Il patrimonio dei partiti, e delle fondazioni o società che lo hanno a loro volta ereditato, ammonta ad alcuni miliardi di euro. Secondo alcune stime sarebbe di circa 5 miliardi di euro. Si tratta in buona parte dei residui del finanziamento pubblico, che, dopo 20 anni dalla sua istituzione, era stato abolito nel 1993, a seguito di un referendum popolare.

Venne tuttavia subito resuscitato sotto le mentite spoglie di rimborso delle spese elettorali con una paradossale decuplicazione dei trasferimenti pubblici. Si passò infatti dai 46 milioni di euro liquidati in occasione delle politiche del 1994 ai 503 milioni delle politiche del 2008. Non solo: in 14 anni, dal 1994 al 2008, a fronte di spese riconosciute per 579 milioni di euro, i contributi statali furono 2.253 milioni, cioè a dire 1.674 milioni di euro in più! L’esito del referendum fu nella sostanza tradito.

A febbraio di quest’anno il Parlamento ha approvato in via definitiva il decreto legge 149/2013 che abolisce anche i rimborsi elettorali. C’è da chiedersi a questo punto se sia giustificato che i partiti e le loro fondazioni di riferimento, persino quelli ormai defunti, si tengano un patrimonio così rilevante frutto di un finanziamento ormai non più consentito. In ogni caso in un momento in cui si chiedono ai cittadini sacrifici eccezionali, in cui il Governo aumenta a dismisura le imposte sulla casa, sulle rendite finanziarie, sui conti correnti, in cui si arriva a ipotizzare il prepensionamento degli statali con la conseguente riduzione del 50% del trattamento economico, in cui persino all’università si tagliano risorse peraltro ormai ridotte al lumicino, è giusto che anche i partiti facciano la loro parte.

Due mesi fa avevamo scritto un disegno di legge che prevedeva una imposta straordinaria del 50% sui patrimoni dei partiti e delle loro fondazioni o società, dedotto ciò che essi avessero ricevuto a titolo di donazione dai privati. Dopo un iniziale interesse di qualche forza politica, non sono più seguiti fatti concreti. Da qualcuno si è obiettato che potrebbe avere profili di incostituzionalità. Abbiamo risposto puntualmente osservando che nella giurisprudenza della Corte Costituzionale risulta: 1) “l’ampia discrezionalità” riservata al legislatore in relazione alle varie finalità cui di volta in volta si ispira la imposizione fiscale (Corte Cost. sent.111/1997); 2) il “carattere eccezionale, transeuente, non arbitrario, temporalmente limitato” dei sacrifici richiesti esclude la irragionevolezza di certe misure fiscali (nella fattispecie il blocco degli scatti stipendiali di una sola categoria di soggetti, sentenza 310/2013 3); 3) la Corte ha più volte interpretato il principio di eguaglianza nel senso di trattamento eguale per situazioni eguali e diverso per situazioni diverse.

Aspettiamo dunque fiduciosi che qualche forza politica prenda in mano questa sacrosanta battaglia per dimostrare che in Parlamento e nelle istituzioni esiste ancora una credibilità.

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