La giunta delle autorizzazioni della Camera ha autorizzato la richiesta di arresto per il deputato Pd Francantonio Genovese, a cui il tribunale di Messina contesta i reati di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa. Una maggioranza formata dallo stesso Pd, da M5S e da Sel con 12 voti ha bocciato la relazione di Antonio Leone (Ncd) che diceva no alla misura cautelare sostenendo l’esistenza di fumus persecutionis. Cinque i voti contro l’arresto. Genovese, ex sindaco di Messina e campione delle preferenze (con 19.590 voti fu il più votato d’Italia alle primarie parlamentari del Partito democratico), è il primo parlamentare di questa legislatura per il quale è stato chiesto l’arresto. La procura messinese indaga su di lui dal giugno 2013 per truffa e peculato nell’ambito un’inchiesta sui finanziamenti alla formazione professionale, inchiesta che ha portato all’arresto tra gli altri della moglie Chiara Schirò.
Dopo la bocciatura di Leone il presidente della Giunta, Ignazio La Russa (che non ha votato) ha nominato un nuovo relatore per sostenere in Aula la posizione della giunta a favore dell’autorizzazione all’arresto: è il deputato del Pd Franco Vazio. “È una cosa molto delicata che attiene alla libertà personale”, ha commentato Vazio. “Avevamo un materiale immenso da esaminare con oltre 360 pagine di ordinanza. È stato un lavoro complicato, ma come Pd abbiamo tracciato una linea abbastanza netta”. “Con coscienza – ha aggiunto – riteniamo che il materiale esaminato da più giudici ci consente di affermare che il fumus persecutionis non sussiste. Ci dispiace a livello personale, ma in questi casi dobbiamo spogliarsi di ruolo politici e personali. Ora mi accingerò a preparare la relazione per l’aula”.
La discussione in Aula alla Camera si svolgerà la prossima settimana, ma il giorno preciso verrà deciso solo nella prossima riunione dei capigruppo lunedì. Il gruppo parlamentare del M5S ha reagito alla notizia con urla di protesta, perché, ha spiegato Riccardo Nuti, “al momento tutto ci fa pensare che vogliano fare melina“. “All’inizio della capigruppo sembrava che dovesse essere Ncd a chiedere di rinviare il voto su Genovese – sostiene Nuti – e invece poi si è sacrificato Andrea Romano di Sc, che ha chiesto di riparlarne nella prossima capigruppo. Ma io mi sono opposto, ricordando a tutti che il termine tassativo è il 18 maggio, perché è previsto che la giunta riferisca in assemblea entro trenta giorni” dalla richiesta di autorizzazione all’arresto”. “Ho chiesto di decidere subito – prosegue il deputato M5S – anche considerato che la settimana prossima è ingarbugliata dal punto di vista del calendario parlamentare. Brunetta però mi ha risposto che il termine era flessibile e che ci vuole rispetto della persona. La De Girolamo ha detto che ci vuole rispetto per l’umanità della persona e se si dovesse fare un test di umanità non saremmo entrati in Parlamento”. “Alla fine la presidente Boldrini ha proposto di votare tra martedì e mercoledì prossimo. Ma in realtà lunedì 12 ci sarà una capigruppo e si deciderà quando mettere in agenda il caso Genovese. Una proposta di facciata: l’atteggiamento fa pensare” che lunedì arriverà una decisione per lo slittamento.
Il sì all’arresto del deputato del Pd Francantonio Genovese, coinvolto nello scandalo della formazione professionale, è il sesto nella storia della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Soltanto in cinque casi la Camera ha concesso l’autorizzazione: l’ultimo (2011) è stato quello di Alfonso Papa, eletto con il Pdl e coinvolto nello scandalo P4. Si consegnò ai finanzieri e fu trasferito a Poggioreale. Rimase in carcere per 101 giorni, poi gli furono concessi gli arresti domiciliari. In seguito, nel 2012, il tribunale del riesame dichiarò illegittimo il suo arresto. In precedenza i deputati avevano dato il via libera all’arresto di Massimo Abbatangelo (1984), accusato di detenzione illegale di materiale esplosivo che sarebbe poi servito per la strage del Rapido 904 e condannato a sei anni di reclusione, Toni Negri (1983), filosofo e teorico della lotta anticapitalista, eletto alla Camera con i Radicali dopo essere stato arrestato con l’accusa di essere la mente del terrorismo rosso (dopo l’autorizzazione all’arresto fuggì in Francia e tornò nel 1997 per finire di scontare la sua pena), Sandro Saccucci (1976), accusato di aver ucciso un ragazzo durante gli scontri che esplosero durante un suo comizio a Sezze Romano (riuscì a fuggire in Gran Bretagna, poi in Francia e successivamente in Spagna e in America del Sud) e Francesco Moranino (1955), ex partigiano eletto a Montecitorio con il Pci, accusato di omicidio plurimo aggravato per l’eccidio di un gruppo di alleati scambiati per spie naziste. Anche lui non fece nemmeno un giorno di carcere: fuggì in Cecoslovacchia prima di essere condannato all’ergastolo per gli omicidi. In seguito emersero dubbi sulla sua colpevolezze e l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, commutò la pena in dieci anni di reclusione. Moranino si rifiutò di tornare e rimase a Praga. Nel 1965 Giuseppe Saragat decise di graziarlo.