Una partita a scacchi tra la vita e la morte. Una sfida tra il rimediabile e l’irrimediabile, tra l’azione e il respiro mozzato. Pedoni avanti, alfiere in posizione. La torre sorveglia il re, la regina è braccata, il cavallo è pronto al balzo. Una sola mossa sbagliata e tutto può compromettersi. Per sempre.
È un noir esistenziale La fine all’alba, spettacolo presentato in anteprima nazionale al Teatro Golden di Roma e al quale ho avuto il piacere di assistere lo scorso venerdì. Ideata da Antonio Turco e realizzata dalla Compagnia Stabile Assai, che, con i suoi trent’anni di attività, è la più antica compagnia teatrale penitenziaria d’Italia, la pièce porta in scena i detenuti del carcere di Rebibbia e il loro passato criminale, alla ricerca di un riscatto e di una redenzione attraverso la cultura e l’arte scenica. Ad affiancarli, gli attori Mario Zamma e Deborah Bertagna, insieme alle persone che nel carcere lavorano quotidianamente: dalla teatro-terapeuta Patrizia Spagnoli alla psicologa Sandra Vitolo, fino ad arrivare a un agente di polizia, che, come dichiara scherzando l’autore, “per la sua posizione riesce a essere antipatico sia ai detenuti che ai poliziotti”.
Sin dalla scenografia, si intuisce subito l’impronta cinematografica data dal regista Francesco Cinquemani, alla sua prima esperienza teatrale dopo anni di cinema. Il vissuto reale degli attori-detenuti, tra camorra e banda della Magliana, si infila tra una battuta e l’altra, permeando le parole di un travaglio interiore, divisi tra un passato da “cattivi” e un presente alla ricerca dell’espiazione del peccato. In carcere, certo. Ma anche lì, sul palco, aprendo cuore e dolore al pubblico, concedendosi anima e corpo al potere taumaturgico dell’arte.
“Il carcere non dev’essere solo punizione, ma anche recupero della persona che ha sbagliato e che sta pagando per il proprio errore”, ha spiegato, non senza emozione, Antonio Turco alla fine dello spettacolo, sostenuto nel suo discorso anche dall’intervento a sorpresa di Pippo Baudo. E mentre ancora in sala risuonano le note blues, intonate dall’incantevole voce di Barbara Santoni, la partita finisce con uno scacco matto. La cultura che rende liberi. Anche dietro le sbarre.