Quando lascia Buenos Aires per arrivare a Roma per l’imprevisto conclave Jorge Mario Bergoglio ha già in testa un suo candidato al papato. E’ “il cardinale O’Malley di Boston, distintosi in diocesi per il suo impegno contro il clero pedofilo”. A scriverlo nel suo ultimo libro Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione (Laterza) è Marco Politi, a livello internazionale uno dei maggiori esperti di questioni vaticane ed editorialista de Il Fatto Quotidiano. “Già prima di partire per Roma – annota Politi – Bergoglio si è fatto un’idea precisa del profilo del prossimo Papa: un uomo di preghiera, un Pontefice convinto che il padrone della Chiesa sia Cristo e non lui, un vescovo con l’attitudine a ‘mostrare affetto alle persone e creare comunione’. E infine – prosegue il vaticanista riportando le parole dello stesso Bergoglio – ‘deve essere in grado di ripulire la Curia romana‘”. E’ il ritratto perfetto di quel Papa Francesco che, sconvolgendo i pronostici del mondo, per non parlare di quelli italiani, ma soprattutto gli stessi cardinali elettori (“il conclave degli indecisi” lo battezza Politi) si affaccerà dalla loggia centrale della Basilica Vaticana la sera del 13 marzo 2013.

In Francesco tra i lupi Politi, che nel volume Joseph Ratzinger. Crisi di un papato, sempre edito da Laterza, aveva previsto le dimissioni del Pontefice tedesco, mette a confronto il battito pulsante della Chiesa dell’America latina, delle periferie esistenziali, delle ‘villas miseria’ tanto care a Bergoglio, con quello affannato della Curia romana che riprende vigore dopo quello che il giornalista definisce “il colpo di stato di Benedetto XVI”. “Senza Ratzinger – scrive Politi – non c’è Francesco. Senza le dimissioni di Benedetto XVI il cattolicesimo non sarebbe approdato alla svolta storica di un Papa del Nuovo Mondo“. E’ l’effetto choc avvenuto già nel secondo conclave del 1978 dopo la morte improvvisa, trentatré giorni dopo l’elezione, di Giovanni Paolo I. Allora sul trono di Pietro arriva il primo Papa slavo, il Pontefice dell’altra parte della cortina di ferro. Oggi l’abdicazione di Ratzinger apre le porte al primo Papa latinoamericano, al Pontefice della “fine del mondo”.

Con la sua rinuncia, scrive Politi, “Benedetto XVI demitologizza la carica papale, archivia l’icona sovrannaturale del Pontefice monarca eterno, finché morte non sopraggiunga, infallibile, perché circondato da una corte pronta a giurare che non sbaglia mai”. Ratzinger “vuole fare tabula rasa delle posizioni cristallizzate in Curia”. E in un altro passaggio Politi scrive che “è sul piano del governo che il pontificato ratzingeriano finisce in un vicolo cieco”. “Il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, si è rivelato incapace di stabilire un rapporto di lavoro proficuo con la Curia. Lo accusano di essere accentratore, di non conoscere l’apparato e mancare di esperienza diplomatica, di comportarsi da vice-Papa e improvvisare troppo”. Politi sottolinea che a chiedere a Benedetto XVI la dimissioni di Bertone sono diversi cardinali: Christoph Schönborn, Angelo Scola, Angelo Bagnasco, Camillo Ruini e Joachim Meisner. Ma nulla. “Nei fatti – sostiene il giornalista – la decisione di abdicare equivale a una sorta di colpo di stato, che in Vaticano azzera tutto”. Lascia Ratzinger per aprire la strada alla svolta di Bergoglio. 

Alla vigilia di un “conclave anti-italiano”, come dimostra testimonianze alla mano Politi, “Jorge, – scrive il vaticanista – arrivato all’età della pensione, ignora che la sua vita si trova di fronte a una svolta. Ognuno ‘nasce’ in una stagione precisa. Karol Wojtyla si è temprato nel teatro clandestino contro l’occupazione nazista e lavorando nelle cave di pietra e nella fabbrica Solvay. Benedetto XVI si è formato nelle aule universitarie. Pio XII e Paolo VI sono cresciuti nelle stanze della Segreteria di Stato vaticana. Giovanni XXIII è maturato tra gli ortodossi di Bulgaria e i musulmani di Turchia. Jorge Mario Bergoglio rinasce nei viaggi in metro, osservando la città dalle sue viscere, misurando a piedi gli spazi tra le baracche”.

Di “papato a termine” parla Politi guardando all’orizzonte della Chiesa di Francesco. “Il successore – ipotizza il vaticanista – tornerà probabilmente a vivere nell’appartamento papale, ma non potrà più presentarsi con i paludamenti del passato. Soprattutto non riuscirà più a esercitare un potere autoritario senza limiti. L’assolutismo imperiale dei Pontefici è stato incrinato irreversibilmente”. Un arco temporale limitato per Bergoglio, dunque, secondo il giornalista, per realizzare il suo programma di governo. “Vegetare sul trono in età avanzata – sottolinea Politi – non fa parte del temperamento intellettuale di un Pontefice gesuita, attento a ‘discernere’ le situazioni. La dichiarata volontà di mantenere e, anzi, rinnovare passaporto e carta d’identità della sua patria argentina lascia intravedere un’esistenza futura non necessariamente conclusa all’interno delle mura vaticane”.

Francesco tra i lupi sarà presentato l’8 maggio (ore 17 sala bianca) al Salone del libro di Torino dalla teologa Michela Murgia, da don Gino Rigoldi e dal politologo Gian Enrico Rusconi. La scelta della location non è casuale perché quest’anno per la prima volta la Santa Sede è ospite d’onore della rassegna editoriale internazionale. Sotto la guida del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, essa è presente con un grande stand nel terzo padiglione del Lingotto con un cupolone fatto di libri che riprende il progetto per la nuova Basilica Vaticana di Donato Bramante, di cui si celebra quest’anno il 500° anniversario dalla morte. Il padiglione della Santa Sede è rappresentativo sia delle attuali iniziative della Libreria editrice vaticana diretta da don Giuseppe Costa, anche a seguito del boom editoriale seguito all’elezione di Bergoglio, sia del rapporto storico della Chiesa e dei Papi con il libro e le arti. 

Twitter: @FrancescoGrana

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