Il quotidiano sportivo brasiliano Lance! a dicembre ha calcolato che dal 1988 le morti per il calcio in Brasile sono state oltre 230, un numero impressionante, con una crescita esponenziale negli ultimi anni: tanto che solo nel 2013 gli omicidi causati da vicende di pallone sono state addirittura 30. L’ultimo il 3 aprile scorso. Durante i disordini scoppiati a Recife dopo la partita tra Santa Cruz e Paranà, alcuni tifosi hanno sradicato due gabinetti dai bagni dello stadio e li hanno scaraventati sulla folla: uno di questi ha colpito in pieno un ragazzo di 25 anni, deceduto sul colpo. Non nello stesso stadio Arruda, ma sempre a Recife nella nuova Arena Pernambuco, quest’estate si giocheranno cinque partite dei Mondiali di Brasile 2014: quattro dei gironi – tra cui Italia-Costa Rica il 20 giugno – e una degli ottavi.

Ovviamente il problema della violenza nell’immenso territorio brasiliano non è circoscritto al calcio, anzi, la mapa da violência 2013 racconta di quasi un milione di morti ammazzati per arma da fuoco negli ultimi trent’anni, con un aumento del 300% dal 1980 a oggi. Ma in Brasile di calcio si muore, e dopo aver cavalcato il problema per militarizzare il Paese, ora che c’è un evento di portata globale come la Coppa del mondo il governo brasiliano cerca di minimizzare: “Stiamo cooperando con le polizie di tutto il mondo per contrastare il fenomeno degli hooligans”, ha detto il ministro dello Sport Aldo Rebelo, prima di snocciolare le imponenti misure di sicurezza di cui si è dotato il Paese. Sui 13 miliardi spesi in totale, uno è stato destinato alla sicurezza: per un mese il Brasile sarà presidiato da oltre 150mila unità tra forze dell’ordine, esercito, e servizi segreti. E poi droni, telecamere, elicotteri militari e un migliaio di simil-robocop dei battaglioni speciali equipaggiati di tutto punto. Al di là del business della sicurezza, coi cabli di Wikileaks che mostrano il coinvolgimento del governo americano, e di quanto la militarizzazione del Paese serva a contrastare proteste interne come quelle dei comitati Nao Vai Ter Copa, o a liberare le zone delle favelas alla speculazione edilizia, esiste infatti il problema degli scontri tra tifoserie locali e gruppi organizzati al seguito delle nazionali.

Per questo il governo brasiliano ha predisposto ferrei controlli alle frontiere, con telecamere dotate di riconoscimento facciale collegate ai database internazionali per impedire se possibile l’ingresso, o comunque controllarne gli spostamenti, a chi abbia precedenti legati al calcio. Se Scotland Yard ha fornito la lista dei soggetti da controllare, un gruppo di tifosi argentini si è però rivolto a un tribunale per bloccare il passaggio di queste informazioni. Come ha spiegato il loro avvocato Debora Hambo ciò sarebbe lesivo della privacy, discriminatorio e potenzialmente pericoloso perché renderebbe i tifosi facilmente individuabili una volta in Brasile. Proprio quelle di Inghilterra e Argentina sono considerate le tifoserie più a rischio. Su YouTube girano video di tifosi brasiliani che minacciano gli inglesi (“vi stiamo aspettando”), e su eBay è già possibile acquistare la spilletta per riconoscersi come hooligan britannico nella trasferta brasiliana.

Se la partita con l’Italia, il 14 giugno a Manaus in piena foresta amazzonica, non è da considerare a rischio, nelle successive partite dell’Inghilterra nelle città di Sao Paolo e Belo Horizonte potrebbero esserci problemi. Per quanto riguarda l’Argentina invece – altro campionato caldo, dove sono morti 24 tifosi negli ultimi due anni – si aspetta un’invasione di oltre 50mila sostenitori, tra cui qualche migliaio di violentissimi Barras bravas. La partita più a rischio è quella del 25 giugno contro la Nigeria a Porto Alegre, stadio più vicino al confine argentino e zona in cui le frontiere sono meno controllabili.

Altri problemi, segnala il governo brasiliano, potrebbero esserci nelle zone ad altra densità d’immigrazione italiana e polacca, quest’ultima molto presente a Curitiba, dove il 26 giugno giocherà l’ultima partita del girone la Russia. E l’incontro tra le due tifoserie agli ultimi Europei non è stato certo amichevole. Violenza chiama repressione, e viceversa. Come succede da qualche tempo, l’organizzazione di grandi eventi sportivi porta alla militarizzazione del territorio come una volta era per i vari G8 o G20: se questi ultimi hanno finito con l’arroccarsi in luoghi irraggiungibili, Mondiali di calcio e Olimpiadi potrebbero presto prendere la stessa strada.

da Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2014

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