Condannato in via definitiva per concorso esterno a Cosa Nostra, ma ancora oggi lontano dall’Italia. Passeranno settantadue ore prima che Marcello Dell’Utri possa conoscere il suo destino: sette anni di detenzione in un carcere italiano o la remota possibilità di tornare a piede libero in Libano. L’ex senatore è detenuto dal 13 aprile scorso in un ospedale di Beirut, guardato a vista dagli agenti della polizia locale. È proprio in ospedale che Dell’Utri è venuto a conoscenza della sentenza della Cassazione, che ha messo il bollo sulla sua condanna, informato in diretta dai familiari che a loro volta erano stati avvisati dai legali.
L’amico fidato di Silvio Berlusconi era stato arrestato dall’intelligence libanese in una suite dell’hotel Phoenicia, come ordinato dall’Interpol, dopo che si era reso irreperibile a pochi giorni dalla sentenza della Corte di Cassazione. “Sono dimostrati i rapporti mai interrotti che Dell’Utri ha avuto con le famiglie mafiose palermitane in favore delle quali ha svolto un ruolo di mediatore del patto di protezione personale e delle sue attività, siglato nel 1974 da Silvio Berlusconi”, ha detto nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso, chiedendo la conferma della condanna emessa dalla corte d’appello di Palermo il 25 marzo 2013. Richiesta avallata dalla prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Maria Cristina Saitto, dopo quattro ore di camera di consiglio. Immediatamente dopo è arrivato l’ordine di carcerazione del sostituto pg di Palermo Luigi Patronaggio, trasmesso al Ministero della Giustizia, che ora dovrebbe allegarlo alla richiesta di estradizione spedita in Libano.
Al momento dell’arresto a Beirut sul capo di Dell’Utri non pendeva alcuna condanna definitiva: secondo il Trattato bilaterale che disciplina i rapporti giuridici tra Italia e Libano, l’ex senatore era quindi da considerarsi soltanto un indagato. Ecco perché il procuratore generale di Beirut Samir Hammoud ha fatto appello all’articolo 21 della stessa convenzione Italia – Libano, chiedendo a via Arenula di avere a disposizione non solo ordine d’arresto e le motivazioni della condanna d’appello, ma anche gli atti relativi alle altre sentenze emesse a carico di Dell’Utri. Documenti che il Ministero della Giustizia italiano ha dovuto tradurre in francese, riuscendo a spedirli in Libano soltanto il 5 maggio scorso, 23 giorno dopo l’arresto di Dell’Utri. “Per quanto riguarda l’estradizione non cambia nulla: semplicemente la richiesta di custodia cautelare sarà sostituita dall’ordine di carcerazione”, ha detto l’avvocato Giuseppe Di Peri, storico legale di Dell’Utri, specificando che “l’ex senatore è assistito a Beirut da un legale libanese”, l’avvocato Akram Azoury,“esperto del diritto locale”.
L’avvocato Azoury conoscerà sicuramente molto bene il Trattato che disciplina i rapporti tra Libano – Italia. Soprattutto l’articolo 23, quello che sancisce come si possa “porre fine all’arresto provvisorio se, nel termine di trenta giorni dall’arresto, il governo richiesto non avrà ricevuto uno dei documenti menzionati al secondo comma dello articolo 21. La liberazione esclude l’arresto e l’estradizione se la domanda di estradizione perviene successivamente”. In pratica le autorità libanesi dovranno decidere il destino di Dell’Utri entro i prossimi tre giorni: e poco importa se nel frattempo l’ordine di custodia cautelare si sia trasformato in un ordine di carcerazione per scontare la pena definitiva.
“Stiamo anche ragionando sull’ipotesi di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo”, aggiunge l’avvocato Di Peri a ilfattoquotidiano.it. “Non bisogna dimenticare – spiega – che oltre ad una vicenda lunga vent’anni, il reato di cui è accusato Dell’Utri è il concorso esterno in associazione mafiosa: un reato fumoso, non riconosciuto negli altri stati”. Un reato che anche in Libano dovranno studiare prima di concedere l’estradizione. “Credo che questa vicenda non si possa considerare ancora conclusa”, conclude l’avvocato Di Peri. La stessa speranza del suo assistito: Marcello Dell’Utri, uomo cerniera tra Berlusconi e Cosa Nostra e fondatore del primo partito italiano degli ultimi vent’anni.
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