“Non è possibile escludere” un collegamento tra le attività estrattive e i terremoti che nel maggio del 2012 colpirono Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Sarebbero queste le conclusioni dell’indagine condotta dalla commissione internazionale Ichese, incaricata nel 2012 dalla Protezione civile, su richiesta del commissario alla ricostruzione Vasco Errani, di fare luce sulle possibili relazioni tra le attività di esplorazione per la ricerca di idrocarburi e l’aumento dell’attività sismica nel territorio dell’Emilia Romagna. Il rapporto che conterrebbe quelle affermazioni ad oggi non è stato ancora reso pubblico, anche se sarebbe stato consegnato alla Regione già un mese fa. Contattato da ilfattoquotidiano.it, il presidente Errani si è limitato a rispondere che “tutto sarà chiarito pienamente”. Tuttavia, secondo la rivista Science, che afferma di averlo letto e che per prima ne ha dato notizia, sarebbero proprio le attività di estrazione petrolifera nel giacimento di Cavone (Modena), secondo gli esperti della Ichese, ad aver “innescato” i terremoti di magnitudo 5.9 e 5.8 che il 20 e il 29 maggio del 2012 costarono la vita a 27 persone, provocando danni per 13 miliardi di euro. Sarebbe invece da escludere l’ipotesi per cui le indagini invasive nel deposito gas vicino a Rivara avrebbero determinato le scosse.
Nel rapporto della commissione, che secondo Science sarebbe datato febbraio 2014, i tecnici incaricati dalla protezione civile sulla base dell’ordinanza 76 del 12 novembre 2012 emessa dal commissario Errani, infatti, indicherebbe un possibile “fattore scatenante” tra le cause che hanno provocato i fenomeni sismici di due anni fa: gli impianti petrolifici di Cavone, nei pressi di San Possidonio, in provincia di Modena, di proprietà della Gas Plus. “Nelle conclusioni della commissione – cita la rivista scientifica – c’è scritto che non si può escludere che le attività nel sito abbiano dato inizio al terremoto del 20 maggio, il cui epicentro era a circa 20 chilometri di distanza”: “Secondo gli esperti – riporta Science – le variazioni di stress e pressione all’interno della crosta terrestre, derivanti sia dalla rimozione del petrolio, sia dall’introduzione di fluidi necessari a provocare la fuoriuscita del greggio, quasi certamente non sarebbero state sufficienti a provocare, da sole, un terremoto simile. Tuttavia è possibile che la faglia coinvolta nella sequenza sismica del 20 maggio fosse vicina al punto di rottura, e che le variazioni imposte dall’uomo alla crosta terrestre, seppur minime, siano state sufficienti a innescare il terremoto. Fenomeno che, a sua volta, potrebbe aver dato avvio alla scossa del 29 maggio”.
Le ipotesi formulate dalla commissione di tecnici – i cui membri sono il presidente Peter Styles, docente di geofisica applicata e ambientale alla Keele 4 Univerity in Gran Bretagna, ma anche membro dello “Shale Gas Europe expert advisory panel”, il professore emerito di Geofisica alla Federico II di Napoli, Paolo Gasparini, altresì consulente per varie ditte petrolifere, il direttore dell’International center for geothermal research in Germania, Ernst Huenges, centro a sua volta finanziato da petrolieri, il professore ordinario di geologia strutturale all’Università di Pisa, Paolo Scandone, il direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del dipartimento per l’Energia del ministero dello Sviluppo Economico Franco Terlizzese e Stanislaw Lasocki, capo del Dipartimento di Sismologia e Fisica della Terra a Varsavia, in Polonia – si baserebbero sulla correlazione tra l’aumento di attività registrata negli impianti di Cavone nell’aprile del 2011 e l’aumento di sismicità nell’area prima del 20 maggio 2012. Tuttavia, precisa Science, “manca un modello fisico di sostegno”, in grado di dimostrare effettivamente il nesso tra la dinamica dei fluidi legati all’estrazione del petrolio e l’effetto che tali fluidi avrebbero sulla crosta terrestre.
Ed è proprio per costruire un modello dettagliato del sottosuolo in grado di confermare o smentire l’ipotesi tale nesso che, fanno sapere Regione Emilia Romagna, ministero per lo Sviluppo economico e Protezione civile in una nota congiunta, “in seguito alla consegna del rapporto Ichese, a febbraio è stato costituito, presso il ministero dello Sviluppo economico, un gruppo di lavoro dedicato a effettuare gli approfondimenti indicati nelle raccomandazioni della commissione”. Le conclusioni iscritte nel rapporto Ichese, spiega la nota, “sottolineano la necessità, per escludere o confermare l’ipotesi di un legame causale tra le estrazioni di idrocarburi nella località Cavone e i fenomeni di sismicità dell’area, di approfondire gli studi sviluppando attività di monitoraggio altamente tecnologiche per l’acquisizione di ulteriori dati necessari alla costruzione di un modello dettagliato del sottosuolo”. Il gruppo di lavoro, quindi, definirà “le linee guida che consentiranno di raccogliere dati per fornire le risposte necessarie”, “un’attività di indagine che si colloca ai livelli più avanzati di ricerca del mondo”, e tali linee guida, “che sono in fase avanzata di preparazione”, “saranno presentate in tempi rapidi insieme alla pubblicazione integrale del Rapporto Ichese”. Intanto il 15 aprile la giunta Errani riferirà in aula sulle attività della commissione.
In Emilia Romagna, nella bassa terremotata, del resto, cittadini e sindaci aspettano. Perché sul tavolo del ministero dell’Ambiente le domande presentate da aziende italiane e straniere interessate a trivellare il territorio alla ricerca di idrocarburi, aumentano: c’è la texana Aleanna Resources, che vorrebbe esplorare il sottosuolo ferrarese alla ricerca di metano, c’è la milanese Expoloenergy s.r.l, che in piena area ‘cratere’ vorrebbe estrarre lo ‘shale gas’, c’è Independent Resources, che non ha mai rinunciato al ricorso per il sito di Rivara. Solo per fare qualche esempio. E se la Regione, dopo i terremoti del 2012, aveva sospeso ogni autorizzazione a trivellare proprio in attesa del parere della commissione Ichese, il timore è che prima o poi, quel via libera possa arrivare.