“I ragazzi ti afferrano, ti toccano ovunque, ma è ok… non ho mai pensato male, lo fanno a tutte”. Patricia ha 13 anni e quella che è generalmente considerata una molestia sessuale, l’essere palpeggiata dai compagni di scuola, non la scandalizza perché è un comportamento diffuso. Una percezione comune alle ragazze della sua generazione, secondo uno studio condotto negli Stati Uniti dalla Marquette University e dal Children’s advocacy center: per le giovani donne – è la conclusione dei ricercatori – gli abusi sessuali sono la normalità. Una conferma di ciò che le associazioni per i diritti delle donne dicono da anni: solo una minima parte degli abusi viene denunciata. Accade, si legge, perché le ragazze “hanno interiorizzato il fatto di vivere in un contesto sessuale maschilista” e perché “temono di essere considerate ‘puttane‘”.
La ricerca, intitolata “Normalizing sexual violence – young women account for harassment and abuse” e firmata da Heather R. Hlavka, sociologa della Marquette University, sarà pubblicata a giugno dalla rivista accademica Gender&Society. Il team di ricerca ha analizzato le video-interviste forensi condotte dal Children’s advocacy center, organizzazione che lotta contro gli abusi sui minori, su 100 giovani donne tra i 3 e i 17 anni, identificate come potenziali vittime di violenza sessuale. “L’essere trattate come oggetti, le molestie e gli abusi sembrano far parte della vita quotidiana delle studentesse delle scuole medie e superiori, che hanno pochi spazi in cui sentirsi al sicuro: hanno raccontato di essere state aggredite alle feste, a scuola, al parco giochi, in autobus, in automobile”, scrive la Hlavka. E ancora: “La stragrande maggioranza descrive gli abusi come ‘cose normali’ che ‘fanno i ragazzi’: il consenso e il desiderio sessuale delle giovani sono largamente assenti. Il sesso è percepito come un qualcosa che viene subìto”.
Le interviste, condotte da personale specializzato in base a standard fissati dall’American professional society on the abuse of children, sono agghiaccianti. Lana ha 15 anni, Mike 18. “Stavo tornando in classe – ricorda la ragazza – e lui mi ha inchiodato al muro e ha cercato di alzarmi la camicia. Mi ha toccato e io iniziato a urlare. Così lui si è staccato, io sono tornata in aula e non ci ho pensato più. Credo che in fin dei conti non sia successo nulla“.”Ero sull’autobus – racconta Carla, 14 anni – lui si è seduto vicino a me e ha fatto scivolare una mano sotto il mio sedere. Io l’ho costretto ad alzarsi e lui mi ha detto: ‘Vengo fino a casa tua e ti stupro’. Lo so che scherzava, ma sentire queste parole è stato strano”. Neanche un rapporto orale forzato è percepito come stupro: “Mi ha costretto – racconta Terri, 11 anni, di colore – Mi ha detto che se non l’avessi fatto mi avrebbe stuprata”. Lui è un vicino di casa di 17 anni. “Per Terri la violenza riguarda solo il rapporto vaginale“, si legge nella ricerca.
Perché le ragazze non denunciano gli abusi – Lo studio confermerebbe la tesi secondo cui solo una parte delle violenze vengono denunciate. Secondo il Rape, abuse&incest national network, il 44% delle vittime ha meno di 18 anni e il 60% delle aggressioni non viene segnalato alla polizia. I ricercatori hanno individuato quattro principali ragioni che trattengono dal denunciare. In primo luogo le intervistate descrivono gli uomini come incapaci di tenere a bada le pulsioni sessuali e giustificano le molestie “come normale comportamento maschile da sopportare o ignorare“. Secondo, non considerano come abusi gli atti violenti al di fuori dello stupro. Terzo, hanno paura di essere etichettate come “puttane” e di essere accusate di esagerare o mentire. Quarto, non si fidano delle autorità: secondo la Hlavka, “le ragazze sembrano aver interiorizzato il fatto di vivere in un contesto maschilista” e temono di essere considerate “cattive ragazze” che provocano i maschi e inducono gli abusi.