I conti pubblici della Grecia migliorano. A un mese dalle elezioni europee, il Fondo monetario internazionale e la Commissione Ue si complimentano per l’avvio della ripresa. I turisti accorrono a frotte. Tutto per il meglio, quindi, dalle parti di Atene? Non proprio: se i mercati festeggiano, famiglie e imprese sono alla disperazione. Nonostante “i compiti a casa”, l’economia reale non riparte. Il debito vale il 175% del pil. La disoccupazione è alle stelle. E non tutti sono convinti che lo spettro della “Grexit” – il rischio, percepito come fortissimo nel 2012, di un’uscita del Paese dalla moneta unica – sia archiviato per sempre. Al contrario, il tema è piuttosto se il gioco dei sacrifici sia valso la candela.
Il ritorno sul mercato e i complimenti di Angela – Riassunto delle ultime puntate: il 10 aprile la Grecia è tornata sul mercato dei titoli di Stato dopo quattro anni di esclusione forzata, emettendo bond a cinque anni – l’equivalente dei nostri Btp. L’accoglienza è stata trionfale, al punto che, per accontentare più investitori possibile, il ministero delle Finanze di Atene ha deciso di incrementare il valore del collocamento portandolo a 3 miliardi di euro dai 2,5 preventivati. Non solo: i titoli sono stati anche piazzati a un rendimento del 4,95 per cento. Molto, rispetto a quanto pagato dai Btp italiani di pari durata (1,88% per quelli collocati a fine marzo) e moltissimo in confronto al tasso sulle obbligazioni quinquennali tedesche (0,6%), ma meno del previsto, segno che il rischio percepito dal mercato è relativamente contenuto.
Il Fondo monetario è stato subito pronto a dichiarare, per bocca della numero uno Christine Lagarde, che “la Grecia è sulla strada giusta”, e a prevedere per il prossimo anno una crescita del pil del 2,9 per cento. Più dell’Italia, che per il Fmi dovrà accontentarsi di un +1,1% (immediata la reazione del governo Renzi che giusto quel giorno aveva presentato il Def, in cui il pil 2015 è dato – “previsione rigorosa e prudente” – a +1,3%). Poi è arrivato il sostegno di Angela Merkel, volata ad Atene per stringere la mano al premier Antonis Samaras, brindare al “ritorno della fiducia” e firmare l’intesa che porterà alla creazione di un fondo di investimento congiunto per le piccole e medie imprese elleniche. Peccato solo per quell’autobomba piazzata, alla vigilia del suo arrivo, davanti alla Banca centrale e agli uffici di rappresentanza della Troika. Quanto ai turisti stranieri, nel 2013 hanno scelto la Grecia in 18 milioni. E grazie al loro contributo la bilancia dei pagamenti (quella che registra debiti e crediti nei confronti del resto del mondo) ha segnato +1,24 miliardi, il primo surplus dal 1948. Bene anche l’evoluzione degli altri conti dello Stato: il deficit è cresciuto meno del previsto (è al 12,7% del pil) e, per la prima volta in dieci anni, Atene è riuscita a realizzare un surplus primario di 1,5 miliardi di euro. La Grecia ha raggiunto il suo obiettivo “ben prima del target 2013”, ha commentato il portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn. Un risultato che potrebbe convincere Unione europea, Fondo monetario e Bce ad abbassare i tassi di interesse che il Paese paga sui prestiti ricevuti o a concedere più tempo per onorare gli impegni. Dalla Commissione è arrivato, nella mattinata di mercoledì 23, anche un via libera sul fronte del debito, che pure ammonta ancora a 321,5 miliardi, vale a dire un esorbitante 175% del pil: è “sostenibile”, assicura Bruxelles, “se il programma di consolidamento fiscale sarà portato avanti anche nei prossimi anni”.
