Alla fine il governo ha deciso: sul primo tassello del decreto Lavoro in esame alla Camera sarà messa la fiducia e sarà discussa in aula mercoledì 23 aprile. Una mossa che non ha tenuto conto delle rimostranze degli alleati del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che in mattinata hanno minacciato di non votare il provvedimento in mancanza di un accordo. “Voteremo la fiducia”, ha fatto sapere Nunzia De Girolamo, capogruppo Ncd alla Camera, “ma non rinunciamo a dare battaglia al Senato per difendere il decreto”. Solo qualche ora prima invece, il Nuovo centrodestra lanciava ultimatum: “O accordo di maggioranza oppure salta tutto”, aveva detto Maurizio Sacconi. Ncd, insomma, ha minacciato lo strappo, cosa che non ha turbato più di tanto Matteo Renzi, che invece “vuole correre come un treno”. La testimonianza plastica è arrivata dall’annuncio della fiducia sul provvedimento: “Faremo maggiori approfondimenti con il passaggio al Senato” ha detto il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza, dopo il vertice di maggioranza durato più di due ore. Nessuna intesa al vertice di maggioranza sul decreto Lavoro. I ministri Boschi e Poletti hanno tentato una mediazione ma, a quanto si apprende, non si è raggiunto un accordo sulle modifiche: Ncd voleva modifiche sulle sanzioni per l’apprendistato e il Pd che scendesse da 5 a 4 il numero dei contratti a termine. A ostacolare il compromesso sarebbe stata la stessa minoranza Pd. E intanto il coordinatore del Nuovo centrodestra Quagliarello assicura: “Torneremo al testo iniziale”.
Critici anche Scelta Civica e Forza Italia. Il partito di Angelino Alfano chiedeva il “ripristino” del testo originario, cioè quello arrivato in Commissione lavoro a Montecitorio e emendato dalla sinistra del Partito democratico. Quello che è in discussione alla Camera oggi è la prima parte del Jobs Act: quella che riguarda la semplificazione sul fronte dei contratti a termine. Commissione che ha, tra l’altro, ridotto da otto a cinque il numero di possibili proroghe del contratto a tempo determinato nell’arco di 36 mesi. L’Aula della Camera ha respinto, con 22 voti di scarto, la richiesta di rinvio del testo in Commissione chiesta dal Movimento 5 stelle, con parere contrario del relatore della maggioranza Carlo Dell’Aringa.
Il decreto è benedetto dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (“Porterà maggior occupazione”), ma l’entusiasmo potrà poco di fronte allo scontro che si gioca dentro la maggioranza: se la fiducia potrebbe essere blindata a Montecitorio, i numeri per il premier traballano a Palazzo Madama. La crisi viene dal gruppo di Angelino Alfano, che deve fare i conti con il suo Ncd in ebollizione: “Angelino è succube del premier”, sono i lamenti tra deputati e senatori. Così il decreto lavoro rischia di essere la prova per dimostrare “indipendenza di pensiero” dal presidente del Consiglio e ricompattare il Nuovo centrodestra in vista delle elezioni. “Al momento”, ha commentato a Coffee Break il deputato Fabrizio Cicchitto, “non c’è accordo sul decreto lavoro, noi non lo votiamo. È un passo avanti rispetto alla riforma Fornero ma la proposta era migliore prima del passaggio in commissione. All’interno del Pd c’è una discussione aperta sul tema e siamo in attesa di chiarimenti“. Molto critica anche Scelta civica: fuori dal Pd si è coalizzato un fronte – interno alla maggioranza – contrario alle correzioni volute soprattutto dalla minoranza Dem e approvate in Commissione, che “avrebbero stravolto il testo originale”.
Nei giorni scorsi era circolata la notizia di una lettera di una fronda Ncd polemica con le scelte del leader. I senatori hanno subito smentito con un comunicato, ma secondo alcune ricostruzioni la rottura continua. “Altro che malumori”, aveva commentato Maurizio Sacconi, presidente Ncd a Palazzo Madama in un’intervista a il Mattino, “da parte nostra c’è un vero e proprio dissenso”. E dopo la notizia della fiducia ha aggiunto: “Al Senato noi ci comportiamo diversamente dal presidente Cesare Damiano e dalla minoranza Pd della commissione. Cercheremo mediazioni e accordi. Continueremo a lavorare in difesa del governo dal Pd”.
Annuncia guerra sul tema anche Forza Italia. Mentre Renato Brunetta chiede il ritorno al testo originario “sul quale eravamo d’accordo”, Giovanni Toti attacca le modifiche del Partito democratico. “Ancora una volta”, ha detto in un’intervista a “Studio Aperto”, “nel Pd prevale un’impostazione ideologica.Era stato fatto un decreto che flessibilizzava il mondo del lavoro dopo i tanti danni fatti dalla legge Fornero, oggi si torna indietro, come spesso fa il Pd: si limita la flessibilità e si peggiora il lavoro fatto fino ad esso”. Attacco duro della deputata Daniela Santanchè: “Continuiamo ad assistere sbigottiti all’incartamento interno al Pd e tra Pd e Ncd sul dl lavoro. E’ incredibile e indecente che i partiti che si sono autoproclamati salvatori del Paese non abbiano le idee chiare su come affrontare il primo e più urgente dramma vissuto dagli italiani. Forza Italia non ci sta. Agli italiani che hanno perso fiducia diciamo: non vi lasceremo soli. Dobbiamo reagire”.
Il ministro Giuliano Poletti ha dato il proprio ok dicendo che i ritocchi “non stravolgono” e anzi “rispettano i contenuti fondamentali” del decreto. L’obiettivo del governo è quello di ottenere rapidamente il via libera dell’aula di Montecitorio, perché, ha ricordato Poletti, serve “una risposta urgente alla necessità di rilanciare l’occupazione semplificando il ricorso al contratto a tempo determinato ed all’apprendistato”. Tanto più, probabilmente, dopo i dati di ieri sulle famiglie prive di qualsiasi fonte di reddito. Non solo: l’altra urgenza consiste nel fatto che il Dl (il numero 34 del 2014) scade il 19 maggio, alle porte considerati i prossimi ponti e festività che rallenteranno l’iter parlamentare. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, ha sollecitato un’approvazione rapida, anche tramite la fiducia, per rispettare le scadenze, rivendicando che “le correzioni migliorano il Decreto ed ampliano in modo significativo la flessibilità a disposizione delle imprese senza cancellare i diritti dei lavoratori”.
Proprio sulle disposizioni che riguardano contratti a tempo e rapporti di lavoro finalizzati alla formazione si sono concentrate le modifiche al testo originale. I primi, come già visto, potranno essere prorogati al massimo cinque volte. Il congedo di maternità sarà conteggiato ai fini del ‘diritto di precedenza’ per l’assunzione a tempo indeterminato ma anche per i rapporti a termine che inizino nei 12 mesi successivi. I lavoratori con contratti a tempo determinato non potranno essere più del 20% rispetto a quelli “stabilizzati”. La sanzione prevista per chi non rispetta la regola è l’assunzione: “I lavoratori assunti a termine, in violazione del limite percentuale, sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto di lavoro”. Quanto all’apprendistato, quello pubblico torna obbligatorio, ma l’offerta dovrà essere garantita dalle regioni entro 45 giorni. Le norme saranno applicate sui nuovi contratti e chi oggi si trova fuori dalle regole avrà tempo fino al 31 dicembre per adeguarsi.