Erano finiti in manette per “attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti”. E il gip del tribunale di Torino, Federica Bompieri, nel motivarne l’arresto, aveva spiegato che la lotta violenta contro il Tav è “un attacco alla legalità democratica”, un tentativo di “piegare” lo Stato italiano e di delegittimare le sue decisioni. Ma la Cassazione ha annullato con rinvio al Tribunale di Torino l’accusa nei confronti dei quattro anarchici No Tav e che nella notte fra il 13 e il 14 maggio 2013 – proprio un anno fa – presero parte a un assalto contro le ‘odiate’ recinzioni che, in Valle di Susa, proteggono i lavori della nuova ferrovia ad alta velocità Torino-Lione. Per capire le ragioni della decisione, è necessario attendere il deposito delle motivazioni, come ha spiegato il capo del pool Tav della Procura di Torino, Andrea Beconi: “Siamo molto prudenti, la Cassazione potrebbe solo avere chiesto un chiarimento, o aver fissato un principio di diritto sull’interpretazione della norma sul terrorismo, e chieda di rivalutare i fatti alla luce dei principi”. Secondo il procuratore aggiunto di Torino, “il fatto che non sia stata disposta la scarcerazione fa pensare che non sia stato un annullamento tout-court”.
Le parole del gip Bomperi, con il riferimento al terrorismo, riportarono agli anni di piombo, facendo dire all’allora procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, che la questione era diventata “articolata e difficile”. Non fu una manifestazione come tante, quella del maggio 2013, ma un’azione pianificata e portata avanti con metodo: diversivi per distrarre la polizia, cancelli bloccati con cavi d’acciaio, una pioggia di bengala, pietre, fuochi d’artificio, bombe carta, molotov. Divamparono incendi (un compressore venne distrutto) e solo la fortuna evitò che qualcuno, tra le forze dell’ordine e gli operai, si facesse male sul serio. Gli osservatori si resero subito conto che era stato un salto di qualità dei più preoccupanti, tanto che il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si precipitò la sera stessa a Torino per presiedere una riunione straordinaria del comitato per la sicurezza pubblica. Le indagini della polizia, coordinate dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, accertarono in seguito che i No Tav si erano organizzati con vedette, gruppi d’assalto con nomi come “marmotte”, “trento” e “rc”, autisti pronti a raccogliere i partecipanti per la fuga.
Così, il 9 dicembre scorso, le manette scattarono per i torinesi Nicolò Blasi, 24 anni, e Claudio Alberto, 33 anni; per Chiara Zenobi, 41 anni, originaria di Teramo ma in Piemonte dal 2010; per il milanese Mattia Zanotti, 29 anni: tutti militanti dell’ala radicale anarchica e ben conosciuti dalla Digos. Nei loro confronti, per la prima volta, vennero utilizzati i reati del 280 e il 280 bis, “attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti”. Accuse ora annullate.
Una vittoria per il popolo No Tav, che sabato scorso aveva sfilato pacificamente per le strade di Torino per chiedere la liberazione dei loro quattro compagni. Richiesta analoga da parte di un gruppo di intellettuali, da Valerio Mastandrea a Sabina Guzzanti, che aveva firmato un appello a loro favore. “Siamo molto soddisfatti per questa decisione della Cassazione“, commentano Claudio Novaro e Giuseppe Pelazza, legali dei quattro arrestati, che restano in carcere. “Questo incide positivamente sul processo che è imminente (il 22 maggio, ndr) – aggiungono – e che ora si svolgerà come un processo ‘normale’ una volta sgomberato il campo da questa accusa pesante”.