Ci sarà un nuovo processo d’appello per due capi di imputazione nei confronti Pierangelo Daccò, detenuto da due anni nel carcere di Bollate per il crac miliardario dell’ospedale milanese San Raffaele. Lo ha deciso la quinta sezione penale della Cassazione, disponendo un nuovo processo davanti a una diversa sezione della Corte di Milano. La Suprema Corte ha chiesto ulteriori approfondimenti su accuse di bancarotta, rigettando però il resto del ricorso. Dunque, per gli altri capi di imputazione – tra i quali l’associazione a delinquere – il giudizio di colpevolezza è definitivo. Il buco di bilancio riconducibile alle operazioni messe a punto da Daccò ammonta a circa 43 milioni di euro. Il ricorso del faccendiere – al quale sono contestati il concorso in bancarotta e l’associazione per delinquerefinalizzata a frodi fiscali, appropriazione indebita e distrazione di beni – era contro la sentenza della Corte d’appello di Milano dell’11 giugno 2013 che lo aveva condannato a 9 anni di reclusione riducendo la pena di dieci anni inflitta con rito abbreviato dal Tribunale di Milano il 3 ottobre 2012.
Fonti della difesa rilevano che “con questa decisione della Cassazione la condanna di Daccò non è divenuta definitiva e si apre la possibilità che a breve esca dal carcere, in quanto a giugno dovrebbero scadere i termini di carcerazione preventiva“. Per quanto riguarda i reati di bancarotta per i quali la condanna è stata annullata con rinvio, le stesse fonti sottolineano che si tratta di “contestazioni pesanti che, se cadono nell’appello bis, avranno ripercussioni anche sulla rideterminazione della condanna per associazione a delinquere”. Naturalmente il verdetto della Quinta sezione penale – presidente Gennaro Marasca – è stato accolto “con soddisfazione” dal collegio difensivo composto dagli avvocati Massimo Krogh, Luigi Panella e Antonio Mazzone.