La cerchia politica dell’one man show Matteo Renzi è molto ristretta; oltre ai fedelissimi compaesani Boschi & co. l’unica presenza non toscana sembra ridursi al Mazzarino venuto da Reggio Emilia: il sottosegretario Graziano Delrio. Agli antipodi nell’aspetto, ascetico e tendenzialmente in penombra quest’ultimo, gaudente e affamato di riflettori il premier; separati anagraficamente da una quindicina d’anni d’età (1960 contro 1975), i due ex sindaci di un’Italia che fu rossa, risultano gemellati da esperienze e predilezioni, rivelatrici delle mutazioni antropologiche nei sotterranei della più recente politica italiana. Dove stanno prevalendo istinti da belve assassine, tanto che i bene informati prefigurano il prossimo regolamento di conti anche tra le due componenti territoriali nella tecnostruttura amministrativa del governo Renzi-Delrio: quella emiliana, sino ad oggi driving (guidata da Mauro Bonaretti, già city manager nel comune di Reggio Emilia), e quella tosca, più vicina al cuore renziano.
Tornando “all’attenti a quei due”, il loro primo punto di contatto intellettuale è la singolare figura di Giorgio La Pira (1904-1977), terziario francescano e sindaco di Firenze tra gli anni Cinquanta e Sessanta; un personaggio sempre in bilico tra santità e furberia, di cui Renzi si dichiara fan e in onore del quale Delrio aveva fondato un’associazione.
L’interesse per un protagonista minore del dopoguerra italiano si chiarisce considerando che costui e i suoi odierni supporter sono tutti cattolici di tipo particolare: modernismo lessicale e anticonformismo negli atteggiamenti mixati con un tradizionalismo di fondo in materia di sociale e diritti civili. Padre di nove figli Delrio, si è più volte espresso contro matrimoni omosessuali e aborto, Renzi esibisce progenie e ostenta modi familistici nonostante l’aria birichina.
Entrambi portati all’ecumenismo in politica, hanno più volte manifestato insofferenza per le distinzioni tra Destra e Sinistra. Cui antepongono la genericità della diade Vecchio/Nuovo che tanto piace ai rinnovatori di facciata.
Ma il tratto più indicativo è la loro passione per la sussidiarietà, grimaldello ecclesiastico per scardinare il monopolio dello Stato in materia di servizi, che – per il sindaco Delrio – diventò la linea guida dell’amministrazione comunale reggiana nell’esternalizzazione dei servizi. Celebrata con la mostra “150 anni di Sussidiarietà”.
Fatto sta che l’intimo punto di riferimento per questo tipo di cattolici in politica non è lo Stato italiano, bensì Sacra Romana Chiesa. Da qui un particolare riguardo nei confronti del privato in quanto marchingegno strumentale per l’anemizzazione della sfera pubblica.
Che in questo momento individui portatori di tali retropensieri tengano ben stretto nelle loro mani il cruscotto di guida dello Stato dovrebbe suscitare qualche angoscia, almeno in chi ritenga i servizi generali un elemento fondamentale del patto di civile convivenza; quanto il sociologo Jürgen Habermas definiva “le stecche nel busto della democrazia”.
Ma una particolare preoccupazione la dovrebbero coltivare quanti sono dell’avviso che nel Pd andrebbe tutelato almeno il ricordo delle proprie tradizioni di sinistra, visto che nasce dalla fusione a freddo tra ex comunisti ed ex democristiani.
Delrio e Renzi sono la prova manifesta di quanto è avvenuto nel blend tra le due componenti, in cui la superiore tecnologia del potere di quella più esigua (i cattolici) ha divorato la massa inerte, seppure numericamente maggioritaria, della controparte (le nomenklature di estrazione Pc). Difatti i nostri mai e poi mai accetterebbero l’oltraggio di essere definiti “cattocomunisti”. Loro si sentono e si dichiarano “dossettiani”. Ossia la figura zigzagante di Giuseppe Dossetti (1913-1996), ex leader della Sinistra Democristiana che si ritirò dalla politica prendendo i voti nel 1951 per poi tornare in servizio attivo cinque anni dopo candidandosi a sindaco di Bologna per sottrarla ai comunisti (peggio di lui aveva fatto per lo stesso scopo a Roma l’antifascista don Sturzo, tentando di mettere insieme una lista anticomunista che comprendeva anche i fascisti del Msi).
Vicende all’insegna dell’ambiguità. Come ambigua fu l’accoglienza del sindaco dossettiano al nuovo vescovo reggiano, monsignor Massimo Camisasca, di estrazione Cl (e già cappellano del Milan): “Del resto, come Dossetti, anche Giussani è stato ed è vittima di pregiudizi”.