Nelle aree più inquinate d’Italia i tumori sono aumentati anche del 90% in soli dieci anni. L’Italia dei veleni ormai è così, più si scava e più sembra lontano e improbabile l’antidoto che salverà il malato. E questo non vale solo per le ruspe che fanno affiorare fusti interrati. Vale anche per gli studi epidemiologici che nelle aree più inquinate del Paese registrano, anche negli ultimi anni, aumenti preoccupanti della mortalità, dell’incidenza oncologica e dei ricoveri ospedalieri. In particolare cancro della tiroide, tumore alla memmella e mesotelioma.
Pochi giorni fa, quasi in sordina, è stato pubblicato sul sito dell’Associazione degli epidemiologi il terzo dossier dell’Istituto superiore di Sanità sugli effetti sulla salute delle popolazioni esposte ai Sin, i Siti di interesse nazionale per le bonifiche. E’ l’aggiornamento dello studio “Sentieri”, realizzato dal Dipartimento ambiente e connessa prevenzione primaria dell’ISS dopo quelli realizzati nel 2010 e 2011. L’indagine intende approfondire il livello di compromissione della salute dei 5 milioni di italiani che convivono coi fumi dei camini delle centrali a carbone, intorno alle discariche tossiche o in prossimità delle industrie chimiche che hanno sversamento per anni i loro veleni contaminando terreni e acque.
Stavolta, i ricercatori dell’ISS hanno lavorato su tre banche dati diverse, incrociando le rilevazioni sulla mortalità aggiornate al 2010 (le precedenti prendevano in esame gli anni 2002-2005), l’incidenza oncologica per gli anni 1996-2005 e dati di ospedalizzazione relativi al periodo 2005-2010. “La scelta è motivata dal fatto che quando si ha a che fare con patologie ad alta sopravvivenza lo studio della sola mortalità porterebbe a sottovalutarne l’impatto effettivo”, spiega Roberta Pirastu, docente alla Sapienza e curatrice del rapporto Sentieri. E’ il caso del tumore alla tiroide per il quale in alcuni Sin sono stati rilevati incrementi sia per l’incidenza tumorale che per i ricoveri. Nell’area Brescia-Caffaro, ad esempio, l’incidenza dei tumori rilevata è +70% per gli uomini e +56% per le donne, ai Laghi di Mantova +74% e +55%, a Taranto +58 e +20. Anche i ricoveri in eccesso sono un bollettino di guerra: a Brescia +79 per gli uomini e + 71% per le donne, +84 e + 91 ai Laghi di Mantova, a Milazzo +55 e +24, a Taranto +45 e +32.
Tornando alla nuova indagine va detto che la scelta di includere nell’analisi l’incidenza oncologica ha limitato la ricerca ai 18 siti in cui è attivo un registro dei tumori. Ma lo studio sarà completo per gli altri dati (mortalità, ricoveri) in tutti e 44 entro la fine dell’anno. In ogni caso l’evidenza della ricerca è una e pesantissima: Taranto e i comuni dell’area campana della Terra dei Fuochi non sono gli unici territori in cui tocca correre ai ripari, programmare screening sanitari, biometraggi, analisi dei contaminanti, oltre a bloccare subito gli scempi ambientali e dar corso a rapide bonifiche.
Dall’analisi emerge con forza, ad esempio, la gravità dell’esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti nei SIN e che risulta evidente, per gli uomini, dai dati relativi al mesotelioma. Eccessi per mesotelioma e tumore maligno della pleura si registrano infatti a Biancavilla (CT) e Priolo (SR), dove è documentata la presenza di asbesto e fibre asbestiformi. Ma anche nelle aree portuali di Trieste, Taranto, Venezia e dove ci sono industrie chimiche (Laguna di Grado e Marano, Priolo, Venezia) e siderurgica (Taranto, Terni, Trieste). Questo, spiega il dossier, conferma la diffusione dell’amianto nei siti contaminati “anche al di là di quelli riconosciuti tali in base alla presenza di cave d’amianto e fabbriche di cemento-amianto”.
