Rio de Janeiro – L’ultima favela sorta a Rio in ordine di tempo è stata anche quella che ha avuto vita più breve. Sin dall’occupazione da parte di cinquemila persone lo scorso 31 marzo, la voce di una possibile azione forte della polizia per liberare l’area è stata insistente. E così all’alba di venerdì un’irruzione delle forze speciali della polizia militare di Rio ha restituito alla telefonica Oi tutti i locali occupati. L’intervento della polizia che ha impiegato ben 1650 uomini soprattutto del Batalhao de Choque è stato molto violento. E questo ha generato nella popolazione rabbia che si è tradotta in atti di vandalismo, sassaiole e scontri con le forze dell’ordine. Un’area di alcuni chilometri quadrati nel quartiere Engenho Novo è stata paralizzata per ore.
E’ iniziato tutto alle 4,30 di notte. La polizia è entrata nei locali con pochissime unità, tentando una mediazione con la popolazione. “Sono venuti con tranquillità e noi siamo rimasti calmi” racconta Michelle, 24enne che con i suoi quattro figli e il marito era nella struttura sin dall’inizio. “Noi ci siamo tutti seduti a terra e abbiamo issato una bandiera bianca perché fosse chiaro che non volevamo violenza. Hanno detto che sarebbero venuti degli operatori giudiziari e assistenti sociali per capire le nostre necessità. Mentre eravamo radunati lì sul posto, abbiamo sentito un boato. E da quel momento è stato l’inferno”. Come verificato anche dalla commissione diritti umani dello Stato, arrivata sul posto con alcuni rappresentanti in mattinata, l’irruzione è iniziata con l’abbattimento di un muro per permettere l’entrata da un punto diverso dell’ingresso principale.
I racconti degli occupanti, concitati e rabbiosi, si sono tutti identici: “Sono entrati lanciando lacrimogeni e spray al peperoncino e hanno picchiato senza sosta nel mucchio. Volevano che ci terrorizzassimo e scappassimo fuori. Molti sono andati via lasciando tutto dentro”, racconta la signora Chica, che di questa neonata favela era una delle leader. “Ho visto quel bambino di dieci mesi stare male perché colpito con lo spray al peperoncino. Ma che pericolo era per i poliziotti un bimbo così piccolo?” si chiede rassegnata. In realtà sono state moltissime le persone soccorse nell’Upa poco distante, principalmente proprio donne e bambini intossicati dai lacrimogeni e spray lanciati anche in locali chiusi. Diversi gli intossicati dal fumo.
Dopo pochi minuti dall’ingresso della polizia, infatti, è stato appiccato un incendio in uno degli edifici. Gli altri feriti sono invece da mettere nell’elenco degli scontri successivi. In strada. Una volta fuori, mentre dall’interno continuava ad alimentarsi la fila di persone che come profughi lasciavano l’area cercando di portare via quanto possibile, in molti hanno dato inizio alla guerriglia urbana. Occupanti, ma anche residenti delle vicine favelas che si sono riversati in strada. La risposta alle numerose sassaiole e all’incendio di autobus e mezzi della polizia è stata molto dura. Numerose le cariche e intenso il lancio di gas lacrimogeni, anche per interrompere gli assalti alle banche e ai supermercati. Chiaramente distinguibili i colpi di arma da fuoco esplosi per intimidire i manifestanti. Solo dopo alcune ore, con l’area liberata e la folla dispersa è tornata la tranquillità. Una calma però solo apparente.
Le persone hanno continuato per ore a recriminare contro la gestione dello Stato e per i tagli ai servizi sociali in favore, hanno urlato in tanti, della corruzione e delle opere faraoniche per i mondiali di calcio. Ma c’è dell’altro. Quello abitativo a Rio è un problema che affonda le sue radici nella storia della città, e ai problemi vecchi, alle vecchie logiche si è sommata una crescita esponenziale dei prezzi soprattutto in alcune favelas, quelle pacificate. I prezzi salgono e i lavoratori poveri non riescono a pagare l’affitto. La storia di Francisco è emblematica. Ventisei anni, moglie e tre figli, di cui uno di pochi mesi, è operaio e guadagna il salario minimo: 724 real al mese (circa 250 euro) “Pago 400 real di affitto della casa e con il resto devo mandare avanti la famiglia. Abbiamo saputo dell’occupazione perché la notizia è circolata in molte comunità nei dintorni. Ho voluto tentare di trovare una soluzione abitativa gratis perché così non riesco a vivere. Sono onesto, un lavoratore, non so che fare”. La sua vicenda è molto simile a quella di tanti altri, e ovviamente si unisce alle singole esperienze di chi tenta di vivere una città dalle diseguaglianze feroci, visibili, nonostante tutto, ancora oggi.
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