, ma i miei capi ci hanno guadagnato. Il mio stipendio era sui 3mila euro netti al mese obiettivi inclusi. Molto molto lontano dai milioni cui si può arrivare con questo tipo di mestiere. Ma il denaro non è mai stato il motore di quello che facevo: ero in una bolla con dei capi che mi incoraggiavano. Era il mio mestiere”.
NIENTE EMOZIONI, SOLO SOLDI – La richiesta del resto era molto chiara: “Fare soldi, indipendentemente dal modo in cui si fanno. Non ci sono altri obiettivi. All’inizio del lavoro quando ho visto le immagini degli attentati di Londra mi sono fatto delle domande. Il mio capo è venuto da me e mi ha detto ‘le tue emozioni le lasci fuori dal parterre. Sei qui per fare soldi’. E così a poco a poco ti disumanizzi, diventi un robot ed effettivamente finisci col lasciare le tue emozioni fuori dal lavoro”.
Rimpianti? “Essere stato attore in questo sistema, questo è un grosso rimpianto. Mi sono sbagliato: ero naif perché pensavo di fare qualcosa di utile perché lavoravo per una grande banca francese che era influente nell’industria finanziaria. Avevo l’impressione di fare qualcosa di giusto e ci incoraggiavano. Salvo che, all’epoca non me ne rendevo conto, questo sistema gioca solo a favore di alcuni e distrugge quelli che ci sono attorno: quando si specula su una piccola azienda, quelle che chiamiamo small cap, si vendono le sue azioni facendo abbassare violentemente il loro corso azionario. Dietro ci sono dei lavoratori che pagano il conto, ma per noi è una cosa molto virtuale dal momento che siamo in una sala operativa. C’è uno schermo, non vediamo i dipendenti e non ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo”.
Poi il c’è stato il tracollo, la galera, il buio e, infine, quella che lui dipinge come una sorta di conversione con un racconto che ne fa una specie di Innominato manzoniano dei giorni nostri. In ogni caso le sue parole sono tutto tranne che equivoche. “Non so se avrei fatto questo stesso discorso se fossi ancora un trader”, ammette. Per poi rivendicare di aver ricevuto delle offerte da altre banche anche all’estero: “Ho rifiutato perché non mi interessa più, ne sono uscito e ne sono molto felice”, garantisce.
LA RIVOLUZIONE FRANCESCANA IN VATICANO E L’IMMOBILISMO GATTOPARDESCO DELLA POLITICA – Fondamentali in questo passaggio l’incontro con il Papa e la strada. “Da quando ho iniziato il mio cammino non mi sento più a mio agio a far parte di questo mondo e non voglio più entrarci. Da un anno incontro gli studenti per avere con loro degli scambi sui motivi per cui sto facendo questo percorso”. Nel passaggio non è stata secondaria la rivoluzione francescana della finanza in Vaticano. “E’ una delle ragioni per cui gli ho scritto: tutto quello che racconta e denuncia sulla tirannia dei mercati, sulla speculazione e sull’ingiustizia trova eco dentro di me perché sono stato attore e vittima di questo sistema. Mi ha salvato in un momento in cui rischiavo di perdermi. E’ l’unico dirigente, perché è un dirigente, ad essere passato dalle parole ai fatti sui temi finanziari”. Non può dire lo stesso dei suoi ex capi, tra i quali Jean Pierre Mustier, oggi ai vertici della divisione Corporate & investment banking di Unicredit: “Ognuno fa i conti con la sua coscienza”, taglia corto Kerviel pur continuando a sostenere che al suo processo “hanno mentito”.
LE “BOMBE A OROLOGERIA” CHE LA GENTE NON CONOSCE – Chi non sa è sicuramente la gente fuori dal sistema. “Mi ha fatto sorridere nel 2007 la gente che ha scoperto i subprime. A fine anni ’90 lavoravo per un fondo multigestione e alcuni gestori negoziavano questi subprime sui crediti. All’epoca ero in contatto con uno dei trader che li negoziava e mi disse questa frase: ‘non sappiamo cosa stiamo comprando, non sappiamo quanto vale, ma ci possiamo fare su dei soldi’ – spiega – ci sono dei prodotti che sono nelle banche che sfuggono completamente alla comprensione della gente e sono delle bombe a orologeria: i subprime 10 anni dopo hanno creato la crisi che conosciamo e oggi in banca ci sono nuovi prodotti molto complessi che chiamiamo strutturati. Come i derivati climatici fatti sulla temperatura (in pratica delle ‘scommesse’ sull’andamento del clima e della temperetura terrestre, ndr) che non sappiamo che cosa faranno tra 10 anni. Non è un caso isolato. Ce ne sono diversi. Oggi i bilanci delle banche non sono controllati, non sono leggibili, non sono comprensibili per i comuni mortali”.
Così a guidare il gioco dell’economia mondiale, a dispetto delle perdite monstre cumulate a partire dal 2008, sono sempre i signori della finanza. “Dopo il crac di Lehman Brothers (15 settembre 2008, ndr) si è aperta una finestra per i governi: senza gli Stati le banche sarebbero fallite e la politica aveva la possibilità di invertire il rapporto di forza a proprio favore. Non l’ha fatto e oggi è troppo tardi: è ancora la finanza che domina. La ragione è che sono sempre le banche che finanziano i debiti degli Stati. Quindi vista la situazione non si rompono le scatole al banchiere, lo si lascia fare e basta”. Il pericolo maggiore oggi? “Non aver emanato norme che dal 2010 avrebbero dovuto regolare questo sistema e continuare a non farlo”.
di Fiorina Capozzi, Lisa Iotti (Presadiretta-Rai3) e Gaia Scacciavillani