Dal prossimo anno, come si sa, entrano in vigore le regole del fiscal compact, che impongono una riduzione a tappe forzate della parte di debito pubblico che eccede il 60% del pil. Per ora, comunque, la pagella è così positiva che, stando a indiscrezioni raccolte dal quotidiano greco Ekathimerini, durante la riunione dell’Eurogruppo (i ministri delle Finanze della zona euro) del 5 maggio l’esecutivo greco intenderebbe chiedere il via libera per un pacchetto di misure per la crescita da attuare di qui al 2020: riduzione delle tasse alle imprese e provvedimenti specifici per il turismo, la pesca, l’agricoltura e l’energia rinnovabile, oltre a nuovi stanziamenti dai fondi strutturali. Una sfida “alla Renzi” contro il rigore, insomma. E magari anche Samaras, come il nostro premier, conta sull'”aiutino” che arriverà dal nuovo metodo di contabilità pubblica Esa 2010, in vigore dal prossimo settembre.
Gli effetti dell’austerity su famiglie e imprese – A squarciare il velo sulla situazione del “Paese reale” ci pensano però le continue manifestazioni contro il memorandum (il contratto con cui la Grecia ha accettato l’austerity in cambio degli aiuti) che paralizzano trasporti, servizi pubblici e aziende private. Ultimi a protestare in ordine di tempo sono stati i lavoratori portuali di Salonicco, in sciopero perché l’agenzia per le privatizzazioni (Hellenic Republic asset development fund) ha annunciato l’inizio della procedura di gara per la cessione del 67% del capitale sociale della Salonicco Port Authority, che ha il diritto esclusivo di gestire il porto fino al 2051. Temono che nel processo la forza lavoro venga sacrificata, così come accaduto per altre cessioni. Smagliature da cui, come in una specie di The Truman show, fanno capolino “oggetti” sgraditi: i numeri – drammatici – che descrivono le condizioni della popolazione a quattro anni dalla prima tranche di aiuti (110 miliardi di euro) concessa dagli altri Stati dell’Eurozona e dal Fmi. Il tasso di disoccupazione è al 26,7%, con un picco del 57% per i giovani e una quota altissima (18,5%) di persone in cerca di lavoro da oltre un anno. La produzione industriale, stando agli ultimi dati, ha un timido segno più, ma nel contesto di un tessuto produttivo più povero di quello di una singola regione italiana. E a marzo l’indice Pmi, considerato attendibile nell’anticipare l’andamento del settore manifatturiero, è tornato a ridursi. Insomma: il salvataggio del 2010, seguito nel 2012 da un’ulteriore maxi iniezione di denaro (130 miliardi) e da una ristrutturazione del debito – che per i creditori privati ha voluto dire una perdita del 70% del capitale investito – ha indubbiamente messo al sicuro le banche europee (soprattutto francesi e tedesche) che avevano in pancia decine di miliardi di titoli di Stato greci. Ma famiglie e imprese hanno visto tutt’altro film. Perché è sulla loro pelle che si sono fatti sentire gli effetti della durissima austerità andata a braccetto con ogni pacchetto di aiuti.
“Ormai è palese: la cura è stata troppo aspra”, dice a ilfattoquotidiano.it Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi. “La Commissione Ue non ha mai riconosciuto l’errore, ma il Fmi ha ammesso di aver sottostimato l’effetto recessivo delle politiche di rigore imposte dalla Troika”. Lo stesso Parlamento europeo nelle scorse settimane ha certificato ufficialmente che l’operato della troika è stato fallimentare, arrivando a parlare di “macelleria sociale”. È sufficiente aggirarsi per i mercati rionali ateniesi o leggere le ultime statistiche di Ocse e Unicef sulla mortalità infantile per rabbrividire. Nella settimana che ha preceduto la Pasqua ortodossa i prezzi del cibo simbolo della festa – molto più sentita di quella natalizia – sono crollati: l’agnello era proposto da una catena di discount a quattro euro al chilo anziché i canonici dieci, per agevolare le tasche vuote dei cittadini ellenici. La vita di tutti i giorni degli undici milioni di greci stride con i toni trionfalistici di chi crede (o vuol far credere) che il peggio ormai sia alle spalle. Nell’annus horribilis della crisi, rivela uno studio dell’erario greco, circa la metà delle famiglie ha dovuto sopravvivere con meno di 800 euro al mese. Oltre 2,7 milioni di contribuenti hanno dichiarato un reddito annuo inferiore ai 9.500 euro. Rispetto a dodici mesi prima le famiglie che guadagnano meno di 9mila euro sono aumentate di 207mila unità. Numeri che saranno vagliati dalla commissione parlamentare ad hoc che distribuirà 450 milioni di sussidi per i meno abbienti. E i risultati dell’ultimo sondaggio condotto dalla confederazione che riunisce piccoli imprenditori, artigiani e professionisti (Gsevee) mostrano che un’azienda su due tra quelle con meno 50 dipendenti rischia di chiudere, messa in ginocchio da calo del fatturato e aumento dei debiti verso il Fisco, le banche e il disastrato ente previdenziale dei liberi professionisti (Oaee).