Dall’analisi del profilo di rischio oncologico risulta anche una maggiore incidenza di tumore del fegato in entrambi i generi riconducibile a un “diffuso rischio chimico nei SIN”. Ma non si tratta solo di tumori. Per esempio, nel Basso bacino del fiume Chienti sono emersi eccessi per le patologie del sistema urinario, in particolare le insufficienze renali, che inducono a ipotizzare un ruolo causale dei solventi alogenati dell’industria calzaturiera. Sempre per le patologie renali è stato suggerito un approfondimento a Taranto. A Porto Torres (SS) si registrano eccessi in ambedue i sessi e per tutti gli esiti considerati (mortalità, incidenza oncologica, ricoveri ospedalieri) per patologie come le malattie respiratorie e il tumore del polmone, per i quali si suggerisce un ruolo delle emissioni di raffinerie e poli petrolchimici; per le stesse patologie rilevate a Taranto è stato suggerito un ruolo delle emissioni degli stabilimenti metallurgici.
Le conclusioni, con questi dati, dovrebbero essere un codice rosso per la politica sanitaria e ambientale, a livello nazionale e locale. Per tutti i SIN si chiede di acquisire maggiori conoscenze dei contaminanti presenti nelle diverse matrici ambientali per meglio stimare l’esposizione attuale e pregressa. Ma non è affatto scontato che succeda, come dimostra il caso dello studio sull’esposizione sanitaria bambini da un anno nel cassetto del Ministero in attesa di 350mila euro di fondi. Anche per questo, a fronte di numeri tanto allarmanti, oggi stesso ci sarà un question time in aula sollevato dal gruppo dei Cinque Stelle. Alberto Zolezzi e gli altri componenti del gruppo alla Camera chiederanno al ministro dell’Ambiente. L’intero progetto Sentieri, va detto, ha costi contenuti, e tuttavia poche certezze di andare avanti: le prime due edizioni (2010 e 2011) sono costate solo 250mila euro, la terza (2014) circa 130mila. E questo grazie al fatto che il gruppo di lavoro ristretto , compresi curatori e autori del rapporto, sono dipendenti dello Stato, dell’ISS, del ministero, dei Registri dei tumori. Poi ci sono tre contrattisti precari che costano 50mila euro l’anno. “In effetti, costiamo pochissimo”, raccontano loro.
Andare avanti, nonostante le scarse risorse a disposizione , è però necessario. Il rapporto indica espressamente l’impellenza di avviare o proseguire programmi di biomonitoraggio umano per una serie di SIN, tra gli altri, Brescia-Caffaro e Trento. Sono stati inoltre raccomandati programmi di ricerca relativi alla catena alimentare in sub-aree ben definite del Litorale Domizio-Flegreo e Agro Aversano. Lo studio fornisce poi dati tali da rendere indifferibili le azioni di bonifiche, non solo per Brescia-Caffaro ma anche a Biancavilla, dove gli eccessi riscontrati per mesoteliomi e tumori maligni della pleura in entrambi i sessi sono riconducibili a un’unica fonte di esposizione, una cava di materiale lapideo contenente una fibra asbestiforme di nuova identificazione, la fluoro-edenite.
In siti più complessi, come quello di Taranto, i risultati di Sentieri e l’insieme delle conoscenze disponibili “attribuiscono un ruolo specifico alle esposizioni ambientali”. Conoscenze “ricche e solide che rendono ora possibile prevedere procedure di valutazione integrata dell’impatto ambientale e sanitario (VIIAS)”. Tocca solo vedere se ci sarà la volontà di realizzarle nelle aree produttive compromesse, anche al prezzo di scoprire che il binomio tra lavoro-salute, che divide ormai l’Italia, non può essere risolto dal compromesso.