“Sarei curioso di sapere quanti di quelli che contestano le coperture degli 80 euro hanno stipendi sopra il tetto dei 240mila euro, e ovviamente è un caso che quelle critiche vengano dal Senato che voglio abolire”. Il premier Matteo Renzi ha letto il dossier del servizio Bilancio di Palazzo Madama in cui le coperture del bonus fiscale promesso per fine mese sembrano assai fragili. Ha letto, non ha gradito, ma non si è stupito: lui vuole abolire il Senato per trasformarlo in una camera di rappresentanza degli enti locali, normale che l’apparato, la burocrazia, si ribelli. Renzi capisce, ma nessuna pietà: “Ci sarà il blocco del turnover e i funzionari avranno un ruolo unico tra Camera e Senato”, ha spiegato il premier ai suoi interlocutori in queste ore. Tradotto: quelli che oggi criticano le coperture del decreto Irpef si godano il momento di celebrità, perché dopo la riforma (Renzi continua a essere sicuro che si farà), perderanno il loro status e dovranno mescolarsi con i colleghi di Montecitorio.
Renzi vuole affermare il primato della politica sui tecnici che – non sempre a torto – in questi anni hanno imbrigliato anche i governi più determinati, come quello di Mario Monti nei primi mesi del 2012. Ma il premier ci tiene anche a contestare le valutazioni del servizio Bilancio del Senato nel merito. Dicono i tecnici che 600 milioni di gettito Iva dal pagamento dei debiti della pubblica amministrazione sono troppi, chissà quanto arriverà davvero. “Ma se noi paghiamo 13 miliardi, dovrebbero entrare circa 2,6 miliardi di Iva, come fanno a dire che 600 milioni è una stima eccessiva? Purtroppo mi hanno impedito di fare la ritenuta alla fonte, che avrebbe evitato ogni forma di evasione e garantito le entrate”, è il calcolo del premier. Che è piuttosto seccato soprattutto dal fatto che il Senato contesti l’aumento della tassa sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia detenute dalle banche azioniste. Nel dossier del servizio Bilancio si rileva che alzare il prelievo al 26 per cento potrebbe “non garantire quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche”, e quindi sarebbe incostituzionale. Peccato che, nota il premier, l’intervento fiscale non può essere considerato retroattivo visto che riguarda l’anno in corso, semplicemente “le banche si erano convinte, sulla base di una circolare dell’Agenzia delle Entrate, che l’aliquota sarebbe stata al 12 per cento, io ho sempre pensato che dovesse essere almeno il 20, visto che è un aumento di capitale, e l’ho portata al 26. Il nostro intervento è tecnicamente inappuntabile, anche se può non piacere all’Abi di Antonio Patuelli”. La lobby delle banche però è forte e, dopo aver ottenuto dal governo Letta l’enorme regalo della rivalutazione delle quote di Bankitalia (un balsamo per i bilanci e la promessa di un considerevole aumento di dividendi), non si arrenderà. Il pericolo per Renzi è che le banche facciano ricorso contro l’aumento del prelievo al 26 per cento, ma anche in quel caso non sarebbe a rischio l’intero gettito da 1,8 miliardi, ma soltanto l’aumento, circa 900 milioni (o forse solo 400).
Renzi sa che si gioca molto con gli 80 euro, domani arriveranno le previsioni economiche della Commissione europea che dovrebbero confermare i numeri del Documento di economia e finanza del governo. A Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia contano su una certa indulgenza europea, visto che la Commissione sta per essere rinnovata, e non accettano che i tecnici del Senato siano più severi di quelli di Bruxelles. “Come fanno a dire che mancano coperture? Dei 700 milioni di risparmi sulla spesa dello Stato, ben 400 li assicura la Difesa, dalla lotta all’evasione stiamo recuperando 100 milioni al mese e possiamo arrivare a 500, 900 milioni arrivano dai risparmi sui costi della politica, soltanto la cancellazione delle Province vale 120 milioni di euro su otto mesi del 2014”. La battaglia è appena cominciata, i tecnici del Senato sono avvertiti, il premier farà di tutto per difendere i suoi numeri.