I rischi del bond e la debolezza di Samaras – Come va interpretato, allora, il risultato lusinghiero dell’emissione del 10 aprile? “Un’operazione di puro marketing politico”, è il giudizio tranchant di Gian Paolo Bazzani, ad della banca di investimento Saxo bank. “La Bce e la Germania, avvicinandosi le elezioni europee di maggio, hanno voluto comunicare che il salvataggio è riuscito. Ma attenzione: se il mercato – come storicamente ha sempre fatto – deciderà di testare in concreto la tenuta degli annunci di Mario Draghi, la Grecia sarà la prima vittima. Quindi questo bond è estremamente rischioso. Bisognerà vigilare perché non finisca, chessò, in fondi amministrati destinati al piccolo risparmiatore o nei portafogli di compagnie assicurative che gestiscono risparmi previdenziali”. Luca Cazzulani, analista di Unicredit specializzato nel reddito fisso (cioè le obbligazioni), aggiunge un tassello: “L’attuale contesto di tassi bassi e speculazioni sulle eventuali misure espansive della Bce crea una pressione a cercare rendimento. Nel caso della Grecia aiuta anche il miglioramento dei fondamentali”. Insomma: un bond che rende quasi il 5% fa gola, in questa fase. Ecco spiegato l’assalto degli investitori internazionali, almeno quelli che non si fanno spaventare dal rischio. I dubbi sulla sostenibilità nel medio periodo, però, rimangono: la Grecia, continua Bazzani, “avrà probabilmente bisogno nei prossimi anni di altri 10-20 miliardi di finanziamenti” (l’attuale piano di aiuti scadrà a luglio). E l’opposizione a Samaras sostiene che non può permettersi di pagare interessi. Il governo è in una fase di debolezza, perché la maggioranza di Nea Dimokratia e Pasok può contare su un solo deputato in più rispetto alle opposizioni. Non è tutto: il direttore dell’ufficio politico del partito di sinistra Syriza, Nikos Pappas, si è lasciato sfuggire che l’ultima parola sul nuovo accordo con i creditori della troika dovrebbero averla i cittadini greci, aprendo la porta a un referendum sul memorandum. Chissà se finirà come l’altro referendum, quello sulla permanenza della Grecia nell’euro, proposto nel 2011 dall’ex premier Giorgios Papandreou. Prima di essere “commissionato” dal tecnico Lucas Papademos, uomo di Goldman Sachs (e della consultazione non se ne fece nulla).
Tra tre anni Atene batterà Roma – Altomonte, però, tutto sommato è ottimista: “I tagli e la compressione dei salari hanno creato un fortissimo disagio sociale, ma anche le condizioni per la ripresa. Il turismo sta andando molto bene, c’è un avanzo primario, la cantieristica e l’agroalimentare possono ripartire. La parte più brutta – diciamo pure brutale – è alle spalle, ora serve soprattutto pazienza: tra un anno la disoccupazione inizierà a scendere e la popolazione vedrà i risultati dei sacrifici fatti. Tra tre anni, a meno di sorprese, la Grecia ci lascerà indietro”. A patto, naturalmente, che lo scontento non sfoci in disordini ancora più gravi di quelli visti finora. Morale: Roma farebbe bene a guardare ad Atene come ad un avvertimento. Altro che “non siamo la Grecia”.
di Chiara Brusini e Francesco De Palo