Italiani trasferiti a Londra che per trovare lavoro si rivolgono ad agenzie private gestite da connazionali. Tra i servizi a pagamento che offrono, però, non ci sono solo corsi di lingua e alloggio. Spesso servono soldi anche un primo contatto con il mondo del lavoro inglese, anche se si tratta di una procedura illegale. Inoltre, a tanti ragazzi che pagano per ottenere un impiego vengono proposti lavori inesistenti o in condizioni di sfruttamento.
Vietato dalla legge – Partiamo da un punto: le leggi italiane, britanniche ed europee vietano esplicitamente che un’agenzia possa essere pagata da una persona in cerca di lavoro. A regolare questa materia in Italia è la legge Biagi del 2003, che recita esplicitamente all’articolo 11: “È fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore”. E aggiunge all’articolo 18: “Chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione è punito con la pena alternativa dell’arresto non superiore ad un anno o dell’ammenda da euro 2.500 a euro 6.000. In aggiunta alla sanzione penale è disposta la cancellazione dall’albo”. Va bene, si potrebbe obiettare, ma le agenzie, pur gestite da italiani, operano su suolo britannico. La legge, però, non è diversa.
Per avere una conferma, basta andare sul sito del Citizen Advice Bureau – rete di organizzazioni no profit specializzate in consulenza legale ai cittadini. Lì è messo nero su bianco come, secondo la legge britannica, “un’agenzia per l’impiego non deve assolutamente chiedere soldi per la ricerca di lavoro” (“An employment agency must not charge you a fee for finding you work or trying to find you work”). Può, è vero, far pagare una serie di servizi accessori, come scrittura del curriculum, la fornitura e pulitura di uniformi, sistemazione, aiuto nei trasporti e training. Ma, specificano sul sito, “l’agenzia non deve costringere a comprare questi servizi in cambio del fatto che ti trova lavoro” (“The agency must not make you buy these services in return for them finding you work“).
“Truffe a Londra” dicenta un sito di denuncia
Ma quanti sono i casi di illegalità e frodi e a quanto ammonta l’entità delle truffe? Poiché il mercato del lavoro londinese è una giungla fatta anche di false agenzie di lavoro e di un continuo ricambio di manodopera, quantificare è difficile. Tuttavia, stando alle segnalazioni ricevute dal sito web Truffe a Londra, si tratta di un fenomeno presente da anni, diffuso e in continua espansione. Il sito è gestito da Valerio, rimasto lui stesso scottato ben dieci anni fa.
Valerio arriva in Gran Bretagna nel 2004 pieno di speranze e sogni, ma quasi senza sapere l’inglese. “Poi un ragazzo – ricorda Valerio – mi consiglia di rivolgermi ad una agenzia di nome ‘Anna Mundus Club’, che dietro pagamento di 80 sterline ti promette lavoro”. Il passaparola sembra funzionare, il sogno di una nuova vita lontano dall’Italia, meno. Valerio viene mandato in un ristorante gestito da italiani, dove gli rispondono solo: “Ti faremo sapere”. I giorni, però, passano. E nessuno lo richiama. “Quando realizzai il giochetto – prosegue Valerio – tornai alla Mundus. La responsabile non mi trovò nessun lavoro e non ci fu modo di recuperare i soldi”. Oggi Valerio – molti anni e molte esperienze dopo -, ha 37 anni, vive stabilmente a Londra e lavora come informatico. Ma proprio l’esperienza negativa di qualche anno fa è stata per lui la spinta a creare il sito dove pubblica storie e segnalazioni di truffe simili alla sua.
Alla base di uno degli episodi che hanno suscitato la rabbia della community di Truffe a Londra c’è un articolo di giornale. Il 19 gennaio il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato un articolo sull’agenzia Fuggi a Londra. Nel pezzo, poi postato sulla pagina facebook della stessa agenzia, si lodano le capacità imprenditoriali del 28enne barese Raffaele Misceo, manager dell’azienda. Valerio fa però notare che la ricerca di lavoro senza servizi accessori costa 150 sterline. In questa immagine è possibile vedere un contratto – risalente all’agosto 2013 -, fornitoci da Valerio, stipulato da Fuggi a Londra in cambio di servizi. A fianco della sezione “Lavoro” è segnato l’importo di 150 sterline, ma nella parentesi sotto non si specificano i servizi che giustificano il versamento. Infatti, c’è scritto soltanto che “l’agenzia si impegna all’erogazione entro 30 giorni, pena restituzione del 100% della somma versata”.
Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it, il manager di Fuggi a Londra spiega che la sua agenzia non offre direttamente lavoro: “Ci occupiamo piuttosto di servizi di scrittura del curriculum vitae e training per chi cerca lavoro. I nostri contratti sono perfettamente legali”. Misceo ci ha fornito a questo punto un secondo contratto datato 19 gennaio (guarda) in cui la clausola del “non soldi in cambio di lavoro” è in effetti chiaramente riportata.
Il manager di Fuggi a Londra, tuttavia, ha ammesso che “qualche mese fa, data forse una certa ingenuità di un’azienda giovane, non era specificato sui contratti che ci occupavamo solo del curriculum o del training”. In effetti non lo era: sul contratto più vecchio si può leggere chiaramente: “Lavoro: sì (costo complessivo di 300 sterline)”. Dunque l’attività di questa agenzia, una delle più esposte e visibili sul web, era ancora una volta quella di prospettare ai giovani lavoro in cambio di un pagamento. Risponde a distanza Valerio: “Anche nel nuovo contratto il responsabile dell’agenzia dice che non trova lavoro direttamente: il contratto specifica che dopo 3 appuntamenti lo stesso contratto decade. Quindi la riga del documento dove si legge ‘At the time that the candidate misses 3 scheduled job appointments the contract will authomatically decline’ contraddice quella precedente (‘The agency does not charge you for finding you work or trying to find you work’). Il contratto – osserva Valerio – rivela infatti come l’agenzia, seppur indirettamente, ricerca lavoro”.
Non solo lavoro: c’è anche la casa
Un’altra denuncia arriva da Hermes Carbone, 23 anni di Messina, studente della London School of Journalism. Nella sua esperienza la ricerca di un alloggio rappresenta l’esca con cui singoli “agenti” (del tutto irregolari) provano a inserire il nuovo arrivato nel mercato del lavoro. In questo caso emerge la figura degli intermediari: procacciatori di alloggi e manodopera a bassissimo costo. “Tra i tanti italiani conosciuti – ricorda Hermes – c’è Riccardo di un’agenzia immobiliare di Willesden Green. Romano, sui 35 anni, ex agente immobiliare fallito nel Lazio, è stata una delle persone a cui mi affidai per trovare casa, vedendo anche il grande ascendente che aveva sui giovani italiani della sua agenzia. Sembrava la classica persona di cui potevo fidarmi, arrivando in una città straniera in cui non avevo né amici né conoscenti”.
Eppure, “oltre a propinarmi abitazioni con 18 persone al proprio interno o altre case con un livello di sporcizia e una puzza inimmaginabili – tutte in zone Willesden Green, Willesden Junction o Dollis Hill, dove lui stesso abitava – lui, che era il fidanzato della proprietaria brasiliana dell’agenzia, mi chiese: ‘Ma tu lo vuoi trovare un lavoretto per pagarti l’affitto? Ho un’amica, anche lei italiana, che trova lavoro a tutti come cameriere o lavapiatti’”. Una proposta che Hermes, appena arrivato a Londra dall’Italia, vorrebbe accettare, anche nella speranza di non dover pesare troppo ai genitori. Quando chiede all’ex agente come fare ad ottenere il lavoro, l’uomo risponde: “Se vuoi lavorare devi pagare 70/80 sterline o quelli che ti chiede la signora. Il giorno dopo lei ti trova un lavoro. Anche io ho iniziato così qui a Londra, come lavapiatti. Poi, se paghi qualcosa in più, magari ti trova un lavoro migliore. Funziona così”. In questo caso la storia ha un lieto fine: Hermes non ci casca e sta alla larga da Riccardo. Un caso simile a tanti altri finiti peggio. “Molto spesso – conclude amaramente Giuseppe, che conosce da vicino chi ha avuto esperienze simili – presunti agenti o agenzie di lavoro illegali approfittano di ragazzi appena approdati a Londra, che non hanno piena conoscenza della lingua e del sistema giudiziario inglese”.
Twitter: @andreavaldambri