Non un nuovo indagato e nemmeno un nuovo filone di indagine potrà essere inserito nell’inchiesta sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Nessun nuovo spunto investigativo potrà essere battuto se quelle indagini dovessero ancora essere affidate a Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, i due pm che negli ultimi anni hanno accumulato un bagaglio conoscitivo enorme sui vari rivoli del patto segreto che portò Cosa Nostra a sedere allo stesso tavolo delle istituzioni.
È quanto previsto da una circolare del Csm, diramata a tutte le procure il 5 marzo scorso. Il nodo, come racconta Repubblica, è sempre lo stesso: la circolare che già nel 1993 e poi nel 1997 aveva imposto una scadenza di otto anni ai pm che fanno parte delle direzioni distrettuali antimafia. A farne le spese in passato erano stati Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, aggiunti a Palermo all’epoca in cui la procura era guidata da Pietro Grasso. Solo che questa volta la circolare diffusa da Palazzo dei Marescialli è ancora più specifica: nessun nuovo fascicolo potrà essere affidato a magistrati che non fanno parte della Dda. Ordine perentorio che rischia di bloccare per sempre le indagini sulla Trattativa. Nino Di Matteo infatti è fuori della Dda da quattro anni: oggi uno dei pm più competenti sui retroscena del Patto Stato – mafia, primo assegnatario delle indagini sulla Trattativa insieme ad Antonio Ingroia, è assegnato ad un gruppo di inquirenti che si occupa di abusi edilizi. Diverso il discorso per Roberto Tartaglia, giovane sostituto che ha portato un nuovo impulso alle indagini sulla Trattativa, ma che non è ancora mai entrato in Dda. “La circolare del Csm – spiega Di Matteo al fattoquotidiano.it – se interpretata in maniera restrittiva, sacrifica la continuità investigativa, indispensabile soprattutto nelle indagini più complesse, tra cui quelle sulle stragi e quelle sui rapporti tra Cosa nostra ed entità esterne”
Ad occuparsi dei nuovi filoni investigativi, scaturiti dall’inchiesta sulla Trattativa, sarebbe quindi solo Vittorio Teresi, aggiunto che coordina l’indagine, e Francesco Del Bene, che però è prossimo al compimento degli otto anni in antimafia. La circolare del Csm, che applica una scadenza ai pm, non può essere retroattiva, quindi il pool che si è fino ad ora occupato del Patto Stato – mafia non verrà privato dei fascicoli di cui risulta già assegnatario.
L’inchiesta sul Patto Stato-mafia è contenuta in un “fascicolo madre” dal quale sono state stralciate nel giugno del 2012 le posizioni di dodici indagati oggi a giudizio davanti la corte d’Assise di Palermo. L’inchiesta dei pm palermitani però non si è fermata al processo in corso, ma anzi è stato creato un altro fascicolo, una “Trattativa bis”, in cui sono contenuti tutti gli atti dell’inchiesta che coinvolge quegli uomini – cerniera che a cavallo tra Stato e mafia si sono mossi sullo sfondo del biennio rosso che insanguinò il Paese a colpi di tritolo. Un nuovo filone di indagine che è andato avanti, facendo luce soprattutto sulla Falange Armata, l’oscura sigla che ha rivendicato ogni singolo atto criminale dei primi anni ’90 per poi scomparire nel nulla. Pezzi del passato che sono riaffiorati recentemente, con la lettera anonima recapitata in carcere a Totò Riina: “Chiudi la bocca” scrissero gli uomini della Falange al boss corleonese, negli stessi mesi in cui colloquiava con Alberto Lorusso mentre le cimici della Dia di Palermo registravano tutto. Ed è proprio l’indagine sulla Falange che avrebbe portato i pm palermitani a raccogliere nuovi elementi, perfino a stringere il cerchio su alcuni uomini rimasti finora avvolti da un cono d’ombra. Ma mentre a Roma Matteo Renzi annuncia in pompa magna la declassificazione degli atti sulle stragi degli anni ’70 e ’80, a Palermo la circolare del Csm rischia di bloccare per sempre nuove indagini su quello che è stato uno dei bienni più oscuri della storia italiana: il prequel al tritolo della cosiddetta Seconda Repubblica.