Paolo VI sarà beato. Papa Francesco ha, infatti, autorizzato il prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato, a promulgare il decreto sul miracolo attribuito all’intercessione di Giovanni Battista Montini. La decisione di Bergoglio arriva pochi giorni dopo le canonizzazioni di Giovanni XXIII, che creò cardinale l’allora arcivescovo di Milano Montini nel suo primo concistoro, nel 1958, e di Giovanni Paolo II, che, nel 1978, succedette a Paolo VI dopo la breve parentesi dei 33 giorni di pontificato di Giovanni Paolo I. La data scelta dal Papa per la celebrazione della beatificazione è domenica 19 ottobre 2014, giorno in cui termineranno le due settimane del Sinodo dei vescovi, organismo consultivo voluto da Paolo VI subito dopo il Concilio Vaticano II, a cui Bergoglio ha affidato quest’anno il tema della famiglia con particolare attenzione al dibattito sulla comunione ai divorziati risposati. La cerimonia avverrà in piazza San Pietro e sarà presieduta eccezionalmente da Papa Francesco, poiché Bergoglio come Ratzinger e a differenza di Wojtyla presiede soltanto le canonizzazioni.
Il miracolo che porterà Montini alla gloria degli altari è la guarigione, avvenuta nel 2001 negli Stati Uniti d’America, di un feto che al quinto mese di gravidanza si trovava in condizioni critiche per la rottura della vescica fetale, la presenza di liquido nell’addome e l’assenza di liquido nel sacco amniotico. Tanto che la diagnosi parlava di morte del piccolo nel grembo materno o di gravissime malformazioni future e aveva consigliato anche la possibilità di un’interruzione di gravidanza. La mamma però rifiutò e, su suggerimento di una suora italiana che l’aveva conosciuto, si rivolse nella preghiera all’intercessione di Montini. Successive analisi mostrarono il miglioramento della situazione e la nascita avvenne all’ottavo mese con parto cesareo, con il neonato in buone condizioni generali. La salute del bambino, ora diventato adolescente, è stata poi costantemente monitorata. Il 12 dicembre scorso la consulta medica della Congregazione delle cause dei santi ha certificato l’inspiegabilità della guarigione, mentre il 18 febbraio scorso i teologi del dicastero vaticano hanno riconosciuto l’intercessione di Montini. Il 6 maggio 2014 la conferma definitiva da parte della plenaria dei cardinali e vescovi della Congregazione delle cause dei santi.
Dei 15 anni di pontificato di Paolo VI nella memoria dell’opinione pubblica sono impressi in modo indelebile gli ultimi mesi di vita quando, il 21 aprile 1978, il Papa scrisse una lettera alle Brigate rosse chiedendo la liberazione dello statista della Democrazia cristiana. “Vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d’un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore”. Un appello che, come è noto, non fu ascoltato. Dopo l’omicidio di Moro, Montini decise di presiedere la Messa esequiale in suo onore nella cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano, rompendo un altro tabù perché mai un Papa aveva partecipato ai funerali di un laico.
Ma Paolo VI è molto di più. È il Pontefice della modernità che eredita da Giovanni XXIII la “croce” del Concilio ecumenico Vaticano II e lo fa suo traghettandolo, dalla seconda alla quarta e ultima sessione, al riparo dagli scismi. È sotto Montini che gli oltre 2500 padri conciliari approvano tutti i documenti del Vaticano II. Al termine della grande assise voluta da Roncalli Paolo VI medita una prima volta le dimissioni. Si domanda se il suo compito non sia concluso e debba passare ad altre mani il timone della barca di Pietro. Una seconda volta Montini valuterà seriamente l’opportunità di lasciare il pontificato. È il 1972 e Paolo VI è alla vigilia dei 75 anni, l’età che lui stesso aveva fissato per la pensione dei vescovi di tutto il mondo. Il Papa si interroga se questa norma valga anche per sé, per il vescovo di Roma, ma alla fine la risposta è negativa.
Montini è l’ultimo Papa a farsi incoronare con la tiara che poi abbandona per metterla in vendita e offrire il ricavato ai poveri. È il primo Pontefice a prendere l’aereo e a tornare in Terra Santa, nel gennaio 1964, e ad abbracciare il Patriarca di Costantinopoli Atenagora annullando le scomuniche reciproche. È il primo vescovo di Roma a parlare all’Onu in nome della Chiesa “esperta in umanità”, a visitare i moribondi in India assistiti da madre Teresa di Calcutta. Ma è anche il Papa dell’enciclica “Humanae vitae”, firmata nel 1968, che chiude le porte ai metodi contraccettivi. “Dobbiamo ancora una volta dichiarare – scrive Montini – che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione“.
Paolo VI è anche il Pontefice del Giubileo del 1975, tre anni prima della morte, quando alcuni calcinacci della Porta Santa della Basilica Vaticana gli cadono addosso in mondovisione. Un presagio, secondo alcuni osservatori, per quel Pontefice italiano che ai fedeli, qualche anno prima, aveva detto: “Posso domandarvi la grazia che voi non vi rifiutate di amare il Papa? Amate il Papa, al quale senza suo merito o ricerca è affidata la singolare missione di rappresentare il Signore davanti alla Chiesa universale e che non ha altra aspirazione se non quella di salvare, di farvi felici, perché la sua autorità è un servizio: il servizio del servo dei servi di Dio”. Un Papa non compreso che nel suo testamento scardinò l’ultimo tabù del potere monarchico dei Pontefici: “La tomba amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me”. E da quella tomba nelle grotte vaticane, il giorno della beatificazione, il corpo di Paolo VI sarà tolto e portato nella Basilica di San Pietro dove già riposano San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II.