Il frastuono elettorale sta coprendo l’assurda vicenda della privatizzazione semi-clandestina dell’aeroporto di Pisa. Il magnate argentino Eduardo Eurnekian, forte di ottime relazioni con il network del potere renziano e con il presidente dell’Enac (l’ente vigilante sul settore) Vito Riggio, ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto sulla Sat, la società quotata in Borsa che gestisce lo scalo ai piedi della Torre pendente, uno dei primi dieci italiani.
La Sat è controllata al 57 per cento da un patto di sindacato tra enti pubblici e, siccome ha i bilanci in attivo ed è considerata ben gestita, nessuno aveva mai finora sollevato il tema della privatizzazione. Eurnekian avanza la sua offerta, a un prezzo che secondo gli analisti finanziari è la metà di quello offerto in parallelo per l’aeroporto di Firenze, già privato. Reagisce alle polemiche con un piccolo rilancio che non cambia la sostanza. Il patto di sindacato che controlla Sat, presieduto dal sindaco di Pisa Marco Filippeschi, all’unanimità decide di respingere l’offerta al mittente. Ma il governatore della Toscana, Enrico Rossi, si sfila e decide per conto suo che la Regione consegnerà le sue azioni a Eurnekian.
Nonostante il rischio di dover pagare agli altri enti – per la rottura del patto – una penale nettamente superiore all’incasso atteso, Rossi è determinatissimo a vendere il suo 17 per cento, che, aggiunto al 27 che già Eurnekian ha rastrellato tra i privati, lo porterebbe al 44 per cento garantendogli di fatto il successo. Nel frattempo lo stesso Rossi annuncia che, al contrario, nell’offerta parallela sullo scalo di Peretola si terrà stretto il suo inutile 5 per cento dell’Adf (Aeroporto di Firenze), evitando a Eurnekian una spesa inutile, visto che a Firenze il controllo lo ha già preso. Vendere un pacchetto di controllo e tenersi un pacchettino di minoranza è uno strabismo sospetto. Ma Renzi, intervistato da Rtv38, tv leader in Toscana, ha subito dato il suo entusiastico endorsement a Rossi.
Per capire l’importanza della posta in gioco bisogna prima diradare la nebbia prodotta da tre argomenti coloriti. Il primo è il timore dei politici pisani che dietro l’operazione si celi la volontà di Matteo Renzi, del suo luogotenente Dario Nardella e della variegata lobby cittadina che li attornia di sviluppare lo scalo di Peretola, presieduto dall’amico del cuore del premier Marco Carrai, a danno di quello di Pisa. L’aeroporto vicino al mare ha un traffico più che doppio, e due piste lunghe anziché una sola corta, anche se per Eurnekian (e per Rossi) le due società hanno lo stesso valore. Ma i timori dei pisani li espongono alle facili accuse di campanilismo degli amici dello scalatore.
Il secondo è il curriculum di Eurnekian, già protagonista quindici anni fa di un’operazione disastrosa per gli aeroporti milanesi di Sea, sedotti e abbandonati per assicurarsi il controllo di 14 scali argentini in via di privatizzazione. Oggi è a processo al tribunale di Busto Arsizio, insieme al suo luogotenente fiorentino Roberto Naldi, per la bancarotta della compagnia aerea Volare.
Il terzo è il sospetto che il pisano Rossi, avendo combattuto frontalmente, da vecchio dalemiano quale era, l’ascesa dell’ex sindaco di Firenze, voglia conquistare benemerenze renziane e scongiurare il rischio, effettivamente alto, di essere rapidamente asfaltato per dare il suo posto a un governatore più affidabile per il premier e i suoi amici, tra i quali il fiorentino Denis Verdini.
La vera ragione per cui toccherebbe proprio a Renzi, incline com’è a invadere competenze altrui quando animato da idee forti, fermare la svendita dell’aeroporto di Pisa è che la vicenda denuncia il vuoto di regole in cui galleggia il vasto sistema delle aziende municipali e regionali. Da una parte si invocano le salvifiche privatizzazioni, e certe volte a sproposito, dall’altra c’è la più ampia libertà per gli enti territoriali di vendere o svendere beni pubblici senza spiegare ai cittadini perché, senza indire una gara, senza porre condizioni all’acquirente. Soprattutto può capitare che, con la proprietà frazionata tra più enti, come fossero boutique finanziarie e non custodi della proprietà pubblica, uno da solo possa decidere per tutti. La cosa è tanto più grave in casi come l’aeroporto di Pisa: un monopolio naturale, moderatamente esposto alla concorrenza, nel quale (come nel caso delle Poste o delle Ferrovie) la ricerca del profitto dovrebbe essere temperata dalle esigenze di un servizio essenziale al pubblico, e l’esperienza insegna che l’azionista privato fatica a garantire un giusto equilibrio.
Nel vuoto di regole attuale può dunque accadere che arrivi un signore, offra una cifra vile per un’azienda pubblica e un ente territoriale decida di vendere all’impronta, senza istruttoria e senza discussione pubblica. Magari perché, come nel caso di Pisa, una classe politica più attenta agli affari propri che all’interesse generale può decidere di inchinarsi al potente o prepotente di turno per non turbare i sacri equilibri politici. O le campagne elettorali.
da Il Fatto Quotidiano del 24 maggio 2014