Nell’Italia che lotta per riprendersi dalla crisi economica ci sono ancora un milione e 130mila famiglie senza reddito da lavoro. Tradotto: si tratta di nuclei familiari al cui interno tutti i componenti attivi (ovvero quelli che partecipano al mercato del lavoro) sono disoccupati. Una fotografia che non lascia spazio all’ottimismo quello scattato dall’Istat, i cui dati 2013 dipingono una situazione tutt’altro che rosea: nel dettaglio, come detto, si tratta di 1 milione 130mila nuclei, tra i quali quasi mezzo milione (491mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213mila sono monogenitore (nella gran parte dei casi una mamma).
A preoccupare, inoltre, non è solo la cifra in sé, ma anche l’andamento in percentuale del dato. Il numero delle famiglie dove tutte le forze lavoro sono in cerca di occupazione, infatti, risulta in crescita del 18,3% rispetto al 2012 (+175mila in termini assoluti). Peggio ancora se si confronta il quadro con quello di 2 anni prima: in questo caso il rialzo supera il 50%, attestandosi precisamente al 56,5%. Si tratta quindi di ‘case’ dove non circola denaro, ovvero risorse che abbiano come fonte il lavoro. Magari possono contare su redditi da capitale, come le rendite da affitto, o da indennità di disoccupazione, o ancora da redditi da pensione, di cui beneficiano membri della famiglia ormai ritiratisi dal lavoro attivo. Il ragionamento, ovviamente, viene fatto al nero di ogni forma di lavoro nero.
A soffrire di più, ancora una volta, è il Mezzogiorno, con 598mila famiglie, dove coloro che sono forza lavoro risultano tutti disoccupati. Seguono il Nord, che ne ha 343mila, e il Centro, con 189mila. Ma il fenomeno avanza dappertutto. E i conti non tornano, o meglio tornano quelli della crisi, se si va a guardare il numero dei nuclei in cui tutti i componenti che partecipano al mercato del lavoro hanno un’occupazione, pari a 13 milioni 691mila, in calo di 281mila unità (-2%). Insomma le nuove medie annue dell’Istat, intrecciando i dati su condizioni familiari e occupazionali, non fanno altro che confermare un 2013 segnato fino in fondo dalla piaga della disoccupazione.
Unimpresa: “Cinque famiglie su sette al discount per risparmiare”
Numeri le cui conseguenze si riflettono inevitabilmente sulle dinamiche di consumo degli italiani. I quali, in mancanza di entrate, cercano di risparmiare come possono. In tal senso è emblematico il rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo cui la crisi spinge anche nel 2014 per la spesa low cost. Le famiglie italiane inseguono sempre di più risparmi e promozioni: cinque su sette hanno provato almeno una volta i discount nel primo trimestre di quest’anno, confermando una tendenza cresciuta con la recessione e consolidatasi nel 2013. La ricerca è stata condotta tra i 18mila esercizi commerciali associati da Unimpresa, secondo cui la recessione ha ormai radicalmente alterato le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani fa economia e così rispetto al primo trimestre dello scorso anno sono più che raddoppiati, tra gennaio e marzo, gli acquisti di offerte speciali. Aumentano le persone che fanno shopping di cibo nei negozi a basso costo. Dagli alimenti alle bevande, dice Unimpresa, ma anche prodotti per la casa e abbigliamento, gli sconti fanno gola a tutti e sono la risposta fai-da-te delle persone alla crisi. Nel carrello della spesa degli italiani finiscono con sempre maggiore frequenza rispetto al passato prodotti offerti sugli scaffali con sconti, specie quelli con ribassi dei prezzi superiori anche oltre il 30% rispetto al listino ufficiale.
Stesso discorso per gli acquisti low cost, che nel primo trimestre del 2014 sono cresciuti del 60%. Lo studio conferma e mette in luce, dunque, una tendenza in atto da tempo, peraltro già rilevata negli ultimi tre anni dall’associazione. Confermato il dato più rilevante, secondo cui l’attenzione alle offerte speciali porta i consumatori a fare una vera e propria incetta di beni a basso costo: i cittadini sono diventati super esperti dei volantini, puntano le promozioni e nelle buste della spesa finisce solo quanto è proposto in offerta, mentre restano sugli scaffali dei supermercati e dei piccoli negozi su strada tutti gli altri prodotti. L’altra faccia della medaglia, ovviamente, sono gli incassi degli esercenti: secondo prime stime l’impatto sui conti potrebbe arrivare ad avere un’incidenza negativa del 65-70%. Elemento che aggraverebbe un quadro già profondamente depresso, con i consumi che nel 20134 sono scesi del 2,6%. Nel 2014, tuttavia, dovrebbe faticosamente ripartire la ripresa con una salita, seppur minima, delle vendite al dettaglio. I dati del sondaggio Unimpresa indicano che i piccoli negozi sono sempre meno frequentati (-6,5%) e il trend è negativo anche per i supermercati (-2,1%); solo i discount segnano una tendenza positiva (+4,8%).
“Ora c’è il bonus da 80 euro, ma si tratta di una misura una tantum che dovrà essere confermata per i prossimi anni – dice il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – Avremmo preferito un intervento sull’Irpef strutturale perché altrimenti non è sicuro che ci siano benefici per la ripresa. Al governo di Matteo Renzi riconosciamo un approccio diverso rispetto al passato. Serve una cura da cavallo – ha aggiunto Longobardi – per far ripartire l’economia. Giù le tasse, subito. Senza indugi o tentennamenti di sorta”.