“Uniamoci tutti nella preghiera per l’immediato rilascio delle liceali rapite in Nigeria. #BringBackOurGirls“. Dopo l’attivista pakistana Malala Yousafzai e la moglie del presidente degli Stati Uniti Michelle Obama, anche Papa Francesco sul suo profilo Twitter si unisce alla campagna #BringBackOurGirls, lanciata attraverso i social network per la liberazione delle oltre 200 ragazze sequestrate dal gruppo terrorista Boko Haram in Nigeria.

Oggi Michelle Obama, come mamma e come first lady, è scesa in campo direttamente rivolgendosi agli estremisti di Boko Haram. “Voglio che sappiate che Barack ha dato disposizioni al nostro governo perché faccia tutto il possibile per sostenere il governo nigeriano e trovare le ragazze e riportarle a casa”, ha affermato la first lady Usa, Michelle Obama, che è tornata allo scoperto per fare pressioni a favore delle liceali, mentre la vicenda acquisisce sempre più una dimensione globale e sarà sollevata anche a Bruxelles il 12 maggio dal ministro degli esteri italiano Federica Mogherini.

In quelle ragazze “Barack e io vediamo le nostre figlie. Vediamo le loro speranze, i loro sogni”, ha detto Michelle in un messaggio che ha lanciato appropriandosi per una volta della “tribuna” riservata ogni sabato al marito, il consueto discorso presidenziale diffuso via radio e via internet.

Anche la presidente della Camera Laura Boldrini, in un appello online, ha sottolineato oggi che sono ragazze che “hanno l’età delle nostre figlie” e sono state sequestrate, ormai quasi un mese fa, il 14 aprile, “solo perché hanno la ‘colpa’ di studiare. Una storia scandalosa sulla quale è importante che ci sia la più ampia condivisione e mobilitazione, a ogni livello”.

Una mobilitazione che il ministro Mogherini porta al Consiglio affari esteri europeo perché, ha sottolineato, “riteniamo ci debba essere una posizione comune europea e soprattutto che questo debba essere fatto in raccordo col governo nigeriano perché abbiamo bisogno, insieme a campagne di mobilitazione dell’opinione pubblica, anche di capire cosa concretamente si possa fare a livello internazionale”.

E in questo senso è davvero complicato capire cosa si possa fare davvero sul campo, anche perché tra le autorità nigeriane sembra prevalere la diffidenza. Ieri è arrivato in Nigeria il team “di coordinamento” Usa, circa 35 persone, ed è anche arrivato un gruppo di britannici, mentre oggi è arrivato un gruppo francese, soprattutto di esperti di intelligence.

Il governo del presidente Goodluck Jonathan sembra però piuttosto restio a fornire loro una vera libertà di movimento. Al momento, ad esempio, non è permesso l’uso dei droni da ricognizione di cui dispongono gli Usa. E in merito neanche ci sono “discussioni attive”, ha detto un portavoce del Pentagono. Fonti Usa hanno affermato inoltre che è molto improbabile che forze speciali americane possano partecipare in maniera diretta a una eventuale operazione di soccorso.

Ma il loro ritrovamento è di fondamentale importanza, anche perché, come ha sottolineato Michelle Obama, “ciò che è successo in Nigeria non è un incidente isolato… è una storia che vediamo ogni giorno mentre ragazze nel mondo rischiano la loro vita per perseguire i loro sogni”.

La first lady ha citato anche il caso di Malala Yousafzai, la ragazza pachistana a cui un talebano ha sparato alla testa perché aveva parlato a favore dell’istruzione per le ragazze della sua comunità. Malala, ha aggiunto, “fortunatamente è sopravvissuta e quando l’ho incontrata l’anno scorso ho potuto vedere la sua passione e determinazione, quando mi ha detto che l’istruzione delle ragazze è la sua missione”. Una missione che anche Michelle sembra ora aver fatto sua. 

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