Per il momento è solo un’ipotesi. Nel complesso puzzle che compone la questione dell’estradizione di Marcello Dell’Utri dal Libano, un minuscolo tassello potrebbe influenzare il processo sulla Trattativa Stato – mafia, dove l’ex senatore è imputato per violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato. Mentre il fondatore di Forza Italia continua ad essere ricoverato in un ospedale di Beirut, sorvegliato a vista dai poliziotti locali, all’aula bunker di Palermo è ripreso il processo sul patto tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. E per la prima volta lo status di Dell’Utri in giudizio è cambiato: da imputato libero a imputato detenuto, seppure per altro procedimento.
Una situazione che di per sé non influenza direttamente il dibattimento palermitano, dato che non essendo Dell’Utri mai comparso davanti la corte d’Assise (né durante l’udienza preliminare e nemmeno durante il processo in corso) è di fatto imputato contumace. È per questo che il presidente Alfredo Montalto, facendo riferimento ad una sentenza della Cassazione che si è espressa sul merito, ha dato il via libera alla prosecuzione dell’udienza, limitandosi a mettere agli atti il cambio di status di Dell’Utri. Che però potrebbe anche chiedere di assistere al dibattimento, come previsto nei diritti degli imputati detenuti. Ed essendo in questo momento detenuto a Beirut, l’ex senatore potrebbe a quel punto appellarsi al legittimo impedimento. L’avvocato Giuseppe Di Peri, legale di Dell’Utri presente all’udienza di oggi ma malato due giorni fa quando era prevista l’udienza in Cassazione, ha preferito non illustrare la strategia difensiva. La prossima udienza del processo sulla Trattativa, però, è stata fissata il 15 maggio prossimo, quando parecchi nodi sul caso saranno comunque sciolti. E domani la Cassazione deciderà se ci sono o meno le condizioni di sicurezza per continuare lo svolgimento del processo a Palermo o trasferirlo a Caltanissetta.
Per il 9 maggio è prevista la sentenza definitiva della Cassazione, mentre – come raccontato dal fattoquotidiano.it nei giorni scorsi – il 12 maggio scadono i termini previsti dal trattato Italia – Libano, che disciplina i rapporti giuridici tra le due nazioni, per trattenere l’ex senatore agli arresti. Se dovesse essere condannato in via definitiva e da Beirut dovesse arrivare il via libera per l’estradizione, Dell’Utri verrebbe rinchiuso in un carcere italiano, da dove potrebbe seguire il processo in video conferenza. Viceversa, se nonostante la sentenza definitiva l’estradizione dovesse essere negata da Beirut, il fondatore di Forza Italia sarebbe lasciato libero dalle autorità libanesi, ma rendendosi nuovamente latitante, non potrebbe appellarsi a nessun legittimo impedimento.
Un ruolo importante in questa complessa vicenda lo gioca sicuramente l’istanza di estradizione che dal Ministero della Giustizia dovrà giungere in Libano. Secondo quanto dichiarato fino a ieri dall’avvocato Nasser Alkali, legale libanese che assiste l’ex senatore a Beirut, in Libano non sarebbe ancora arrivato nessun documento dall’Italia. Un ritardo dovuto alla richiesta avanzata alle autorità italiane da Samir Hammoud, Procuratore Generale di Beirut, che basandosi sull’articolo 21 della Convenzione tra Libano e Italia ha chiesto di venire in possesso di tutti gli atti che illustrino “le circostanze dei fatti per i quali l’estradizione è richiesta, il tempo e il luogo in cui sono stati commessi, la qualificazione giuridica e i riferimenti alle disposizioni di legge che sono ad essi applicabili, saranno indicati il più esattamente possibile”. Non solo quindi l’ultima sentenza di appello, lunga circa 500 pagine, ma anche il parziale annullamento della Cassazione (147 pagine), la prima sentenza di secondo grado (641 pagine) e gli oltre mille fogli che illustrano le motivazioni del processo di primo grado. In più, a voler interpretare in maniera capillare la norma del trattato Italia – Libano, da Beirut potrebbero anche chiedere tutti i verbali delle udienze, gli interrogatori dei collaboratori di giustizia, i testi delle intercettazioni telefoniche: una mole di documenti enorme (una stima per difetto racconta di almeno 50mila pagine) che dovrebbero essere tradotti in francese, lingua utilizzata nel 1970 per redarre la Convenzione tra Italia e Libano. Nelle ultime ore si era diffusa anche la voce che da Beirut sarebbe arrivata la richiesta per avere gli atti tradotti anche in arabo: indiscrezione che è stata smentita nettamente da via Arenula. Dove adesso una piccola squadra di traduttori sta passando al setaccio gli atti arrivati dalla procura di Palermo. Un lavoro che investigatori con esperienze pregresse nei rapporti con i traduttori stimano sia fattibile anche in una decina – quindicina di giorni. Ma che comunque ha un costo. Le traduzioni per scopi giuridici devono essere infatti giurate, redatte da professionisti iscritti all’albo dei consulenti tecnici d’ufficio. Solo a volersi basare sulle tariffe medie dei traduttori giurati, indipendentemente dai professionisti utilizzati per questo scopo da via Arenula, il costo di ogni traduzione tecnica dall’italiano al francese e di circa 15 euro a cartella. Per una mole di documenti che solo di motivazioni delle sentenze sfiora le tremila pagine. Se fosse così la spesa minima sarebbe di 45mila euro.